Ilva: azienda, no a vendita prodotti da terzi. Accordo su cig 600 operai in deroga


TARANTO. Ilva comunica di aver ricevuto dai Custodi nominati dal GIP di Taranto una lettera in cui danno seguito alla disposizione dello stesso Giudice in merito alla vendita dei beni sottoposti a sequestro. Lo riferisce la stessa azienda in un comunicato. Ilva - prosegue la nota - ricorda che il ricavato della vendita di questi beni sarebbe vincolato in un conto bloccato a disposizione dei magistrati in attesa di futura sentenza e ribadisce che, secondo le disposizioni del GIP, nulla del ricavato di tale vendita potrebbe essere utilizzato per l’attuazione dell’AIA.


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Cig 600 operai in deroga


Come già comunicato da Ilva, tutto ciò è palesemente contrario alla legge 231 del 2012 che prescrive sia il diritto all’esercizio di impresa che la commercializzazione da parte dell’azienda di beni sequestrati. Le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dal GIP e dal Tribunale non fanno venir meno e non sospendono la legge in vigore che deve quindi essere applicata e alla quale Ilva intende attenersi.

A tale proposito l’Azienda conferma che impugnerà in ogni sede il provvedimento del GIP del 14 febbraio scorso.

Ilva - conclude la nota- non intende dare il proprio consenso alla commercializzazione dei prodotti da parte di altri soggetti perché lesivo del diritto di impresa e, dal momento che diversi ordini sono stati cancellati negli ultimi mesi dai clienti per l’indisponibilità della merce, si riserva di chiedere i danni a chi dovesse risultarne responsabile.

Monta intanto la protesta in città dopo l'annuncio di cassaintegrazione per oltre 6000 operai Ilva. Lo Slai Cobas per il sindacato di classe ha distribuito oggi davanti alle portinerie dello stabilimento Ilva di Taranto volantini per protestare contro la decisione dell'azienda di collocare in cassa integrazione straordinaria 6500 dipendenti. Occorre "mobilitare fabbrica e città per fermare la mano di padron Riva, Stato e governo dei padroni" che vogliono "scaricare la crisi dello stabilimento sulla pelle degli operai".

“Il prezzo dell’ambientalizzazione dell’azienda, di anni di incuria e di promesse mai mantenute da parte della proprietà, non può essere presentato solo ed esclusivamente ai lavoratori, che fin troppo hanno sopportato e sofferto, assieme ai cittadini di Taranto, una situazione insostenibile e drammatica”.
Aldo Pugliese, Segretario Generale della UIL di Puglia, scandisce a chiare lettere l’opposizione netta del sindacato alla misura assunta dall’Ilva, che prevede la cassa integrazione per 6500 lavoratori.
“La proprietà, ancora una volta, maschera la propria incapacità gestionale – attacca Pugliese -   dietro minacce di bassa lega, puntando il coltello alla gola dei lavoratori. E’ un colpo basso a cui purtroppo l’Ilva ci ha tristemente abituati, un gioco al massacro che non può essere tollerato oltremodo. Non si può giustificare il ricorso alla cassa integrazione massiccia tirando in ballo le opere di bonifica quando da parte dell’azienda non si è mai fatto luce sul futuro della stessa. Dov’è il piano industriale che i Riva avrebbero dovuto presentare al vaglio del garante? E dove sono i congrui fondi a supporto? La verità è che si continua a navigare a vista, senza un progetto serio e lungimirante. E intanto si colpiscono i lavoratori, quando invece si potrebbe attingere, ad esempio dagli elevatissimi utili registrati nei 17 anni di attività, magari rilevandoli dalla cassaforte lussemburghese di famiglia, la Holding Fire Riva”.

Pugliese parla di “credibilità pressoché nulla da parte dell’Ilva”, ricordando che “fu proprio il presidente Bruno Ferrante a dichiarare che nessun lavoratore sarebbe stato collocato in cassa integrazione, bensì utilizzato per l’attività della stessa Aia”.

“Non ci stiamo e a queste condizioni non firmeremo alcun procedimento. Il numero di cassintegrati annunciati – chiosa il Segretario Generale della UIL regionale – oltreché deciso unilateralmente dall’azienda, calpestando così ogni diritto sindacale dei lavoratori, è inaccettabile e incomprensibile, assolutamente spropositato rispetto alle reali necessità dettate dal piano di risanamento imposto dalla normativa vigente. Pertanto invitiamo il garante Vitaliano Esposito, che già in passato ha dimostrato nella sua carriera in magistratura profondo raziocinio e buonsenso, a intervenire tempestivamente per rivisitare a fondo le intenzioni dell’azienda e per controllare, quindi, se effettivamente tutti i lavoratori che l’Ilva è intenzionata a inserire in cassa integrazione sono il risultato delle fermate degli impianti previste per la messa in opera di quanto previsto dall’Aia”.