Va in pensione “Mesciu Ginu”, il barbiere di don Tonino


FRANCESCO GRECO - Sono due, una rossa, l’altra rosa pallido. Le conserva come le cose più preziose in fondo ai cassetti della bottega che dà sulla piazza principale, un luogo speciale da dove si osserva lo scorrere del tempo e la vita che passa un giorno dopo l’altro.
 
Le usava per un cliente particolare, che ha servito sin dagli anni Sessanta, quando era seminarista a Ugento. E dopo la primavera del 1993, il “dies natalis”, non le ha più toccate.
 
Le mantelline che “Mesciu Ginu” posava sulle spalle di don Tonino Bello provocano una tempesta di emozioni solo a sfiorarle, tolgono la parola: si resta a guardarsi, muti.
 
Con la voce incrinata, apre lo scrigno dei ricordi e ci regala il primo: "Un cardinale che un giorno passò da Alessano, anni fa, la baciò e mi disse: “Mi raccomando, maestro, conservala, perché questa è una reliquia…”".
 
A fine luglio va in pensione Luigi Protopapa, meglio noto come “Mesciu Ginu”, il barbiere di don Tonino Bello (a destra nella foto), il vescovo di Molfetta, Ruvo di Puglia, Terlizzi e Giovinazzo in odor di santità (prosegue il cammino della causa di beatificazione e belle novità sono nell’aria, ma non spetta a noi dirle).
 
A ben vedere, una notizia nella notizia: “Mesciu Ginu” è del 1943. In un mondo folle, in cui appena entriamo a lavorare da qualche parte già traffichiamo senza ritegno per andare in pensione, il barbiere ha deciso di chiudere bottega a 77 anni ben portati, e di certo non se ne starà con le mani in mano.
 
Ha servito don Tonino per tutta la vita, inevitabile una domanda: che tipo di cliente è stato? Istintiva la risposta: “Meraviglioso! Era di una umiltà unica… ”.
 
Partiva da Molfetta dopo pranzo con la Fiat 500 blu e arrivava ad Alessano nel pomeriggio, parcheggiava in un angolo di piazza Assunzione e fingeva di non vedere che i bambini giocavano con la sua utilitaria.

Qui, in quella che ha definito “la terra dei miei sogni”, passava 2-3 ore in tutta serenità. Aveva il senso delle radici, dell’appartenenza alla comunità, del vincolo del sangue. Vedeva i famigliari, “Mescia Maria” la madre innanzitutto (gli preparava cenette dai sapori antichi), i fratelli Marcello e Trifone, le nuore Tetta e Velia, i nipotini (Stefano ha dei ricordi inediti), don Gigi Ciardo, dinamico parroco della città, spesso un salto al Convento dei Frati Minori che gli ricordava l’infanzia e poi tutte le persone a cui voleva bene, e per tutti aveva un parola, un sorriso, un incoraggiamento. Faceva sentire tutti unici, grande anche in questo.

In quelle ore “rubate” ai mille impegni, intra ed extra moenia, alla faticosa mission che si era dato, trovava il tempo per sedersi nella bottega di “Mesciu Ginu”. Altro ricordo: “Aveva proprio una bella chioma…”. Quando pagava, per non far sfigurare gli altri clienti, infilava i soldi in tasca al barbiere, soddisfatto del suo lavoro.

A volte era così pressato dalla gente che voleva incontrarlo, salutarlo, che era la madre Maria Imperato ad affacciarsi a bottega – la casa dei Bello dà sulla stessa piazza un tempo detta Assunzione e ora intitolata proprio a don Tonino - per chiedere garbatamente: “Maestro, c’è Tonino, ti dispiace fare un salto da noi appena puoi?”. Due passi ed era già al lavoro.

Ironia della sorte: da bambina, Tina Ratano, la futura moglie di “Mesciu Ginu” andava proprio da “Mescia Maria” la sarta a imparare a usare ago e filo e il cortile era sempre pieno di fanciulle mandate lì dalle famiglie per lo stesso motivo. La ragazzina era sveglia e a volte aiutava la “mescia” a fare la “lavana” (sfoglia) per la pasta fatta in casa, orecchiette e cavaioli.

“Mesciu Ginu” fu allievo del maestro Antonio Pizzuto e ricorda la sua prima barba: era il 19 gennaio del 1953, Santu Pati. Prima il maestro lo aveva messo a insaponare il viso dei clienti, a levare i peli delle orecchie, la peluria. La ricompensa per i garzoni diligenti era di 5 lire. All’epoca la barba costava 15 lire, il taglio dei capelli 25. Ha fatto questa arte perché la sentiva sua, si mostrò subito portato, la gente di Alessano e dintorni guardava il ragazzino educato e gentile impegnato nel suo lavoro e diceva che aveva la “mano leggera”.

Confida: “Non avevo ancora la mia barba e già curavo la vostra… Non conoscevo la vita e, con discrezione, ascoltavo le vostre…”.

Per accomiatarsi dai mille e mille clienti passati nell’arco della carriera, “Mesciu Ginu” ha scritto una lettera affettuosa piena di tenerezza e di riconoscenza, di nostalgia e di un valzer di ricordi. Con le forbici e il rasoio in mano “sono diventato ragazzo, poi uomo, padre e tutto cambia...”. Riflette: “Non conoscevo nulla dell’amore ma sentivo le vostre magnifiche storie…”
 
Restiamo seduti al fresco della sua bottega, ad ascoltare i mille aneddoti di una vita, di un mondo che svapora. E’ una storia lunga 67 anni: personaggi eccentrici, avvenimenti importanti, eventi grandi e piccoli: “Mesciu Ginu” ha visto passare tutto in silenzio e conservato nella memoria. “Ero in piazza, vivevo la piazza anche la domenica con il mio socio Vittorio (nella foto a sinistra), facendo per voi piccoli miracoli per rendervi più belli e profumati…”.

Don Tonino è stato suo cliente per tutta la breve parabola esistenziale, “non mi ha mai cambiato”, riflette il maestro con motivato orgoglio. C’è anche un ricordo triste, la voce si spezza come se la scena gli passasse davanti agli occhi e lo turbasse: “L’ho servito anche quando si ammalò, veniva a chiamarmi il fratello Trifone… Andavo a casa sua, qui vicino, ma la bella chioma ormai non c’era più… Che tristezza! Lo trovavo a scrivere e a volte gli tremava la mano… Altre volte era coricato e dal lettino dettava alla nipote Raffaella il suo ultimo libro… Credo che in una delle sue pubblicazioni mi ha pure citato”.
 
Nella lettera, che rimbalzata dai cellulari col whatsapp, dalla Puglia sta facendo il giro del mondo, spiega che ha visto cambiare il paese, come dire dal bianco e nero ai colori. Veste i panni del filosofo: “Tutto è cambiato, noi siamo cambiati, la piazza è cambiata, la vita stessa è cambiata…”. Puro La Palisse.
 
Altra domanda inevitabile: com’è cambiato Alessano in questi 67 anni? “Quando ho cominciato era un paese vivibile, di grande umanità e solidarietà. Oggi purtroppo non è così, è peggiorato, da ogni punto di vista, vedo molto degrado...”.

Il cliente seduto in attesa del suo turno, di buon mattino (si entra uno a uno, previa telefonata) concordano: l’ultimo sindaco che ha amato il paese è stato Folco “Folchetto” Calzolaro. Più realista di un editoriale.

“Quanto è stato bizzarro e bello il mio lavoro…”, sorride. E conclude con una vena di commozione: “Mi mancherete”. E di sicuro, mancherà anche a tanta gente (alcuni vecchi clienti già gli chiedono se potranno disturbarlo anche dopo il 31 luglio) che lo ha conosciuto e apprezzato in questi anni volati in fretta, da quando aveva i calzoni corti a oggi che è un po’ curvo e ha il baffo brizzolato.

Mancherà come professionista, bravo nel suo lavoro, serio e discreto. E anche come uomo, di quelli di una volta, purtroppo sempre più rari…
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