Prof. Selvaggi rievoca il suo primo ‘incontro’ col trapianto di rene

di MARIELLA COLONNA - ‘Solidarietà in rete - Verso una nuova coscienza’ è il tema del secondo incontro/spettacolo svoltosi qualche giorno fa nella sede de ‘L’Eccezione, cultura e spettacolo di Puglia Teatro’. Curato da Santa Fizzarotti Selvaggi, l’evento culturale rientra nel calendario della 45ma stagione artistica di Puglia Teatro per il ciclo ‘Solidarietà, dalla disperazione alla speranza’ patrocinato dal Ministero dei Beni culturali e del Turismo.

Diversi gli argomenti discussi: il valore della donazione degli organi a scopo trapianto, la solidarietà di chi dona, la speranza di chi riceve.

I lavori si sono aperti con i saluti di Grazia Andidero, responsabile della Sezione di Bari dell’Associazione Crocerossine d’Italia onlus, la quale, insieme ad Eleonora Attimonelli, ha illustrato le strategie messe in campo per fare rete. ‘Ci occupiamo - hanno spiegato - di molteplici aspetti come, per fare qualche esempio, la prevenzione delle malattie e la promozione della salute. Per essere incisivi, in una realtà che sembra evitare il dolore e negare la sofferenza, abbiamo cominciato a dialogare con le associazioni:per il CIF con le presidenti Benedetta Sasanelli (comunale), Marienza Boscia (provinciale). Per l’Amci con Filippo Maria Boscia. Ma anche con Innerweel, il FAI, la LILT. Abbiamo siglato un protocollo d’intesa con la Mater Dei e la Comunità greca di Bari. Diffuso la cultura della prevenzione del tumore al seno con l’aiuto del presidente della LILT, Francesco Schittulli, e del melanoma e acne giovanile con l’ausilio della dermatologa/oncologa, Mariella Garcovich’.

È seguito l’intervento di Francesco Selvaggi, professore emerito di Urologia all’Università di Bari, già direttore della Cattedra di Urologia e del Dipartimento delle Emergenze e dei Trapianti di organo, il quale ha sottolineato la difficoltà di fare il medico oggi. ‘Sono nato medico, sono figlio e nipote di medici, ed esercito la professione da cinquant’anni - ha spiegato -. In passato, fare il medico era molto più semplice perché per i pazienti eri considerato un elemento del Padre Eterno preposto a guarire, ad alleviare le sofferenze, o ad accompagnare fino al termine della vita. Ma anche il punto di riferimento a cui rivolgersi per problemi anche non medici, di vita quotidiana. Il progresso (anche della medicina) ha costruito una società più colta, “apparentemente” progredita, che ha modificato l’immagine del medico privandolo di quel carisma che lo rendeva l’interlocutore da consultare più di frequente dopo il sacerdote. Oggi il medico è una figura quasi “macchinale’’, accantonato il rapporto medico-paziente ed il transfert che si stabilisce tra loro, si predilige la tecnologia, si dimentica che il medico è un essere umano con i sentimenti, le debolezze, le miserie, che a volte possono interferire nella sua quotidianità. Di qui la necessità di una formazione permanente del medico di natura scientifica e relazionale utile a migliorare il suo rapporto con il paziente e la sua malattia. Io ho vissuto questo passaggio epocale e vi assicuro che la mia professione ha perso molte cose strada facendo: l’alleanza terapeutica con il paziente, vale a dire prendersene cura come persona in maniera amorevole e non come strumento che genera reddito. È per tutte queste ragioni che da direttore ho creduto nella formazione continua di medici e paramedici istituendo i seminari formativi ciclici’.​​​​​​​​​

Il contributo del prof. Selvaggi continua con il racconto della sua esperienza di pioniere nel campo dei trapianti, e non solo. 

‘A Los Angeles, in California, alla UCLA (University of California Los Angeles), all’età di ventisette anni, mi accolse un mondo di suoni, parole, costumi diversi, e tante nuove responsabilità. Ricordo che era ottobre 1968, alle diciannove, squillò il telefono di casa, ora insolita per le telefonate dall’Italia. Preoccupato alzai la cornetta e udii una voce femminile, la segretaria del prof. Kaufmann, che, non senza qualche sforzo considerata la mia povera conoscenza dell’inglese, mi diceva che il professore avrebbe iniziato di lì a poco un trapianto di rene da cadavere e mi invitava ad assistere. Interruppi la cena, mi rivestii in tutta fretta e corsi in sala operatoria per incontrare il mio primo trapianto di rene: ‘incontrare’ il trapianto è come ‘incontrare’ un amore. Nell’ottobre 1973, il primo trapianto di rene eseguito a Bari insieme al mio maestro, il prof. Giuseppe Marinaccio, al primo trapianto pediatrico, ai trapianti complessi, a oltre mille trapianti un anno prima del mio pensionamento dall’Università, ho coltivato questo ‘amore’ per il trapianto sia nella pratica clinica quotidiana sia nella ricerca. E sottolineo ‘ricerca’ perché il compito di un professore universitario è, tra l’altro, anche quello di promuovere, sviluppare e potenziare la ricerca scientifica, cosa non facile per chi trascorre molte ore in sala operatoria. Ho sempre fatto tanta ricerca clinica e di base, con la collaborazione di nefrologi, oncologi medici, internisti perchè il trapianto è multi e interdisciplinare. E perché si concretizzi il trapianto ha bisogno di dedizione, cura, impegno. E tanta intelligenza e sacrificio. Mio padre per vari motivi si trasferì a Molfetta, luogo di origini della famiglia di mia madre. L’esempio dei genitori è stato fondamentale: mio padre era medico ginecologo, ed io sono stato testimone del suo essere medico, un medico d’altri tempi, tempi che non dovrebbero mai tramontare. Era sempre vicino ai pazienti, ai loro problemi di salute e alle ansie della quotidianità. Mia madre si prendeva cura delle persone in difficoltà perché anche lei aveva avuto come esempio sua madre, Ave Fornari, che fondò a Bari la ‘Goccia di latte’, la prima rete assistenziale gratuita per le madri che non potevano allattare o che non avevano la possibilità di sostenere i loro figli. L’insegnamento di mio padre mi ha fatto comprendere l’assoluta necessità del rapporto medico/paziente: non si può essere pienamente medico se non si crea con il paziente oltre al rigoreprofessionale anche in egual misura un rapporto umano. Da loro ho imparato che al di là della ineludibile rigorosa professionalità è fondamentale avere un cuore e condividere con le persone le ansie, i problemi, pur non colludendo, per meglio aiutare. E’ questo sentimento che aiuta a costruire di una coscienza diversa. Una consapevolezza che dovrebbe facilitare la donazione libera e spontanea di organi dopo la morte. Senza questo atto testamentario di voler liberamente e responsabilmente donare i propri organi non può aver luogo nessun trapianto. Questa solidarietà facilita la cultura di una rete assistenziale non fondata su sterili parole. Ma autentica. Insieme al mio lavoro di chirurgo mi occupo moltissimo e da sempre di educazione alla cultura della donazione di organi, e non certo per un interesse chirurgico, perché credo che la cultura del dono possa cambiare la società.

Il prof. Francesco Selvaggi ha contribuito allo sviluppo, all’approfondimento e alla conoscenza di questa branca della medicina con circa 500 pubblicazioni di cui 150 su riviste internazionali. Negli anni ‘80 vi erano pochi letti disponibili per l’Urologia nelle corsie di Chirurgia generale dell’Università di Bari. Ma data l’importanza di questa comparto scientifico così importante ha istituito il reparto di Urologia nel Policlinico di Bari con annesso Centro Trapianti di Rene. L’urologia è un settore di grande rilevanza perché riguarda organi che sono fondamentali per la salute della persona nella sua interezza.

I lavori sono continuati con l’intervento di Vito Scarola, esperto di marketing e comunicazione, sull’attività dell’Aido, l’Associazione italiana per la donazione di organi, tessuti e cellule. Scarola è inoltre, vice presidente nazionale Aido e referente per l’Italia del sud. Già consigliere nazionale, presidente Aido regionale e comunale, ha contribuito all’incontro con due testimonianze. Emozionante quella di una madre che ha consentito l’espianto degli organi della giovane figlia deceduta in seguito ad un incidente stradale e trapiantati in una persona che è tornata a vivere.

È seguita la relazione di Gennaro Volpe, medico ginecologo in quiescenza dall’ospedale ‘Di Venere’ di Bari/Carbonara, che ha riferito sull’importanza della conservazione del cordone ombelicale. È presidente ADISCO, l’Associazione Donatrici del Sangue del Cordone Ombelicale dal 2010.
Durante l’incontro sono stati proiettati video inerenti il tema in questione e Teo Saluzzi ha letto testi poetici.
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