IL REPORTAGE / Oltre l'orizzonte la speranza, la storia di Abdul

di Nicola Ricchitelli
Caricati sui barconi con la speranza di arrivare, perché la prima sfida è quella, che il viaggio dopo aver avuto un inizio abbia anche una fine. Basta un soffio di vento per far agitare le acque, e far finire quel viaggio tra le onde del mare che ti portano via per sempre.
Poi arriva l’alba, l’ennesima, ma questa volta non più dinanzi a sé solo le infinite distese acque di mare, ma quel lungo filo che tutti chiamano orizzonte oltre il quale tutti pensano che ci sia una vita dignitosa, oltre il quale tutti credono ci sia una vita migliore di quella che ci si è lasciata dietro. Poi, però, non è proprio tutto come qualcuno aveva raccontato, perché, oltre quella linea chiamata orizzonte, bisogna combattere.
Quei dettagli scaturiscono dal colore della tua pelle, perché il colore della pelle sa essere molto spesso un dettaglio davvero pesante, alimenta il pregiudizio, prima, e l’indifferenza, poi.
Finisce così che ti ritrovi tra le vie di una qualche città ad elemosinare, e a dormire in alloggi di fortuna.
In questo caso sono le vie della città di Barletta lo scenario di tutto questo, Barletta con le sue vie e i suoi quartieri, Barletta e la sua gente per bene, Barletta e il suo profondo senso di religiosità.
Il tutto avviene dinanzi agli occhi di persone che entrano ed escono da un supermercato, dinanzi a quelle stesse persone che sentono di dover andare a testa alta per il solo fatto di andare tutte le domeniche in chiesa e mettere quei dieci centesimi nel cestino delle offerte.
Soffermarci a guardare ciò che accade dinanzi ai nostri occhi tal volta può rivelarsi un inutile perdita di tempo, specie quando tra le strade della nostra città si vivono storie e realtà che per il solo fatto di non appartenerci in prima persona le ignoriamo, fingiamo di non vederle, perché ci fa comodo, perché farsi i fatti propri in fondo paga sempre.
Tra le vie di Barletta, Abdul, ragazzo di 27 anni proveniente dal Marocco, sembra non esistere, tutti fingono di non vederlo. Cerca vestiti e cibo tra i cassonetti della spazzatura quando cala il buio, in modo che nessuno possa vederlo. Non chiede la carità come fanno alcuni suoi connazionali davanti ai supermercati, dove la risposta più consueta da parte dei nostri concittadini è “andate a lavorare!”.
Abdul è solo, anzi, preferisce esserlo, poiché una delle alternative è quella che molti suoi amici gli propongono: la criminalità organizzata.
Abdul, è giunto a Barletta dopo un'odissea che dal Marocco lo ha portato in Libia, e di lì, per la cifra di 5000 euro, ha attraversato tutto il Mediterraneo. Durante la traversata gli scafisti gli hanno gettato il passaporto in mare insieme alla sua identità, finchè non è giunto a Messina, dove ha soggiornato per qualche tempo in un centro di accoglienza.
Da Messina, in clandestinità, Abdul giunge a Napoli dove per un anno viene reclutato per lavorare nelle campagne, sfruttato e sottopagato. Poi, l’arrivo a Barletta, in coincidenza con l’inizio della vendemmia, in una situazione non assai diversa da quella vissuta a Napoli.
La storia è sempre la stessa, una storia che vede protagonista lui e molti suoi concittadini, e quello che accade nelle campagne di Barletta è spesso ignorato da molti, o, forse, come detto prima, è meglio farsi i fatti propri.
Abdul spesso e volentieri viene portato nelle campagne da agricoltori barlettani per la vendemmia, dove lavora per molte ore, poi, qualche minuto prima della fine della giornata lavorativa, viene bruscamente allontanato con la minaccia di chiamare le forze dell’ordine, senza un grazie e naturalmente senza un centesimo.
Abdul non può ribellarsi, non può sporgere denuncia, non può far valere uno straccio di diritto, poiché lui è un clandestino. Tutto quello che si può fare è raccontare, perché come lui altri vivono la sua stessa situazione, e stiamo parlando di tutti quei ragazzi di colore che ci ritroviamo davanti ai supermercati a chiedere l’elemosina.
Sono gli stessi che alloggiano in capanne di fortuna dislocate nella pineta situata dalle parti della litoranea di ponente, o anche sulla spiaggia stessa; gli stessi che hanno affrontato il duro inverno in condizioni disumane. Aiutarli con i soli centesimi che ci avanzano dalla spesa o con qualche cappotto superfluo nell’armadio non basta e potrebbe non bastare.
Aiutare questi ragazzi a toglierli dalla strada non è solo un gesto di umanità o di carità cristiana, ma significa dimostrare di essere un paese che sa accogliere chi è in difficoltà, così come sono stati accolti i padri dei nostri padri quando emigrarono con le valigie di cartone nelle terre del Sud America, e degli Stati Uniti; significa anche toglierli dalla rete della criminalità organizzata che in loro spesso trova terreno fertile per le proprie attività illecite.
Significa avere coscienza che anche noi siamo stati immigrati e, perché no, potremo un giorno esserlo; significa non cadere in quel luogo comune dove le parole immigrato e colore sono sinonimo di diversità, perché, a quel punto, è bene tenere a mente certe frasi contenute in certe canzoni, "se pensi che il diverso sia da cancellare, tu spera solo di non dover emigrare".

23/06/2011

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