IL COMMENTO / Macabro reality

Da oltre un mese a questa parte siamo inondati dalla congerie di articoli e di talk show sull'omicidio di Perugia e sulle macabre vicissutidini e riti di quella maledetta casa in Via della Pergola. Ora, che la curiosità dei giornalisti si accanisca sulle lubriche e inquietanti verità di Amanda Knox o sul "ragazzo della porta accanto" Raffaele Sollecito, questo non mi stupisce affatto. D'altronde, siamo abituati in questi anni a sorbirci una serie di fumettoni costruiti di sana pianta dai nostri giornali, solamente per risollevare le sorti di testate decrepite e senza ormai più idee, se non quelle inerenti allo sciacallaggio mediatico di tipo coroniano. Certo, mi si potrà obbiettare che i gialli e i casi polizieschi hanno catturato l'attenzione di diverse generazioni sin dall'Ottocento. Ma quello che sta accadendo oggi è cosa ben diversa. Prima Novi Ligure, poi i poveri fratellini di Gravina, la folle querelle della Franzoni, Garlasco e ora questa ignobile vicenda di balordi figli del benessere. La cosa che più mi inquieta in tutto questo ambaradan mediatico è la corrività con la quale si passa da un omicidio all'altro, da un efferato reato all'altro, da una pesante macchia di colpevolezza ad una presunta innocenza cristallina, sino alla infermità mentale: tutti possono dire tutto e, anzi, devono dirlo. Da un carcere, da un'aula di tribunale, dalla propria dimora, da un abbacinante studio televisivo. Padri, mariti, zii. Ognuno deve confessare la propria intima natura, i suoi più inconfessabili vizi dietro un teleobiettivo, magari mentendo spudoratamente, ma l'importante è che sia appetibile mediaticamente. Che dica la verità, questo davvero non importa, tanto oggi c'è spazio per tutti. Questa è l'era del reality.

Vito Ferri