ESCLUSIVO. “Xylella, ecco come l’abbiamo sconfitta…”

di FRANCESCO GRECO. TERRA D’OTRANTO - Dire xylella fastidiosa è come dire leggende metropolitane. La neve dell’Epifania 2017 doveva ridimensionare il batterio, invece pare che lo abbia rafforzato. Altra leggenda: le cosiddette “buone pratiche”, la pulizia dei campi dalle erbacce infestanti. Irrilevante: ci sono distese di ulivi senza un solo filo d’erba, ma attaccate dal terribile batterio-killer.

Eppure, in questa tragedia biblica, tipo cavallette o lebbra, pare aprirsi un piccolo spiraglio di speranza per salvare una pianta secolare, trasfigurata nell’icona del Mediterraneo.

In Salento, da Lecce nord a Leuca, su circa 120 Ha, da oltre un anno, è in corso una sperimentazione informale, naturale, che sta dando buoni risultati (lo confermano soddisfatti alcuni olivicoltori di Alessano): risveglia e ripristina la vitalità e la produttività della pianta e ridimensiona l’azione devastante del batterio.

Ne parliamo con Roberto Polo, contadino.

DOMANDA: La vostra è una sperimentazione naturale: come funziona e in che modo agisce?
RISPOSTA: “E’ assolutamente una sperimentazione naturale. Funziona ripristinando la biodiversità microbica del suolo attraverso la somministrazione di specifici consorzi microbici, che vivendo in simbiosi con la pianta, provvedono a potenziare i nutrimenti e le difese attraverso meccanismi di induzione genomica. Per semplificare, come nell’uomo dopo una cura con antibiotici si ripristina la flora batterica con fermenti lattici, così noi provvediamo al ripristino della biodiversità simbiotica dell’albero e integriamo la sostanza organica”.

D. La pianta reagisce?
R. “Il ciclo di recupero consiste in una prima somministrazione di circa 5000 miliardi di spore ad albero, che si svilupperanno completamente in tre anni. Dopo il primo anno bisogna somministrare un decimo di 5000 miliardi di spore ad albero. Questo comporta che trascorsi circa 60 giorni i microorganismi cominciano man mano a riprodursi e collegarsi simbioticamente con le radici della pianta aiutandola a nutrirsi e ad assimilare tutte le sostanze necessarie. Inoltre gli endofiti dei consorzi microbici, andando in circolo nella pianta, provvedono ad attivare ledifese necessarie. L’albero reagisce rinforzando la vigoria vegetativa e talvolta ricacciando su branche secche nuovi germogli. Il processo di recupero non è immediato”.

D. E’ vero che si usa anche con gli ortaggi?
R. “Si può usare in qualsiasi coltura, in quanto il principio è uguale per tutte le piante. La differenza tra le frutticole e le orticole è che sulle seconde l’evidenza è immediata. L’importanza di questo approccio è che oltre ad aumentare le difese delle piante aumenta le proprietà organolettiche producendo cibi funzionali”.

D. Tutti possono fare questo trattamento?
R. “Tutti gli olivicoltori possono farlo per salvare gli ulivi, ma bisogna anche dare un reddito che garantisca una giusta remunerazione per poter assistere meglio le nostre campagne, quindi non più olio lampante ma alta qualità”.

D. Ci sono altre sperimentazioni diciamo così ufficiali in corso e che risultati stanno dando?
R. Come noi esistono circa 13 altre iniziative di sperimentazione approvate dalla Regione Puglia. Non posso conoscere i risultati delle in quanto la Regione non ha ancora provveduto a stanziare i finanziamenti approvati. Per questa ragione l’anno scorso abbiamo avviato una sperimentazione dal basso con circa 70 operatori agricoli e non, per una superficie di circa 120 Ha, che sta proseguendo e a Nociglia il 24 gennaio scorso abbiamo presentato i primi risultati”.

D. In futuro dovremo cambiare modo di coltivare, senza più chimica, come in passato e producendo olio di alta qualità?
R. “E’ abbastanza evidente il risultato della cosiddetta rivoluzione verde ed è necessario cambiare pagina in quanto i produttori agricoli hanno la responsabilità etica e morale di produrre alimenti che non danneggiano l’uomo. Oggi il cosiddetto benessere ha aumentato la disponibilità’ di cibo, ma di pari passo anche danneggiato fortemente la salute delle persone. E’ possibile fare agricoltura naturale e sostenibile”.

4 Commenti

  1. È come curare l'Aids col parmigiano.
    Muori lo stesso ma più in salute.

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  2. Magari fosse la soluzione. Purtroppo non ci credo molto, come non credo che bastino le buone pratiche agricole, queste ultime usate più come clava che come rimedio per i poveri agricoltori professionali e non. La verità, purtroppo, è sempre la stessa, a prescindere dalle reali cause e dalle eventuali colpe, resta il fatto che la politica a tutti i livelli ha chiuso gli occhi quando magari si era ancora in tempo per limitare i danni salvo poi cavalcare la protesta quando ormai è troppo tardi con il mero scopo di racimolare qualche misero voto per la loro misera vita. E questo, ovviamente, si riverbera su ogni singolo problema che attanaglia questa Terra disgraziata (vedi la TAP, la Xilella, l'Ilva, Cerano e via discorrendo). In estrema sintesi, se è vero che ogni popolo si merita il suo politico, un popolo di pecore si merita quantomeno un pastore distratto.

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    1. Siccome i vettori della xylella fastidiosa sono le larve degli insetti chr prosperano nel terreno sotto le radici (xylella che risale lungo i condotti dalle radici al corrispondente ramo che si rinsecca), era oltremodo utile la procedura di bruciare le sterpaglie attorno all'ulivo che bruciavano cosi tutte le larve e gli insetti vettori, come vera r propria disinfestaione. Ma i divieti di accendere i fuochi delle suddette sterpaglie non hanno fatto altro che favorire la diffusione della xylella fastidiosa.

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  3. la xylella è una patologia come tante viste negli ultimi 20 anni che hanno colpito diverse colture in giro per l'italia: la tristeza degli agrumi, il cancro del castagno, la batteriosi del kiwi la sharca delle drupacee.... tutte pesti nere che hanno messo in ginocchio il settore agricolo di riferimento. con ognuna di queste si è imparati a convivere ed a fare agricoltura..... perchè l'olivo è diverso? togliendo di mezzo le psicosi complottistiche e l'incuria degli agricoltori locali, quello che resta è una comune ma aggressiva nuova patologia.

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