Ulivi di Terra d’Otranto, il paesaggio torna a verdeggiare. Ecco i consigli dell’esperto


FRANCESCO GRECO -
Toh, anche la Scienza si accorge della ripresa vegetativa degli ulivi di Terra d’Otranto. Un fatto del tutto naturale, la natura ha anticipato i luminari e ha trovato la forza dal suo immortale dna. Così il paesaggio torna a verdeggiare.

Fino a ieri si sbeffeggiavano gli “stregoni” che osavano parlarne, li ritenevano quasi blasfemi, come avessero il monopolio del dibattito.

Ora, per stare sul pezzo e soprattutto non potendo negare che il codiro arretra, cosa fanno dall’alto dei loro scranni? Retrodatano il fenomeno addirittura di tre anni. Col molto italiano: l’avevo detto io… Peccato che in questi ultimi anni hanno continuato a spargere terrore (il trend del momento) e ad andare per dibattiti, convegni, tavole rotonde e quadrate come se niente fosse ricalcando sempre la stessa narrazione.

E peccato che la maledetta burocrazia funzionale a fidelizzare la gente spacciando i diritti per favori, consigliava agli olivicoltori di eradicare, previo permesso degli uffici regionali, che dopo anni non è mai arrivato. Il costo della pratica, ovvio, a carico del contadino. Giusto per mantenere eserciti di burocrati senza arte nè parte, ma utili al momento del voto.

Intanto la CIA (Confederazione Italiana Agricoltori), con un tempismo alla Jascin, dopo oltre dieci anni e rotti e milioni di piante infettate, chiede che Terra d’Otranto sia dichiarata zona danneggiata, quindi da ristorare.

Magari intende gli olivicoltori con migliaia di piante, titolari di aziende agricole, mica quelli, la maggioranza - a fronte della parcellizzazione del latifondo - che hanno ereditato piccoli appezzamenti dal padre e dal nonno, comprate dagli agrari e i baroni succhiatori di sangue umano a prezzo dei duri sacrifici dell’emigrazione.

Perché, a leggerla bene, anche la xylella fastidiosa ha avuto una lettura di classe. I soldi dei ristori dati quasi esclusivamente a imprenditori agricoli, e pochissimi ai piccoli agricoltori: anche per questo le particelle sono state abbandonate e oggi sono preda del fuoco.

Situazione tragica, ma non seria, direbbe Ennio Flaiano. Ne parliamo con Ivano Gioffreda (Spazi Popolari, Sannicola, Lecce, a due passi da Gallipoli), da una vita nei campi, anche in questi giorni di sole cocente, un cordone ombelicale che proviene dal padre e dagli antenati e che rafforza ogni giorno. Uno dei pochi che non si è fatto confondere dalla narrazione mainstream.

Cosa sta succedendo negli uliveti? Le piante non erano morte, buone per la legna?

“Bisogna andare indietro nel tempo per comprendere le cause del disseccamento”.

Entriamo allora nella macchina del tempo, prego…

“Agli inizi degli anni 2000, lavoravo per la Coop Olearia Sannicolese, quando alcuni soci mi avvisarono che c’erano degli strani disseccamenti. Andai a visitare alcuni campi, la situazione era ovunque la medesima: alberi di ulivo disseccati con i frutti attaccati. Ovviamente, non sapevamo quali fossero le cause. Nel 2002-2003 ci fu un’annata piovosa e molto umida, gli ulivi defogliarono in tutto il Salento. 

Un paesaggio spettrale, dalla provincia di Lecce fino alla piana degli ulivi secolari di Ostuni-Fasano. Situazione che si protrasse nel tempo, fino a quando, nel dicembre 2010, ricevetti un invito a partecipare a due convegni organizzati dalla Facoltà di Agraria dell’Università di Bari. Il primo dei due convegni si tenne presso il Consorzio di bonifica Ugento- li Foggi, il tema era il disseccamento degli ulivi, anche se all’epoca si parlava di lebbra degli ulivi”.

Chi erano i relatori? 

“Erano presenti i massimi esperti della scienza: l’allora Preside della facoltà di agraria di Bari prof. Vito Savino Nicola, il prof. Franco Nigro, micologo del Dipartimento biologia e chimica dell’UniBa e l’Agronomo dott. Giuseppe Mauro Ferro. Il tema era molto sentito, tant’è che la sala era gremita di olivicoltori, timorosi di ciò che stava accadendo ormai da tempo.

Questo per dire che il problema del disseccamento degli ulivi è abbastanza datato, e le cause, come ho sempre sostenuto, sono da attribuirsi a una serie di patogeni fungini, molto pericolosi, riscontrati da un’ampia letteratura scientifica”.

Patogeni che hanno trovato condizioni favorevoli per fare il loro perfido lavoro?

“Si sono sviluppati e diffusi a causa delle pessime condizioni agronomiche: insetticidi, fungicidi, diserbanti e soprattutto le concimazioni azotate, Urea, nitrato di ammonio, e dulcis in fundo, quello che qui nel Salento chiamano sale (solfato di ammonio) che ha fatto proliferare e diffondere i patogeni fungini all’interno dei vasi xylematici. Gli agronomi questo lo dovrebbero sapere! A questo aggiungiamo le cattive potature praticate negli ultimi decenni, da quelli che io chiamo ‘tagliatori di teste’!”.

Come avviene il contagio?

“Può avvenire in diversi modi: un modo è il vento umido che trasporta le spore dei miceti per km , un altro è il contagio diretto mediante le attrezzature meccaniche di aratura o con gli attrezzi da taglio, motoseghe (deleterie), lame di segaccio, forbici ecc. L’inoculo avviene attraverso le ferite da taglio o le gallerie scavate dalla zeuzera pyrina (rodilegno)”.

La coltivazione dell’ulivo in questi anni è mutata? 

“In questi ultimi dieci anni molto è cambiato: le terre sono state abbondanate, l’uso di sostanze nocive si è ridotto drasticamente e ciò ha favorito un equilibrio biologico delle piante. Poi è arrivata una manna dal cielo, le estati 2021-2022 sono state caldissime e secche, contribuendo a decimare i patogeni fungini. Noi tutti operatori del settore, sappiamo che il nemico numero uno dei patogeni fungini sono le temperature calde e secche e i venti di tramontana”.

La ripresa vegetativa è un processo che proseguirà nel tempo o solo un fatto contingente?

“Dipende da alcuni fattori ambientali, colturali, professionali e anche culturali. Il primo dei problemi comune a tutto l’Occidente è la mancanza di agricoltori che si possano prendere cura, non solo degli ulivi, ma della terra in generale e nel Salento, l’abbandono rappresenta oltre il 90% dei terreni. Abbandono dovuto anche alle norme restrittive imposte dall’Osservatorio Fitosanitario della Regione Puglia, secondo cui è vietato impiantare una lista lunghissima di piante ritenute suscettibili di ospitare xylella”.

Esigue anche le professionalità, par di capire…

“Esatto. A questo dobbiamo aggiungere la scarsità di manodopera a tutti i livelli, in particolare la categoria professionale dei potatori ormai scomparsi e sostituiti da boscaioli senza professionalità alcuna. Sappiamo benissimo che gli ultimi decenni di potature sbagliate e capitozzature selvagge, hanno contribuito a indebolire il sistema-pianta rendendola di fatto vulnerabile a qualsiasi patogeno”.

Cosa si potrebbe fare per ristabilire un minimo di equilibrio negli uliveti?

“A mio modesto parere la Regione Puglia, così come ha incentivato e finanziato l’eradicazione, avrebbe dovuto finanziare le potature, le sperimentazioni, le cure, che in questi anni hanno dato ottimi risultati e sono sotto gli occhi di tutti”.

E invece cos’è successo?

“E’ successo che i contadini resistenti non solo sono stati lasciati soli, ma sono stati anche denigrati, insultati dai media, dalla ‘scienza’ e dalle istituzioni politiche a tutti i livelli: locali, regionali e nazionali. Vorrei ricordare ai lor signori e ai Salentini tutti che, se ancora oggi abbiamo ulivi vivi e vegeti, lo dobbiamo proprio a quei contadini che non si sono arresi e con grandi sacrifici economici hanno continuato a crederci, salvando, di fatto, una parte della nostra memoria storica, paesaggistica e culturale”.

Tanti hanno fatto domanda di eradicazione e dopo 2-3 anni non hanno avuto risposta: cosa dovrebbero fare?

“Manifestare, manifestare e manifestare: davanti alle sedi dei Comuni di appartenenza o della Regione. Sappiamo benissimo che alcuni sindaci sono impegnati nella presentazione di libri e filmati propagandistici invece di impegnarsi a salvare o ripristinare parte del paesaggio compromesso. Il mancato supporto economico da parte della Regione Puglia a quei proprietari a cui è stata rigettata la domanda di espianto, ha di fatto incentivato gli incendi. Molti proprietari sono stati lasciati soli, non avendo le forze economiche per affrontare le spese di eradicazione, purtroppo hanno dato fuoco ai loro ulivi, e ancora oggi lo continuano a fare”.

Siamo alla follia: si fanno liste di piante cattive…

“La black-list di oltre 500 varietà di piante, arboree, da frutto, piante officinali e floreali, ha paralizzato l’intero comparto agricolo e florovivaistico. Di conseguenza, agli agricoltori che volevano espiantare gli ulivi secchi e diversificare non gli è stato concesso. La Regione ha finanziato esclusivamente gli impianti di ulivi intensivo e super-intensivo di solo due varietà di ulivo ‘resistenti’: FS17, la così detta Favolosa e il Leccino. Alla faccia della biodiversità!”.

E dire che eravate finiti in un film in cui addirittura vi si attribuiva la colpa della tragedia epocale…

“E’ facile scaricare le colpe altrui senza documentare i fatti, ma per loro sfortuna, in una vecchia intervista Silvio Schito, già direttore dell’Osservatorio Fitosanitario, affermava che le norme messe in atto dall’Osservatorio, suggerite dai ricercatori (capitozzature, sbrancature e arature), sono state deleterie per gli ulivi e ‘nessun agronomo le avrebbe mai consigliate’”.

Eccoci nel paradosso, tipicamente italiano…

“E quindi, di fatto, i veri responsabili della diffusione del disseccamento sono stati gli organi preposti alla loro salvaguardia. I propagandisti omettono di raccontare la verità su quanto accaduto. Non dicono che ci siamo battuti per ampliare la ricerca a 360°, richiesta avanzata direttamente all’allora presidente della Regione Puglia Niki Vendola, unitamente al commissario Giuseppe Silletti, all’assessore all’agricoltura Fabrizio Nardoni e al direttore di area Gabriele Papa Pagliardini”.

Rimasta lettera morta?

“Invece che cosa hanno fatto? Hanno chiuso le porte della ricerca a un gruppo ristretto di ricercatori, destinando loro centinaia di migliaia di euro. Quando si scrive un libro o si produce un documentario, come vogliono far credere, devono prima ascoltare tutti gli attori del caso, e magari visitare gli ulivi salvati dal disseccamento. Invece hanno preferito nascondere, silenziare le voci non allineate alla propaganda. Ma il tempo è galantuomo, diceva sempre mio nonno e prima o poi la verità verrà a galla”.

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