Xylella: "Speriamo che gli ulivi si salvino da soli..."

di Francesco Greco. SANNICOLA (Le) – Francesca è una bellissima bambina riccioluta di 4 anni e gioca col triciclo colorato sotto lo sguardo del giovane papà. La sorellina Chiara, un anno, dorme tranquilla in braccio alla mamma. Un cane dal pelo fulvo si aggira per l'Auditorium Polifunzionale di Sannicola (nell'aria si respira la salsedine del mar di Gallipoli che ci rende tutti vaghi e ottimisti), addossato a una chiesa che richiama vagamente il romanico e dove s'è dato appuntamento il popolo sconvolto dalla xylella, il batterio-killer che dall'ottobre 2013 sta torturando gli ulivi e che vive il nefasto evento come una tragedia, un attentato alla propria storia, un agguato a tradimento contro le radici, la memoria, il dna: l'anima di una terra e di una collettività.

Saremo circa in 300, giovani e meno giovani ma determinati e forti, molti contadini 2.0 d'ogni età, ragazzi col tablet, reporter della domenica, agronomi, imprenditori, medici, intellettuali (finanche una batterista dalla Sardegna), semplici cittadini del Salento che non si spiegano come mai la micidiale farfalla fastidiosa sia giunta proprio qui, a turbare il secolare silenzio di opere monumentali della natura, che pure, fra rodilegno e oziorrinco, ne hanno viste, e vinte tante.
 
Il cane senza nome gironzola fra le file di sedie sparse nell'emiciclo, poi d'un tratto balza agilmente sul palcoscenico come se cercasse anche lui una ribalta, se avesse da dire la sua su un tema dove di opinioni ne circolano a iosa, spesso stravaganti, certamente interessate (gli interessi sono alti, e non sempre legittimi), annusa le slide che scorrono, agita la coda, poi decide di scendere beccandosi il suo minuto di celebrità, alla Woody Allen.
 
Alla sorte degli ulivi dunque sono interessati in tanti, sic stantibus ed extra moenia. Perchè sono l'icona forte di un'identità agitata con passione, barocca, complessa, magnetica, diremmo quasi escatologica. Trasfigurata in un collante culturale. Contadini rugosi, con mani forti e nere, disseppelliscono le loro memorie, fra antichi fatalismi e filosofia fatta in casa, frutto dell'esperienza delle generazioni: "Speriamo che gli alberi ce la facciano da soli, che se è per noi...", borbotta uno che scappa via.

Al netto di terrorismo mediatico (qualcuno parla di "squali" e di "untori") e di un approccio ideologico, che può anche portare lontano, due autorevoli scienziati provenienti dall'Università della Basilicata ci dicono di star calmi, essere razionali, che lo scompenso è anche colpa nostra: con la chimica abbiamo rubato l'humus alla terra (prof. Cristos Xiloyannis, ordinario di coltivazioni arboree) e che occorre prepararsi a "qualche sacrificio" (eradicazione) per salvare gli ulivi (prof. Carlo Iacobellis, ordinario di patologie vegetali), perchè "la medicina ancora non c'è" e il batterio viaggia in alto, verso i rami, e sotto, alle radici. E non si indovina l'elemento che provochi la trombosi, il fero(r)nome che seduca la farfalla assassina. Si contava sul freddo dell'inverno per decimare le larve, ma non è bastato. L'ennesimo flop di apprendisti stregoni, di chi non ha mai avuto a che fare con un uliveto.
 
Sullo sfondo, l'Unione Europea, con i suoi sinistri burocrati (da "Der Spiegel"), che forse manco sanno dove sta il Salento, che emana bollettini di guerra, che incita a ulteriore rigore, ma in realtà, s'è detto al convegno, vuole solo che lo "sputacchino" resti qui, non superi il confine del Salento porta dell'UE, dov'è apparso due anni e mezzo fa. Ci si chiede se si vuol prostrare il Salento e il suo olio pregiato, per promuovere magari quello di altre regioni o nazioni europee (al Senato della Repubblica c'è quello andaluso), ma sono solo ipotesi, vaghezze, anche se, andreottianamente, a pensar male si fa peccato ma talvolta si coglie il senso oscuro delle cose. E, sempre sullo sfondo, convitata di pietra, la politica, la fuga indecorosa dei politici: c'è solo il sindaco della città, che comunque a un certo punto sbuffa, si alza, saluta i relatori e se ne va. Davanti alle tragedie si scappa sempre. E se la agitano è solo strumentalmente, il tempo di una campagna elettorale.
 
Mentre la prospettiva è la desertificazione ("Il degrado della terra è dinanzi a noi", Marcello Seclì, Italia Nostra), l'alterazione del paesaggio (ulivo, pajare, muretti a secco), al minimo il cambio di "cultivar", si chiede ai coltivatori di procedere a potature leggere e arature superficiali ("buone pratiche" che in realtà fanno da millenni, "back to past"), e temendo che le larve si schiudano, si annuncia una "marcia su Roma" degli olivicoltori infuriati. Per il 30 marzo intanto è in calendario una processione nel Salento meridionale, da Gagliano a Santa Maria di Leuca: anche i Santi scendono in campo, oltre a tutti i vescovi del Leccese: come nel Medioevo, quando li buttavano nei dirupi se non arrivava la pioggia e i raccolti soffrivano. I Santi e la Magistratura: c'è un'inchiesta della Procura leccese per vedere se casomai qualcuno ha sparso la peste bubbonica. E ne ha parlato anche il procuratore Giancarlo Caselli. E intanto occhio alle potature aggratis, mentre una facoltà di Agraria è sempre di là da venire.
 
Ci vorrebbero luminari, ricercatori, batteriologi, virologi, epidemiologi che lavorino di concerto: ma per ora ci si accontenta di un forestale barese (in Salento non ce ne sono), Giuseppe Silletti, che emana comunicati-stampa ogni mattina, delle "linee-guida" e a Sannicola si chiede, appunto, un pool di scienziati se si vuole essere seri. Ma occorre prepararsi a tempi lunghi: come negli Usa (solo nel 2010 hanno isolato il dna del batterio), dove i soldi per la ricerca ci sono, non se li mangiano lobby, mafie, massonerie, ecc. La situazione, alla Flaiano, è grave ma non seria. Gli alberi controllati sarebbero 16mila, quelli infetti appena 256. E allora perchè si parla di "milioni" di piante da abbattere? E perché si dice di una "barriera" ideale, come se il vento non portasse la farfalla assassina? Un contadino di Acquarica del Capo, Carlo Olimpio, porta la sua visione geocentrica, arcaica: la chimica, dice, ha distrutto sia i ragni che le formiche rosse, entrambi assassini che eliminavano gli "intrusi", che adesso passano anche ad altre varietà arboree: mandorli, peschi, macchia mediterranea, ecc. 3 minuti di celebrità anche per lui. Ci ricorda che l'ecosistema è sconvolto e le difese immunitarie della pianta debolissime.
 
Il cane dorme in un cantuccio, nessuno sa come si chiama, ma è una star. Francesca pedala e Chiara dorme. Che cavolo di mondo stiamo per consegnare alle future generazioni? Speriamo che ne sognino uno migliore. Lo dobbiamo alla loro innocenza, alla loro voglia di esserci, di appartenere a Demetra. In fondo l'ulivo c'è da prima di noi e ci sarà anche dopo di noi: la sua forza è infinita, forza e mistero, infinite, nude allegorie, sottintesi stilemi ossificati in archetipi. La terra si ribella, violentata, diventa matrigna. Stiamo uccidendo la madre. La xylella forse è solo una metafora, un contrappasso dantesco che dovrebbe aprirci gli occhi sul colera, le metastasi dell'anima, la corruzione del genoma, la lebbra del pensiero meridiano: le farfalle come le bibliche locuste portate dal capitalismo selvaggio in cui esiste solo il profitto: il cupio dissolvi in cui ci stiamo avvitando, ubriachi, come volessimo tornare al Big-Bang, al the end, la fine di un mondo, i suoi valori, una cultura. Nel primo mistero doloroso si contempla... Chissà, magari la volgare farfalla che sputa sulla nostra anima com'è venuta se ne andrà da sola e la profezia del vecchio contadino ("si salveranno da soli") si avvererà...  

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