Aldo Moro e Angelo Fizzarotti al teatro Duse


DELIO DE MARTINO - Quando si parla di Aldo Moro il pensiero vola subito alle tragiche immagini del sequestro e del ritrovamento del corpo nel bagagliaio della Renault 4 rossa il 9 maggio 1978. Quelle immagini, ormai scolpite nell’immaginario collettivo, sono state nel corso degli anni reinterpretate da diversi linguaggi artistici, soprattutto dal cinema e dal teatro. Tra le tante pellicole incentrate sull’ultimo sacrificio di Moro hanno fatto storia Il caso Moro di Giuseppe Ferrara e soprattutto Buongiorno notte di Marco Bellocchio, che ha raccontato i 55 giorni tremendi della prigionia da parte dei brigatisti, e la fallita trattativa fino al tragico epilogo, mescolando documenti reali e fiction cinematografica.

Anche il teatro ha onorato la memoria del grande statista con diversi spettacoli sugli anni di piombo. Dal progetto, poi abortito, di Dario Fo di mettere in scena il sequestro in poi, molti altri registi hanno portato sul palcoscenico Moro. Tra i testi teatrali spicca L'ira del sole, un 9 di maggio, scritto dalla stessa figlia di Moro, Maria Fida, e dal giornalista Antonio Maria Di Fresco.

Nel cuore di tutte queste opere c’è sempre il pathos tragico di una vicenda storico-politica, un ingrediente efficace nella narrazione cinematografica e ancor di più in quella tetrale, dove i conflitti di sangue, fin dall’epoca classica, sono connaturati alla stessa natura dell’arte scenica.

Aldo Moro: Papa o Re? di Teodosio Saluzzi - andato in scena il 6 e 7 novembre al teatro Duse di Bari con l’accorta regia di Cristina Angiuli a cura della compagnia teatrale Il Vello d'Oro - si discosta decisamente da questo immaginario mainstream, mostrando con insolita delicatezza e finezza il lato più quotidiano e filosofico dell’uomo.

La scelta di raccontare gli anni precedenti alle note vicende di cronaca e l’immagine privata invece di quella pubblica permette di cogliere la profondità e la spiritualità, quasi mistica, del pensiero politico di Moro che in anni più recenti lo avrebbero portato sulla soglia della beatificazione. Frequenti i riferimenti ai testi biblici e alle parabole evangeliche che suggeriscono un’identità di novello Messia.

Ma soprattutto Aldo Moro: Papa o Re? indaga la profondità della personalità complessa e inattuale dello statista pugliese scavandone il rapporto di amore con i suoi luoghi dell’anima, Maglie, la città natale, e Bari, simboleggiata dalla casa della sua “seconda famiglia”, quella di Angelo Fizzarotti, dove è ambientata tutta l’opera.

Le scene sono infatti istantanee delle vite parallele di Moro (interpretato da Felice Alloggio) e di Fizzarotti (interpretato da Aldo Fornarelli) dal 1943 al 1978, dalla gioventù agli anni del matrimonio, a quelli della cattedra nell’università di Bari, che a lui sarebbe stata poi intitolata, alla vigilia del trasferimento nella facoltà di Scienze politiche a Roma, limes ideale della nuova vita pubblica, agli ultimi giorni prima del sacrificio. Il pensiero dello statista è raccontato attraverso una serie di scene a due, nelle quali il vero protagonista è il dialogo filosofico-politico con un altro intellettuale, suo fraterno amico di giovinezza, Angelo Fizzarotti. Nella conversazione in cui i due amici si confrontano e si misurano sull’idea di progresso, di politica e di cultura, accanto a quella di Moro, emerge anche la personalità forte, sincera e leale di Fizzarotti, un intellettuale altrettanto generoso ma con maggiore senso della realtà, con i piedi per terra. Lo spettatore è invitato così a confrontare le due posizioni quasi contrastanti e a parteggiare ora per le idee di Moro, più ecumeniche e mistiche, ora per quelle più hobbesiane di Angelo Fizzarotti, più scettico sulla spontanea e naturale bontà dell’animo umano.


Divisi da un tavolo che ora li separa ora li unisce e che al contempo diviene luogo di incontro e di “simposi filosofici”, i due restano, con le loro idee a volte vicine altre volte distanti, sempre più uniti da una profonda amicizia e stima.

I quadri sono tutti introdotti da una narratrice dalla voce suadente (interpretata da Cristina Angiuli), la figlia di Angelo Fizzarotti, la nota poetessa Santa Fizzarotti Selvaggi, all’epoca bambina ma attenta testimone degli incontri tra i due, e oggetto, nell’ultimo quadro, dei complimenti di Moro per la sua produzione artistica messa in mostra a Roma. Questo peculiare punto di vista femminile incornicia delicatamente tutti gli incontri come un filo d’Arianna.

Altre due donne completano il cast dei personaggi: Donna Carmela, la moglie di Angelo (interpretata da Anna Maria Damato), gentildonna d’altri tempi, e la “serva” (Maria Alabacello), unico ma indovinato personaggio comico, impertinente e invadente con le sue domande insistenti, efficace ed utile da un lato per sottolineare l’atteggiamento caritatevole di Moro verso gli umili, dall’altro per creare allegre scenette in cui, tra barese e italiano, si gioca sul vivace contrasto tra classi sociali diverse, quella nobile/altoborghese dei protagonisti e quella più popolana della domestica.

Le allusioni al futuro sacrificio di Moro sono sfumate, attraverso oscuri presagi accennati da Moro stesso che, quasi rivolgendosi al pubblico, si dichiara consapevole che presto lo “faranno fuori” ma nello stesso tempo pronto ad affrontare con coraggio il suo destino.

Nel complesso un’opera che invita anche i giovani a riscoprire da una nuova prospettiva più intima due personalità di grande spessore, Aldo Moro e Angelo Fizzarotti, e più in generale quel tessuto intellettuale che da Benedetto Croce in poi ha animato il secolo breve e che costituisce il fondamentale sostrato culturale della nostra regione e del paese intero.

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