I soprannomi a Bari: storia e curiosità


VITTORIO POLITO - Un “Quaderno monografico”, pubblicato nel 1992 dal Comune di Bari, firmato da Vito Antonio Melchiorre (1922-2010), edito da Mario Adda Editore, tratta un interessante argomento del costume barese a proposito di nomignoli e soprannomi.

È noto che il soprannome o nomignolo è un appellativo distintivo di una persona o di una famiglia, che si usava aggiungere al nome proprio, derivandolo generalmente dal nome di uno dei genitori, dal luogo di origine, dal mestiere esercitato, o da un appellativo equivalente, diverso, sotto certi aspetti, dal nome proprio e dal cognome, o che prende generalmente spunto da qualche caratteristica fisica, mestiere esercitato o altro.

Lo storico Melchiorre, consultando documenti e archivi baresi di oltre un millennio fa (quello di San Nicola parte dal 939, mentre quello della Cattedrale dal 952), ha trovato quantità incredibili di soprannomi.

Pare siano stati i romani a disciplinare per primi l’onomastica per cui ogni individuo possedeva un ‘prenomen’, un ‘nomen’, un ‘cognomen’ ed, a volte, anche un ‘agnomen’ (soprannome). In sostanza il prenome era il nome individuale, il nome consisteva nel gentilizio (comune a tutti i componenti), il cognome indicava la famiglia, comune anch’esso a tutti i membri, mentre l’agnome era un soprannome individuale, attribuito per speciali qualità, per azioni straordinarie, per abitudini o per qualche particolare merito. Questo si verificava nel periodo della decadenza e così non mancavano persone che avevano molti più nomi, come, ad esempio, il filosofo Boezio, che si chiamò Flavio Anicio Manlio Torquato Severino Boezio, o Quinto Fabio Massimo Temporeggiatore (Fabius Quintus Maximus Cunciator) per cui Quinto era il prenome individuale non trasmissibile, Fabio il nome comune e trasmissibile, Massimo il cognome pure comune e trasmissibile della famiglia e Temporeggiatore il soprannome personale.

Dopo la caduta dell’Impero Romano e l’avvento del Medio Evo, le cose cambiarono e le persone erano indicate con un solo nome, senza alcun appellativo. Con le invasioni barbariche pure i nomi romani furono abbandonati e sostituiti con nomi nuovi, alcuni dei quali ancora sopravvivono in cognomi moderni. Il diffondersi della fede cristiana, poi, determinò l’adozione di innumerevoli nomi di santi e martiri.

La lettura dei documenti ci informano che a Bari le cose andarono proprio così: infatti si leggono a bizzeffe nomi dei quali, insieme alla provenienza, greca e latina, si può individuare l’origine gotica, longobarda, araba, in relazione alle varie dominazioni cui fummo soggetti.

Nell’Età Moderna la Chiesa cattolica, con la tenuta dei registri dei battezzati, dei matrimoni e dei morti, che precedettero la tenuta dei registri di stato civile, diventati obbligatori nel 1563 in virtù di una norma fissata dal Concilio di Trento, contribuì non poco alla cristallizzazione dei cognomi. Nonostante ciò l’abitudine di attribuire soprannomi non cessò, ma continuò a fiorire rigogliosa e citati in tutti i rapporti della vita sociale insieme ai cognomi legittimi.

I soprannomi assunsero una tale varietà, al punto che si fecero addirittura raggruppamenti per categorie, a seconda della diversa derivazione. Abbiamo così soprannomi relativi a parti del corpo e difetti fisici (Pizzasanta, Belgiovine, Tignuso, Zoppica Vecchia, Lo Panzuto, Mancino, ecc.); caratteri e suoi difetti, abitudini o condizione sociale (Surchiabrodo, Poveriello, Pisciasole, Lo Matto, Carna Grassa, Lassa far a Dio, Cacone, Stronzillo, ecc.); mestieri, professioni, dignità, gradi (Cantatore, Cavalliero, Delle Pecore, Guardavaccaro, Scorciagatto, Cavalliero, ecc.); alimenti e vegetali (Pane Assutto, La Vermicocca, Pepe Dentro, ecc.); animali, insetti (Volpe, Palomba, Pappamosca, Lacerto, Pitone, Favarulo, Mosca, ecc.); oggetti diversi (Falcevecchia, Tornese, Di Chiummo, Delle Patacche, ecc.; agenti atmosferici: Di Mal Tempo, Trema Terra, ecc.); sacrali (Spoglia Cristo, Della Morte, Madalena, La Pietà, ecc.); città, nazionalità, nomi propri (Betlem, Di Bisceglia, Di Manfredonia, Venetiano, D’Otranto, Schiavone, ecc.); origine incerta (Ciuddo, Lo Gratulo, Sciscio, Zanno, Quagliarulo, Nannacotta, Garbuglio, ecc.).

Oggi l’indagine sui soprannomi non è più possibile, poiché un decreto del re Gioacchino Murat n. 198 del 29 ottobre 1808 non consentì più la registrazione dei cognomi accompagnata da quella dei soprannomi, per cui oggi tutto è affidato alla tradizione orale, non sempre attendibile.

Infine, nell’età contemporanea, a partire dal 1789 ai nostri giorni, l’usanza di affibbiare soprannomi non è del tutto scomparsa, soprattutto nel centro storico barese, ma i portatori non si sentono minimamente offesi.

Vito De Fano (1911-1989), non si è lasciato sfuggire l’occasione per scrivere una poesia riferita appunto ai soprannomi dei baresi.

Ngocche sopanome de le barise

di Vito De Fano

 

Mba Nòfrie u tèrte e don Mechele u ciùmme

nzjeme a Gnagnùdde e Cole mjenze core,

Fafuèche, Fattacciùcce e Cape de cchiùmme,

scèrene da Pasquale manad’ore

 

pe disce ca Gugù pjette a palùmme,

u figghie de Perchiùse u prefessòre

che Beccone, Brezànghe e mba Chelùmme,

Sparrèdde, Megnerùdde e Ciola gnore,

 

jèrene sciùte a case de Peddècchie,

u ziàne de Gnessé menza sciàbbue

e canate a Gelòreme quattècchie,

 

pe demannà percè ca u figghie scàbbue,

apparolàte a Rose mammalàgne,

mò spesàve la figghie de Zù Fagne?

 

E Peddècchie arraggiàte respennì:

Sciàte da Calandrjedde o Corighì,

ca chisse, amisce, no nzò… fatte mì.

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Da “Benàzze”, di V. De Fano, Schena Editore, Fasano (Br), 1986.

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