INTERVISTA. Sebastiano Somma: "Al teatro attraverso Arthur Miller racconto agli italiani il dramma dell’immigrazione"

di NICOLA RICCHITELLI – In Puglia nel passato weekend - a Foggia lo scorso 16-17 novembre e a Barletta il 18-19 e 20 novembre – con “Sguardo dal Ponte”, abbiamo avuto la possibilità di chiacchierare con l’attore napoletano Sebastiano Somma e di parlare con lui dell’opera di Arthur Miller portata in scena da ormai due stagioni.

D: Sebastiano, in questo “Sguardo dal ponte” svettano temi quali immigrazione e integrazione, temi di primissimo piano dei tempi che stiamo vivendo qui in Italia. Quali secondo lei le analogie tra il romanzo di Arthur Miller e la realtà che stiamo vivendo?
R: «Guardi, io negli ultimi anni ho lavorato molto su questi temi, prima di portare in scena Arthur Miller, ho portato per quattro anni tra i teatri italiani Leonardo Sciascia – “Il giorno della civetta” e “A ciascuno il suo” – autori che hanno scritto cose  - seppur scrivendole sessant’anni fa – che sono molto attuali, quindi ecco le analogie tra il romanzo di Arthur Miller e quindi quello che raccontiamo in questo spettacolo e quello che stiamo vivendo sono tantissime. Miller racconta questa storia di immigrazione che noi oggi contestualizziamo ai giorni d’oggi, ecco quindi la mia scelta di portare in scena Miller è data dalla necessità di raccontare alle nuove generazioni e, perché no, alla gente di oggi che questa in realtà è stata anche la nostra storia, quindi in qualche modo è voluta, cercata, oltre al fatto di voler fare un testo così interessante e quindi il confronto con Eddy Carbone, un personaggio sicuramente complesso e complicato, e quindi la volontà di voler ricordare allo spettatore, alla gente, ai giovani  in qualche modo, che questa storia, tutto quello che oggi sta accadendo in Italia, tutta questa gente che viene dal mare, che cerca una speranza, un sogno, ecco quella gente lì siamo stati noi tanti anni fa, anche gli italiani partivano verso il sogno prendendo il mare, e anche gli italiani sono morti in mare per quel sogno».

D: Quindi possiamo benissimo dire che il messaggio che questa commedia vuole lanciare è appunto questo: non dimenticare?
R: «Assolutamente! Uno dei messaggi che questa commedia vuole lanciare è sicuramente quello di non dimenticare, questa è la nostra storia, è la storia di italiani che in America hanno sofferto fame e disperazione, senza dimenticare le intolleranze che hanno subito. Ma posso dire che questo spettacolo non racconta solo questo racconta anche altro».

D: Tipo?
R: «Ad esempio le ossessioni del personaggio, la follia di Eddi Carbone che scaturisce da un sentimento che va oltre il limite, ma tutto nasce però dalla rottura di quello che è stato il sogno americano; però, ecco, posso benissimo dire che ci sono più messaggi aldilà di questi».  

D: Quanto lavoro c’è dietro prima di portare sul palcoscenico un lavoro così importante come quello di Arthur Miller?
R: «C’è sicuramente un lavoro importante, un lavoro di ricerca del periodo storico, c’è un lavoro di portare il più possibile la verità sul palcoscenico, ogni sera dico agli attori di ricordarsi che anche noi siamo emigranti, e quella che portiamo sul palcoscenico è la nostra storia. Quindi il lavoro che si fa è quello di attingere da quello che è stato il nostro percorso storico. Io personalmente ho fatto delle ricerche per quanto riguarda il periodo storico, e quindi la contestualizzazione, le usanze, come si muovevano, come mangiavano, come si vestivano, insomma tutta una serie di cose di questo tipo, il tutto naturalmente assieme ai collaboratori tecnici, inoltre sono andato a rivedermi i grandi che lo hanno interpretato prima di me, i vari Vallone, Placido, Lo Monaco, addirittura sono volato fino a Londra a vedermi – due anni fa – una versione americana di un regista belga davvero straordinaria, il tutto per confrontarmi e se possibile portare anche delle novità e renderlo appunto più moderno».

D: Quanto ci ha messo del suo Sebastiano Somma nel personaggio di Eddy Carbone rispetto a quello raccontato da Arthur Miller nel suo romanzo?
R: «Si qualcosa, c’è, l’attaccamento ai valori della famiglia, la voglia di tenere alta l’attenzione sulla famiglia sacrificandomi per la famiglia, queste sono tutte cose che mi appartengono. E nella commedia è proprio quello che fa Eddi Carbone, lui è uno scaricatore di porto che si toglie come si dice qua al sud il pane dalla bocca per la nipote che per lei è come una figlia. Quindi delle cose di Eddi Carbone che mi appartengono ci sono, almeno sotto l’aspetto prettamente umano e che umanizzano in qualche modo il personaggio, tanto è vero che alla fine tra la scrittura di Miller e ciò che ci ho messo del mio, rendono questo personaggio accettabile, visto che stiamo parlando di un personaggio dai forte chiaroscuri da renderlo tal volta addirittura negativo. Invece attraverso la commedia e quindi la grande scrittura, e quindi quella piccola componente umana che io ci messo lo rendono più accettabile, così come in realtà vuole lo stesso Miller, ritrovandoci in una sorta di tragedia greca, dove il protagonista va incontro alla morte pur rispettando la sua coerenza».

D: Nonostante tanti anni di teatro, cosa prova nei minuti che precedono l’alzata del sipario?
R:  «Questo spettacolo mi assorbe grande energia, molte energie, e devo dire che mi sta regalando grande soddisfazioni, in Puglia ad esempio dove lei opera, siamo stai accolti sia a Foggia, e quindi Barletta, devo dire in maniera trionfale, abbiamo fatto cinque serate dove si è registrato il tutto esaurito con standing ovation e quant’altro. Devo dire che le energie che mettiamo noi tutti arriva al pubblico, e ogni sera c’è la consapevolezza che stai entrando in scena confrontandoti con un personaggio di una complessità enorme, è quindi alta è la concentrazione, quindi sai che vai incontro ad una stanchezza fisica enorme, questo lo dico molto sinceramente, però c’è la gioia di quando arriva l’applauso finale che ti ripaga della grande fatica».

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