Doveri informativi e responsabilità d’équipe (Seconda parte)

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VINCENZO NICOLA CASULLI -
Quanto al primo limite di natura fattuale, consistente nella riconoscibilità o prevedibilità dell’errore altrui, emerge come nell’ambito di un trattamento sanitario d’équipe, più medici si occupano, in modalità sincronica o diacronica, della cura del paziente, ciascuno dovendo compiere precise attività legate al proprio ambito di conoscenza e specializzazione, nel rispetto delle relative legis artis. Laddove però emergano delle circostanze tali da far presagire che il collega abbia violato o stia violando una regola cautelare, in tale ipotesi, la scorrettezza appare evidente e prevedibile, così che l’assenza di un intervento rimediale dovuto all’inerzia del medico comporta l’imputazione dell'evento infausto in cooperazione colposa ex art. 113 c.p. tra il medico in errore diretto e il medico che non ha fronteggiato tale circostanza nonostante la posizione di garanzia di cui è stato investito e la riconoscibilità della imperizia.

Ne deriva che i parametri per valutare la colpevolezza consistono nell’evidenza e nella non settorialità dell’errore altrui. Orbene, mentre il concetto di evidenza è da intendersi in termini qualitativi, cioè come concreta percezione o percepibilità dell’errore da parte di un professionista, impegnato nelle mansioni di sua competenza, il concorrente requisito della non settorialità concerne la rilevabilità dell’errore tecnico sulla base del patrimonio di conoscenze comuni ad ogni sanitario, ancorché sprovvisto delle specifiche cognizioni tecniche del medico che ha commesso l’errore.

A tal proposito, in materia di affidamento, la giurisprudenza ha affermato che «l’obbligo di diligenza che grava su ciascun componente dell’equipe medica concerne non solo le specifiche mansioni a lui affidate, ma anche il controllo sull’operato e sugli errori altrui che siano evidenti e non settoriali».

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