Roma nei sogni di Fellini

di WALTER CANNELLONI - ROMA. Come affermava Fellini, “Roma è la storia di una città vista con gli occhi di colui che la racconta. E' un insieme di fantasie, ricordi, evidenze, annotazioni, affetti e risentimenti come possono affiorare nell'anima di chi si propone una rappresentazione di questa città composita, contraddittoria e, soprattutto, inesauribile”.

E sono l'infinità di azioni spesso interrotte, di gesti intravisti, di personaggi spesso non necessari a tessere la trama del film, che si apre con un amarcord autobiografico del regista ai tempi di Rimini, con la prima conoscenza di Roma basata sui ricordi scolastici di Giulio Cesare e del Rubicone, e sui “peplum” cinematografici ammirati nelle sale cittadine.

La pellicola prosegue con l'arrivo del giovane Fellini a Roma, prima della guerra, presso la famiglia Palletta, un pensionato multiforme dove si aggirano personaggi curiosi ed eccentrici, e con le mangiate pantagrueliche nei ristoranti trasteverini, dove il giovane giornalista riminese scopre i rigatoni alla pajata e le lumache al sugo.

Il film si sposta poi al 1972, con le scene girate sul Grande Raccordo Anulare, dove un cavallo bianco galoppa solitario tra le autovetture intrappolate dal traffico, e i pullman di tifosi napoletani vengono sfottuti dai tifosi romanisti, mentre dei giovani contestatori si azzuffano con la polizia durante una manifestazione.

La scena si sposta a Piazza di Siena, dove frotte di turisti americani sciamano sui luoghi del concorso ippico e dove un gruppo di giovani studenti chiedono al vero Federico Fellini se abbia intenzione di girare un film sulla crisi delle fabbriche o sul degrado delle periferie urbane e Fellini risponde: ”Ognuno fa ciò che gli è più congeniale”.
 
E congeniale al regista è il grazioso ricordo di epoca bellica dello spettacolo di varietà (omaggio a Totò e ai comici di quel tempo), questa forma di intrattenimento a metà tra il Circo Massimo e il bordello, dove gli spettatori lapidano a parolacce gli artisti non graditi e lanciano gatti morti sul palco durante lo spettacolo.
 
La serata del varietà si conclude anzitempo con il suono minaccioso delle sirene antiaeree che invitano gli spettatori a raggiungere i rifugi e con l'evocazione del bombardamento di San Lorenzo da parte degli Americani.

Si racconta poi dei lavori della metropolitana di Roma, costantemente interrotti per il ritrovamento di resti romani e con l'apparizione onirica degli splendidi affreschi di una villa imperiale che, al contatto con l'aria, svaniscono disfacendosi in una pura immagine di dissoluzione paranormale che commuove lo spettatore.
 
Si passa quindi a Trinità de' Monti, dove i giovani hippy godono di una libertà sessuale che il giovane Fellini non si sognava neanche. E il ricordo torna agli “anni ruggenti” delle case di tolleranza, questi carnai umani dove attempate e maggiorate prostitute invitano i clienti a sfruttare la mercanzia, e dove il giovane Federico si innamora di una bellissima napoletana con la quale vorrebbe andare a pranzo fuori del bordello.

La scena passa nell'antico palazzo della principessa Domitilla, un'esponente della “nobiltà nera”, che ospita nella sua dimora delle sfilate di moda di abiti ecclesiastici, simbolo di lusso ma anche di morte, che vengono sublimate dalla presenza mistica del Pontefice, bardato di ricchissimi e rutilanti paramenti sacri.

La pellicola fa una capatina dalle parti di Trastevere, dove è in corso la Festa de' Noantri, vero totem della romanità. Tra stornelli e abbuffate, c'è anche chi, come il vero scrittore Gore Vidal, spiega il fascino che Roma esercita sugli Americani: ”Roma è come i gatti, indifferente. A Roma non frega niente se sei vivo o morto. E quale miglior punto di osservazione privilegiato per assistere, se ci sarà, alla dissoluzione del mondo intero?”. 
 
Nella notte Federico Fellini infine va a trovare Anna Magnani che rientra a casa e, sull'uscio del suo palazzo, con la voce fuori campo, le domanda se lei si senta il simbolo di questa Roma un po' lupa e un po' vestale, un po' aristocratica e un po' stracciona, e la grande attrice gli risponde scanzonata: ”A Federi', ma va' a dormi'!”.   
 
Il film si conclude con la corsa sfrenata di motociclisti vestiti di pelle nera che sfrecciano per le stupende vie della Città Eterna. Questa immaginifica rappresentazione di Roma non è, né può, né vuole essere completa, non esamina la realtà, ma scegliendo, ingrossando, deformando, la chiarisce magistralmente.

I personaggi che attraversano diagonalmente la narrazione, come i giovani pretini in tonaca che corrono lungo le vie di Roma, o come l'esercito di prostitute poppute vere messali della notte, non fanno altro che punteggiare il racconto in questa dimensione onirica dilatata al di là dei confini della realtà.

L'arte felliniana raggiunge qui una delle sue massime espressioni, e il film può essere considerato il migliore omaggio cinematografico che la città di Roma abbia mai avuto nella storia novecentesca della Settima Arte, ricevendo in regalo dal grande regista un ritratto vivido e contraddittorio, verosimile e deformato, che rimarrà per sempre nell'immaginario collettivo dei romani e del mondo tutto.

Regia: Federico Fellini; sceneggiatura: Federico Fellini e Bernardino Zapponi; musica: Nino Rota; fotografia: Giuseppe Rotunno; interpreti: Fiona Florence, Peter Gonzales, Britta Barnes, Pio De Roses, Federico Fellini, Anna Magnani, Gore Vidal, Alvaro Vitali.
Produzione: Italia 1972.
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