Gismondi, l'ultimo maestro

di FRANCESCO GRECO — Ci manca un sacco il direttore Gismondi. Se ne andò in una notte di primavera, quattro anni fa, a 86 anni. Potendomi vantare di essere considerato uno dei suoi mille allievi più vicini, sapevo che godeva d'ottima salute: era un salutista molto rigoroso con se stesso.

Il lavoro a “Puglia”, “Lucania” e l'emittente Rtg lo assorbiva tutto il tempo. Quando andavo a trovarlo, accolto da Nerone, lo trovavo, come sempre, al pc a scrivere. Si lamentava: “Per me la formazione non finisce mai... Aspetta un attimo che salvo il sarò breve di domani...”. A volte riecheggiava il suo amico Franco Sorrentino, che se n'era andato all'improvviso: “Ma si può fare questa vita? Si può, si può...”. Quando s e ne andò anche Piero De Giosa divenne più introverso.

Parlava dei massimi sistemi dell'editoria, di cui era informatissimo sin nelle pieghe più segrete. Era orgoglioso della libertà di pensiero che si era ricavata in un mondo di embedded, di lobby, di padrini e di padroni.

Era a conoscenza dei dettagli delle carriere dei suoi allievi: “Ti ricordi quello che veniva sempre col loden sgualcito? E' alla Rai... E quello che fumava la pipa? E' al Messaggero... E l'amante delle moto? Al Corriere...”. Aveva sempre dettagli freschi, anche sulle loro vite sentimentali.

Una volta volle informarsi se era vero che in uno scatto d'ira a via Due Macelli avevo scagliato una macchina da scrivere su un collega. No, è una leggenda metropolitana. In realtà l'avevo afferrata e alzata in aria...

Mi parlava della sua “gavetta”, della Rai, di Scalfari, Pertini, Lisa Gastoni, di Maestrelli, Maurizio Barendson, Paolo Valenti, Cassano...
Dei politici che andavano a trovarlo a via delle Petunie.

Da “editore di se stesso”, era fiero di aver imparato, oltre che a dirigere i giornali che fondava, anche l'amministrazione, i meccanismi dell'editoria e tutto il background che consente a una testata di arrivare in edicola. Scherzava: “Anche mandare un giornale di pagine bianche in edicola è un'impresa...”.

Ce l'aveva con me perché gli davo del “lei”. “Non riesco a farmi dare del tu da te... - celiava – è il mio vero, grande cruccio...”. Ci fu un anno in cui il Gruppo Sigma fece un attivo di qualche decina di migliaia di euro.

Poi, nel 2008, credo, il governo tagliò i fondi alla piccola editoria, quella meno controllata dai grandi gruppi editoriali impicciati con la politica politicante, la migliore e più collegata intimamente al territorio, dalla parte dei cittadini e i loro bisogni.

Il Gruppo entrò in crisi, anche a causa della diminuita pubblicità istituzionale: la politica che vuole servi e incenso, gli faceva pagare la sua indipendenza di spirito, da uomo sempre libero. Chiese aiuto ai politici, fidandosi di loro. Uno in particolare lo menò d'attorno per un anno senza mai degnarsi di una risposta. Maleducato.

E ai nomi di spicco dell'imprenditoria cittadina. Che si negarono per qualche soldo che avrebbero dovuto impegnare per salvare una voce libera che pure loro avevano usato e di cui avevano goduto. Stento ancora a crederci: una città di mercanti, di fatturati alti e aziende in attivo, chiude il borsellino per qualche spiccio, una fidejussione? Una delusione anche per me, che da leccese mitizzo la Bari mercantile.
Il direttore ci soffrì, si ammalò.

Ci manca un sacco oggi che il giornalismo ha perduto la sua aura romantica e i giornalisti sono dei burocrati che spesso cercano una notizia per nasconderla, o brandirla, e le redazioni sono deserte e prive di maestri.

Le sue erano sempre affollatissime, dei serragli (al Gis piaceva il termine “caserma”) dove si imparava il desk e le bozze, il tondo, il corsivo, il carattere bastoni e il metropole.

Ma soprattutto a stare al mondo e a essere uomini con la schiena dritta.