Il decreto sulle armi nel Paese delle 100 Polizie
di Antonio Negro - Pochi lo sanno, ma in questi giorni si sta discutendo, nelle competenti commissioni della camera e del senato, un decreto così detto dell'acquisizione e del controllo delle armi. E' una materia difficile, complessa e ostica, soprattutto per il modo di legiferare italiano; è qualcosa per addetti ai lavori che, tra l'altro, sono anche pochi in Italia. Non solo, ma trattandosi di armi, appunto, c'è la convinzione che meno se ne parla meglio è, anche perché si rischia di far scadere la discussione sul chi è favorevole e chi è contrario; naturalmente, per tranquillità di tutti, si sta parlando di armi sportive e per la caccia. Questo, appunto, è un settore che va governato come tanti altri, senza infingimenti e senza speculazioni ideologiche o di altra natura.
L'Italia in questo campo primeggia nel mondo, in particolare per quanto riguarda le armi sportive e l'intero settore vale circa un punto percentuale di Pil: una cifra di tutto rispetto che potrebbe migliorare ancora se non si ponessero ostacoli burocratici e normativi che tendono continuamente a vessare i produttori e gli stessi cittadini possessori di armi regolari.
Il mondo venatorio e del tiro sportivo sono i maggiori beneficiari di questa realtà, ma bisogna tener presente che i migliori risultati, in termini economici, si hanno nel campo dell'esportazione, perché all'estero i nostri modelli sono apprezzarti per qualità e prezzo.
Nel settore sportivo l'Italia ha raggiunto di recente numerosi successi a livello mondiale e molti sono i giovani che si stanno avvicinando a questa disciplina. Basti pensare alla medaglia d'oro delle scorse olimpiadi ottenuta da Jessica Rossi, una ragazza determinata fin da piccola a raggiungere quei risultati.
Le leggi italiane non sono liberali, anzi sono tra le più severe al mondo e i controlli, fatti anche in maniera esasperata e caotica, sono tanti e tali da scoraggiare molte persone ad avvicinarsi a questa realtà. Alla base di tutto c'è una filosofia di fondo che ha guidato e continua a guidare il nostro legislatore ed è legata al triste periodo delle brigate rosse e del terrorismo in genere, di qualunque matrice ed origine: il timore che le armi, tutte le armi, anche quelle sportive e per lo svago, possano finire col favorire questi fenomeni, inducono le autorità e i governanti ad agire in modo da scrivere ed interpretare tutte le norme in funzione anti terrorismo, e finiscono col produrre limiti assurdi alla libertà personale e domiciliare del cittadino. I possessori regolari di armi sportive, o da collezione o per la difesa personale, non hanno nulla da spartire con il terrorismo e la malavita organizzata: i cittadini per poter essere autorizzati a possedere armi devono godere di fedina penale pulita e dare garanzie di modelli comportamentali adeguati. Solo in un paese che si trincera dietro l'ipocrisia che riscontriamo alla base di ogni discussione, questo argomento diventa tabù. E proprio la mancanza di discussione rende l'argomento ancora più difficile e materia per soli addetti ai lavori e si rischia che, essi, gli addetti ai lavori (non gli esperti, che sono tutt'altra cosa e che in Italia si contano sulle dita di una mano) facciano il bello ed il cattivo tempo, spesso inventando regole e prescrizioni che nulla hanno a che vedere con la normativa in vigore, già severa di per se.
L'Italia è chiamato il paese delle 100 polizie: carabinieri, polizia, finanza, forestale, provinciale, municipale, guardia costiera, ecc... non sempre coordinate tra di loro ed ognuna col proprio numero di chiamata. E dell'Italia si dice anche che è il paese delle 100 questure, proprio perché in materia di armi vi sono comportamenti, tempi e modi diversi di agire e di applicare le leggi dello stato.
Il decreto che si sta discutendo presso le commissioni di camera e senato prevede norme applicative della legge 204/10, una legge di recepimento della Direttiva europea n. 51/2008 in materia di tracciabilità delle armi, e di alcuni aspetti tecnici legati ai caricatori ed alla tipologia delle stesse.
Ebbene, in un quadro che è ben preciso e delimitato, e che tende a meglio definire alcuni elementi proprio per uniformare la materia su tutto il territorio comunitario, alcuni funzionari del Ministero dell'Interno cosa stanno tentando di fare? Stanno cercando di far passare alcune norme più restrittive di quanto previsto dalla Direttiva medesima, finendo addirittura con l'inserire ulteriori articoli fuori delega.
Evitiamo di entrare nei dettagli per non generare noia e confusione tra i lettori che poco sanno di questa materia complicata.
Vi è stato, però, un coro di protesta da parte di molti addetti ai lavori, in special modo dagli stessi produttori di armi, e da associazioni che difendono i diritti dei cittadini legittimi detentori, e si sta cercando di bloccare questa ulteriore deriva illiberale del nostro paese.
Tra i più combattivi troviamo il giudice Edoardo Mori, massimo esperto di armi in Italia (autore, tra l'altro, del codice delle armi) che cura quasi giornalmente la materia sul suo sito "earmi" e la Fisat (federazione italiana storia armi e tiro).
Anche molti parlamentari stanno seguendo la vicenda con attenzione, del resto è anche compito loro visto che si tratta di norme da approvare.
La stessa Mariastella Gelmini, già ministro della Pubblica Istruzione, da più parti sollecitata, ha dimostrato interesse alla vicenda ed ha manifestato il suo impegno e la sua attenzione nelle sedi opportune, perché il decreto non finisca col penalizzare un intero settore di eccellenza italiana.
Sta di fatto che la scarsa conoscenza di questi problemi e la mancanza di dibattito e di discussione fuori e dentro le sedi opportune finiscono col riversarsi in termini negativi, appunto, sia sui fruitori della materia, i cittadini ignari ed inconsapevoli, che su una parte dell' economia del paese.
Quando tutto viene lasciato all'improvvisazione, i furbi se ne avvantaggiano immediatamente ed il paese resta eternamente in situazione di emergenza con lo stato di diritto sempre precario, se non addirittura calpestato, talché non riusciamo mai ad andare a regime come gli stati europei poco più a nord dell'Italia. E per andare a regime occorre governare e regolare tutti i settori della società, compresi quelli difficili o impopolari, che possono anche non piacere, come quello delle armi. Solo così diventiamo un paese maturo e libero, in cui tutti si è chiamati a rispondere delle proprie responsabilità.
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CRONACA
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