Tusiani, Papini e una miracolosa solitudine

di LIVALCA - Finalmente oggi 8 luglio ho trovato non il tempo, ma la giusta ipocondria per ‘gustarmi’ questi schivi versi di Joseph Tusiani. Premessa: fra poche ore Roberto Gervaso compirà 80 anni e mi è tornato in mente un pensiero (Chi sa star solo non si sente mai solo) del giornalista-scrittore che ben si ‘integra’ con il titolo che il poeta italo-americano ha dato alla sua composizione: ‘ Solitudine latina’. Un uomo solitario è uno che rifiuta ogni contatto con i simili e, quindi, non riceve affetto ed amore e di conseguenza non può darlo. 

Se poi scendiamo nei particolari ci rendiamo conto che la solitudine a volte è condizionata dal fatto che non sempre è possibile evitare determinate persone. Come è una verità sacrosanta che un educatore non può essere un amante della solitudine, ma deve vivere il contatto con il discepolo con la naturalezza di chi sa che i suoi insegnamenti saranno accettati. Con un volo ‘pindarico’ non sempre giustificabile - forse neanche attinente - mi è venuto in mente il filosofo greco fondatore della scuola di Elea, quel Parmenide che sostenne che solo l’essere è, il non essere non esiste. Dell’unica opera di Parmenide ‘Sulla natura’ sono giunti a noi ampi frammenti che vi riassumo velocemente - sperando di non rimanere solitario lettore-scrittore di questa digressione - seguendo i miei ricordi non sempre ‘fedeli’ alla…stesura.

Parmenide viene condotto dalle figlie del Sole, su un cocchio (immagino trainato da Cavalli… è da una una vita che ‘trainiamo’ di tutto!) finché ad un certo punto le strade del Giorno e della Notte si dividono. In questo luogo si trova un ‘portale’ che guida alla dea, cui deve pervenire l’uomo che deve avere certezza di scienza: nel caso specifico guardiana del varco è la Giustizia, che concede il passaggio e l’accesso alla dea. La dea impone al nostro di apprendere tutto, tenendo bene a mente una distinzione fra i sensi che lo informeranno delle false opinioni degli uomini mortali - che non contengono verità - e la Verità assoluta che si raggiunge con il pensiero logico.

Questo fiume di vocaboli da me adoperati vengono da Tusiani racchiusi in undici parole: ‘sopra una terra che sembra diversa ma è sempre la stessa’.

L’accostamento che sto per fare a qualcuno potrà apparire frutto di demenza alzheimeriana, ma proprio per questo godo di immunità-impunità. Questa ‘SOLITUDINE LATINA’ di Tusiani, buona ma non eccelsa creazione, mi ricorda Giovanni Papini e le sue ‘Cento pagine di poesia’ composte prima della clamorosa conversione al cattolicesimo del 1921; altre liriche di Tusiani, ritengo, possono farci pensare alla raccolta ‘Pane e vino’ di Papini che vide la luce verso la fine del 1925.

Perché la ‘Solitudine’ mi ha portato verso Papini? Coloro che sono ‘colti’ direbbero ‘ La solitudine’ appartiene alla Pausini: ecco il motivo per cui hai pensato a Papini. La verità è che stanotte, su un canale televisivo non famosissimo, hanno fatto i nomi di personalità nate in questa data ed anche dei deceduti eccellenti. Io, che per motivi affettivi sono legato al giorno 8 luglio, ho notato che, fra i morti, non veniva citato Giovanni Papini. Non una lacuna, non una dimenticanza e nemmeno un riferimento a quell’affermazione scomoda di Papini che recita: ‘L’imbecillità dei filosofi ‘profondi’ è così immensa che è superata solo dalla infinita misericordia di Dio’, ma un segno di tempi poco…riflessivi.

A questo punto reputo che i lettori stiano pensando che solo un miracolo li possa salvare ed, invece, io regalo loro un ‘PRIMO MIRACOLO’ di Tusiani e un piccolo aforisma-miracolo di Papini che può essere applicato a questo mio improvvisato scritto fuori programma, poco ‘pensato’: ‘ Un giornale non merita di vivere se in ogni numero non dispiace a qualcuno’.
           

SOLITUDINE LATINA
Beata solitudine latina,
nei trivi e nei quadrivi t’intravedo,
nella folla di schiavi e di liberti
che schiamazzano eppur son tanto soli,
ognuno coi suoi sogni appena infranti
e con le rinnovate sue paure.
Tra di loro mi aggiro per sentire
ed appurare cosa li divide
da me, da questo mio vicino e tanto
lontano secolo a me stesso ignoto.
Rimane uguale e immutevole sempre
la Solitudine, sia essa vestita
di toga e clamide o tailleur e tait.
È l’anima che mai non cambia, l’anima
con i suoi ritmi di allegrezza e pianto
sopra una terra che sembra diversa
ma è sempre la stessa.
Joseph Tusiani
New York, 30 giugno 2017

IL PRIMO MIRACOLO
Dati i lavori in corso nella zona,
per otto lunghe ore non avremo
acqua stasera fino a domattina.
Si affrettano famiglie a riempire
pentole e secchi, calici e bottiglie,
per i bisogni urgenti fino a quando
non torni a funzionare in ogni casa
acqua di rubinetto e frigorifero.
Ad un’altra famiglia è già volato
il mio pensiero, in mezzo a una gioconda
festa di nozze al suo punto più alto.
Con la madre invitato a quel convito,
un giovinetto taciturno, figlio
d’un falegname morto l’anno prima,
disse “Non habent vinum” (in latino
per non mortificar parenti e amici
ed inservienti affaccendati intorno)
e bisbigliò che si riempisse d’acqua
ogni càntaro e conca sull’istante.
Qualcosa nel suo sguardo era fulgore
di un altro mondo, e in quelle sue parole
qualcosa era comando a cui le stelle
del cielo, pronte, avrebbero obbedito.
Senza fiatare, allo strano comando
acqua fu presto versata in ogni anfora
ed in ogni boccal di legno e rame.
Sorrise il figlio alla madre per dirle
che il miglior vino sarebbe bastato
sino alla fine del giorno felice.

Joseph Tusiani
New York, 9 dicembre 2016

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