INTERVISTA. Il mondo di Stefano Ferro: "Vi presento il mio progetto ‘Il Mercante dei pensieri’"

di REDAZIONE - Un disco intimo e realista proprio come l’autore. Stefano Ferro presenta il suo ultimo progetto discografico, ‘’Il Mercante dei pensieri’’, un album composto da 8 brani che raccontano la vita, le esperienze e le emozioni del cantautore veneto: il disco è prodotto da U.d.U. Ululati Records.

Chi è Stefano Ferro?
Parlare di me in prima persona è un'operazione che prima di tutto mi provoca imbarazzo. Non so se sia importante sapere come mi definisco, non sono un buon giudice di me stesso. Se parliamo di canzoni allora è presto detto: autore e cantautore. Tengo in modo particolare a citare entrambi i ruoli che coltivo separatamente riservando a ciascuna confini definiti, sebbene intimamente legati.

Cosa troviamo all'interno del tuo ultimo album ''Il Mercante dei pensieri''?
Nel disco si trovano sopratutto storie, quasi come in una piccola Antologia di Spon River dove i personaggi narranti, anziché privati del filtro della vita, incarnano metaforicamente da vivi una condizione umana non sempre necessariamente positiva: ci sono il Mercante di pensieri che tenta di vendere ideologie a scapito del nostro senso critico, ci sono un peccatore impenitente e un confessore corrotto protagonisti de Il confessando, un uomo costretto a vestire i panni stretti di un impiegato di bassa leva, (Lo scribacchino comunal), poi c'è un apostolo della dignità che emerge nel brano scuro Sogni profani e c'è la storia dei tre ladri, brano onirico ma che prende spunto da un episodio di cronaca nera di cento anni fa. Il disco contiene anche La ballata dell'assenza e dormi piano che sono due brani allegorici, e per finire 1915, una sorta di serenata tragica che catapulta due giovani innamorati al tempo inenarrabile della Grande Guerra.

Il tuo genere coniuga il rock alle sonorità del folk popolare. Perchè questa scelta? 
Prima ancora che una scelta consapevole le sonorità rispecchiano un vestito che avverto ben cucito e che veste bene non soltanto le canzoni ma che mi appartiene e riflette le influenze del repertorio sul quale mi sono formato fin da ragazzino. Cresciuto a suon di Guccini, De Andrè, Bubola e De Gregori, mi è parso abbastanza normale subire una sorta di "imprinting musicale".

Un palco dove ti piacerebbe suonare?
Fatico ad esprimere delle preferenze che peraltro ho, amando in maniera viscerale i teatri, ma occorre sacrificare le proprie inclinazioni allo spirito di adattamento se si mira anche alla promozione, l'unica condizione necessaria è la dignità artistica, presupposta questa potrei suonare dovunque.

Prossimi obiettivi? 
Quando si lavora in totale autoproduzione occorre misurare gli obiettivi con il metro delle possibilità. Ho realizzato il disco e questo traguardo è stato raggiunto. All'orizzonte vedo l'impegno verso una sempre maggiore professionalizzazione, una strada da percorrere in direzione sempre più lontana dalla precarietà e la creazione di un circolo virtuoso in grado di mettere me e la band nelle condizioni degne di intraprendere il mestiere con tutti i crismi che il lavoro comporta, un salto di qualità in grado di trasformare l'occasione in evento e la passione in professione degna di questo nome. 

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