Province: cancelliamole, ma attenzione al territorio

di Antonio Negro - Dopo il pronunciamento della Suprema Corte, che ha dichiarato nullo, per vizio di forma, il decreto di accorpamento delle Province, in quanto la procedura usata dal governo Monti era sbagliata, si è riaperto il dibattito sull'utilità o meno di tale provvedimento.

   Ho letto, un paio di settimane fa su un quotidiano locale, un autorevole commento di Simona Manca, vicepresidente della Provincia di Lecce. Le sue tesi sono ricche di elementi di riflessione tali che mi hanno indotto a fare alcune considerazioni, sebbene da semplice cittadino, appassionato di politica e curioso di capire ciò che si muove intorno alla società e a me stesso, comune mortale privo di cariche e titoli, considerazioni che ho più volte esternato anche in altre occasioni, quali riunioni, convegni, dibattiti.

   L'aspetto che più colpisce di tutta questa vicenda è che si opera sempre senza un criterio di fondo ben preciso e stabilito, all'italiana maniera, direbbe qualcuno che conosce il modo di operare di altri Paesi con lo stato di diritto certamente più consolidato, rispettabile e rispettato del nostro.

   Infatti, il criterio di fondo che dovrebbe ispirare questa riforma non può che essere inquadrato in un contesto più generale di riforme dello Stato, sia istituzionali che organizzative e territoriali e con obbiettivi tali da rendere più efficiente e più snella tutta la macchina centrale e periferica, avendo sempre come scopo principale quello di avvicinarla quanto più possibile al cittadino quale primo e ultimo anello della società organizzata.

   Abolire le province in modo avulso dal contesto delle riforme in cantiere, tutte, comprese quelle della giustizia, dei tribunali, delle forze dell'ordine (solo in Italia ci sono tanti Corpi di Polizia), del riassetto del territorio in generale, significa agire senza criterio e in base solo alle esigenze del momento, che sono quelle di dover tagliare a tutti i costi per la spending-review necessaria al risanamento del debito pubblico.

   L'abolizione delle province va quindi inserita in un quadro di programmazione generale del riassetto istituzionale e territoriale del Paese per renderlo più moderno ed efficiente, e non solo in funzione della spesa pubblica da contenere.

   Vi è poi un altro aspetto non meno importante, ed è quello legato alla credibilità delle forze politiche e dei partiti allorquando presentano i loro programmi ai cittadini e agli elettori, oltre che ai loro tesserati e militanti; l'abolizione delle province è stato un punto importante delle ultime campagne elettorali e veniva sbandierato come un obbiettivo certo da raggiungere da parte delle forze politiche una volta al governo.

   Ebbene, al momento della prova pratica, molti addetti ai lavori, e proprio coloro che dal palco urlavano che avrebbero abolito le province, hanno cominciato a mettersi di traverso. Ecco, quindi, che la classe politica perde di credibilità proprio perché si presenta agli elettori con un programma ben definito e poi, passata la campagna elettorale, continua a fare il contrario di ciò che aveva detto e affermato.

   Le giustificazioni non mancano, naturalmente, a sostegno del cambio di rotta e di programma, perché non c'è dubbio che l'ente provincia, di cui parliamo, abbia svolto e possa continuare a svolgere un ruolo e una funzione importanti nell'erogare alcuni servizi intermedi tra l'ente locale e la regione.

   Tuttavia, se si ridiscute il riassetto del territorio, non c'è dubbio che quei compiti e quelle funzioni debbono essere derogate ad altri enti o istituzioni, e il dibattito serve proprio a trovare le migliori soluzioni possibili, soluzioni che potrebbero essere individuate nell'ente locale in primis, ma anche  nelle unioni dei comuni, le città metropolitane, o accorpamenti di altra natura, ecc.

   Comunque, anche il ruolo e la conformazione delle regioni vanno rivisti in funzione di questi obbiettivi perché alcune aree potrebbero ricevere un ulteriore danno al posto dei benefici auspicati. Prendiamo, per esempio, la nostra situazione, quella del Salento già fortemente penalizzato dalla grande distanza del capoluogo Bari, a causa della lunghezza della nostra Regione; è chiaro che proprio la Provincia di Lecce potrebbe ricevere più danni che benefici, specie nella parte più meridionale del suo territorio, il Capo di Leuca, il sud del sud.

   Ecco, allora, che è necessaria una riflessione più attenta, anche se questa andava fatta a monte e non dopo che sia giunta, ormai, la certezza dell'abolizione delle province. Anche perché, a questo punto, non resta altro che trovare in fretta soluzioni alternative per demandare compiti e funzioni in base alla nuova pianificazione: e la fretta, si sa, è cattiva consigliera.