La Corte europea si pronuncia sull'embrione umano: una sentenza al di là di ogni ideologia

di Maria Teresa Lattarulo. Con sentenza del 18 ottobre 2011 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunziata sulla nozione di embrione.
Il caso concreto riguardava un trattamento per la cura del morbo di Parkinson brevettato da un ricercatore tedesco e ricavato da cellule staminali embrionali mediante un processo che comportava la distruzione dell’embrione, sia pur ad uno stadio iniziale di sviluppo (blastocisti). La registrazione del brevetto era stata annullata dall’organo competente, su ricorso di Greenpeace, in applicazione della direttiva 98/44/CE sulla "Protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche" la quale vieta la brevettabilità di invenzioni che comportino la distruzione di embrioni umani.

Il ricercatore aveva quindi fatto ricorso al Tribunale federale tedesco in materia di brevetti contestando che la blastocisti potesse essere considerata embrione ed il Tribunale aveva rimesso la questione alla Corte di Giustizia.

La nozione di embrione accolta dalla Corte di Giustizia nella sentenza in oggetto è la più ampia possibile e si estende all’ovulo fecondato fin dal primo istante della fecondazione, in quanto il processo di sviluppo della cellula conduce alla formazione dell’organismo umano. Essa inoltre comprende anche l’ovulo non fecondato, ma nel quale sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura, nonché l’ovulo non fecondato indotto a dividersi e svilupparsi per partenogenesi.

Tale definizione è stata subito oggetto di un vivace dibattito in quanto appare stranamente conforme con la nozione di embrione umano data dalla Chiesa cattolica.

Bisogna tener presente tuttavia che si tratta di una nozione finalizzata esclusivamente all’interpretazione del diritto comunitario e, in quanto tale, a differenza di quanto alcuni commentatori hanno prospettato, non può avere ripercussioni sul diritto nazionale, in particolare sulla legge sull’aborto.

Inoltre non mi sembra si possa affermare che si tratti di una decisione “ideologica”: basti solo riflettere sul fatto che la vicenda giudiziaria ha avuto origine da un ricorso di Greenpeace che non può certo definirsi un’organizzazione di ispirazione cattolica.

Credo che tale vicenda debba piuttosto condurci a riflettere sull’opportunità di liberarci dei condizionamenti ideologici che ci derivano dalla storica contrapposizione avutasi, nel nostro Paese, fra il pensiero della Sinistra e quello della Chiesa cattolica: appare ormai limitante pensare che la tutela dell’essere umano e della sua dignità nei confronti delle manipolazioni genetiche anche a scopi commerciali e di lucro debba essere necessariamente una questione cattolica anziché essere una questione di tutti e, perché no, anche una questione “di sinistra”.

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