Xylella, forse c'è un siero che la contrasta


di FRANCESCO GRECO - TAURISANO (LE) – Quattro buche ai 4 punti cardinali, a un metro e mezzo di distanza dal tronco, riempite del siero derivante dalla lavorazione del latte. Che finisce nell'apparato radicale. E la pianta reagisce, riprende vita, vegetazione: risorge. Se siamo alla svolta tanto attesa è presto per dirlo, no a conclusioni affrettate.

Suscita però una piccola speranza il risultato empirico di un'altra sperimentazione, l'ennesima, autarchica, partita nello scorso aprile in Salento. Una delle tante che si mettono in campo da quando gli ulivi secolari – più attaccabili delle piante giovani perché con molto xilema pregno d'acqua - cominciarono a morire, sino allo spettacolo da brivido delle foreste spettrali, da film horror, attorno a Gallipoli kalle-polis, una decina di anni fa (effetto-spelacchio). Qui non ci interessa la dietrologia: com'è accaduto, chi, dove, quando e perché, ma la dialettica planetaria e la condivisione della conoscenza a contrasto di una lebbra micidiale che ci sta impoverendo tutti, e da tutti i punti di vista. E a riprova che tutti sono impegnati, ci sono stati i colleghi del N.Y Times che hanno fatto dal Salento bellissimi reportage, condividendo il nostro dramma. Mentre il sindaco di Taurisano ne ha parlato con Paolo Mieli.

E mentre la politica si dedica alle passerelle e alle coreografie, nonché alle miserabili speculazioni di qualche politici locale dall'istinto criminale, è avvolta nelle sue stesse liturgie autoreferenziali, fra velleitarismi guasconi e populismi da luna nel pozzo i migliori alleati della farfallina che uccide gli ulivi, il paesaggio e noi stessi, la nostra anima antica e nobile, che intanto implacabile avanza (focolai a Monopoli nord, cioè, Bari, il ministro Centinaio che promette sfracelli déja-vù e poi non accadrà nulla, arriverderci al prossimo show, lo status quo è desolante), c'è anche chi, scarpe grosse e cervello fino, fa da solo e combatte contro “un nemico nuovo”.
 
Due studiosi svizzeri (un agronomo di Berna e un chimico di Lugano) che, almeno per adesso, non sono interessati alla visibilità mediatica. E che da anni analizzano il fenomeno in incognito, sul campo, “fra i contadini disperati, ormai arresi...”. Sono partiti da studi di laboratorio sulla complessa problematica eseguiti da alcune Università del Belgio, di cui c'è traccia sul web (si ritiene che, dalla California alla Florida, 130 atenei al mondo sono al lavoro su questa ispida tematica) e hanno intrecciato  conoscenze sospese fra laboratorio e pratiche antiche, accumulando ampia e si direbbe convincente documentazione.

Particolare curioso: il protocollo dei belgi sarebbe stato proposto all'Unione Europea, che sinora non avrebbe dato alcuna risposta. Succede con la burocrazia, mentre Atene piange, Sparta ride.
 
E alla fine hanno osato delle conclusioni che ci hanno dato in un incontro de visu e poi nella sperimentazione diretta nell'uliveto: si sono procurato a costo zero del siero dalla lavorazione del latte di aziende casearie del Barese (che pagano per smaltire), e si sono recati in un uliveto a Taurisano (la città del grande filosodo Giulio Ceaare Vanini, fra Gallipoli e Casarano), in agro “Don Franco” e hanno praticato delle buche attorno alle piante malate, riempiendole della sostanza (circa 5 litri): “Cura ricostituente” l'hanno chiamata. E con lo stesso siero hanno sanificato le ferite dei tagli dei rami morti. Ai loro studi è interessata anche una multinazionale tedesca che produce antibiotici.

Della serie: nella vita ci vuole passione, un autentico dolore, come diceva von Eichendorff, ti apre un solco. E vedere gli alberi ereditati dagli avi ammalarsi e morire per i due studiosi è stato uno choc terribile per chi ama la terra. Il tono accorato delle parole ben misurate nell'incontro che abhiamo avuto davanti a un caffè è rivelatore di una sensibilità e amore per la terra e le sue creature, alla “Laudato sii”.
 
“A fronte della sperimentazione durata sinora solo 3 mesi, e della stagione secca – dicono – abbiamo notato una reazione della pianta, una vegetazione inconsueta, nel senso che appare rinvigorita e la chioma più folta...”. Il nutriente (l'enzima del lattosio) quindi potrebbe aver quanto meno ostacolato e forse magari fermato il processo del disseccamento rapido e devastato le colonie del batterio-killer occludenti i vasi che portano la linfa nutriente.
 
Ora la sperimentazione (“un protocollo possibilista”) proseguirà, mentre “fra gli olivicoltori è tornata la speranza di difendere il lavoro e l'amore dei loro antenati...”. Se il siero con i suoi enzimi (lattoperossidasi) è il Sacro Graal che si cerca vanamente da anni è ancora presto per dirlo. Ma forse, chissà, siamo sulla buona strada, una volta per tutte.

“Noi siamo forti e tenaci come i thailandesi, e come loro ce la faremo....”, sorridono mentre ci stringiamo la mano nella  controra mediterranea stordita dalle cicale: sono diretti all'uliveto per un altro trattamento.
 
Ovviamente, aspettiamo ulteriori conferme di un processo virtuoso che contrasterebbe il batterio-killer che porta al disseccamento della pianta dono di Athena. Ora solo il tempo dirà la parola definitiva.

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