Gli ulivi, la Xylella e la Convenzione europea dei diritti umani

di MARIA TERESA LATTARULO - “Get up, stand up, stand up for your rights; get up, stand up, don’t give up the fight”. Le parole di Bob Marley, “Alzatevi, ribellatevi per i vostri diritti”, “Non arrendetevi”, risuonano nelle nostre coscienze ogni volta che assistiamo ad una manifestazione di protesta per la difesa di importanti diritti civili e sociali. Quelle parole ci ricordano quante battaglie si sono dovute combattere per il riconoscimento dei diritti e della stessa libertà di manifestare pacificamente, strumento fondamentale, insieme alla libertà di espressione, per il conseguimento della democrazia. Sono passati dei secoli, sono stati scritti libri, redatte costituzioni e carte, combattute battaglie prima che il fatto di manifestare le proprie idee e il proprio dissenso fosse visto non come una minaccia all’ordine costituito da reprimere con le catene o le armi, ma come un contributo alla realizzazione del processo democratico, nonché all’edificazione di una società più giusta.

Con questo spirito nel novembre del 2015 circa duecento salentini, famiglie, studenti, contadini hanno manifestato contro l’espianto di ulivi secolari nel Salento. La protesta era originata dal fatto che tale espianto, motivato dalla diffusione della xylella fra gli alberi di ulivo, sarebbe stato un intervento troppo drastico ed inutile e le sostanze chimiche usate per eradicare l’epidemia sarebbero state altamente tossiche ed inquinanti. Si era trattato dunque di una manifestazione a difesa del paesaggio del Salento, di un’agricoltura sostenibile e dell’ambiente, beni primari non solo delle popolazioni locali, ma di tutti i cittadini e forse dell’umanità. Tuttavia, tra i dimostranti, 46 sono stati identificati e denunciati e saranno giudicati nel processo penale la cui prima udienza, già fissata per il 6 novembre, è stata rinviata al 14 febbraio. Si contesta ai manifestanti di avere violato, col loro comportamento, la norma del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza che prevede l’obbligo di preavviso per le riunioni in luogo pubblico e quella del codice penale che sanziona l’interruzione di pubblico servizio. Della protesta infatti, consistente nell’occupazione di un binario e dunque nel blocco della circolazione ferroviaria per alcune ore, i dimostranti non avevano avuto il tempo di informare preventivamente la polizia perché si era trattato di una manifestazione spontanea.

Va precisato che il processo a carico dei dimostranti, in quanto fondato su norme vigenti, era un atto dovuto per la Procura di Brindisi, la stessa che, sempre nel 2015, ha meritoriamente bloccato gli espianti sequestrando gli ulivi interessati.  Tuttavia, le norme da applicare sono obsolete e inadeguate, risalenti a periodi di dittatura ed espressione di concezioni illiberali che né il Parlamento né gli organi giurisdizionali hanno finora provveduto ad abrogare o interpretare in modo conforme ai principi democratici.  Se non è bastata la Costituzione a rendere obsoleti e inaccettabili i reati contestati, può venire in aiuto la Convenzione europea dei diritti umani, fonte dell’ordinamento italiano e dunque parte integrante, insieme alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani, del nostro sistema giuridico a livello costituzionale. In primo luogo infatti, alla luce della giurisprudenza di tale Corte, il comportamento consistente nel blocco di una strada o di una ferrovia o nell’impedimento di attività altrui ed anche di un pubblico servizio, in determinate circostanze – come quella in esame -, può considerarsi esercizio della libertà di dimostrare garantita dall’art. 11 della Convenzione e dunque ogni interferenza con lo stesso da parte delle autorità, compresa una condanna penale, non si giustifica in quanto tale, ma deve rispettare precisi canoni di legalità e proporzionalità. In secondo luogo, la Corte afferma da sempre che il preavviso alle autorità ha la funzione di garantire la tranquillità e sicurezza dello svolgimento delle riunioni ed è dunque un mero strumento per l’esercizio della libertà di dimostrare, non un fine al quale quest’ultima possa essere sacrificata, né può tramutarsi in un surrettizio ostacolo per tale libertà. Dunque, sempre per la Corte, le autorità devono mostrare un certo grado di tolleranza rispetto alle riunioni pacifiche non preavvisate, affinché la libertà di dimostrare non sia completamente svuotata del suo contenuto; qualsiasi sanzione, anche lieve, per non aver fornito tale preavviso, all’infuori dei casi di manifestazione vietata, è una illecita violazione della libertà di riunione sancita dall’art. 11 della Convenzione. Essa infatti costituirebbe un deterrente per la libertà di manifestare, producendo quello che negli ordinamenti anglosassoni è definito chilling effect.

In conclusione, il reato di omissione di preavviso, di cui sono accusati i manifestanti, è del tutto incompatibile con la Convenzione e dovrebbe determinare la proposizione dell’eccezione di incostituzionalità dell’art. 18 TULPS da parte del giudice. Quanto al reato di interruzione di pubblico servizio, esso è in astratto prospettabile, ma la sanzione che ne deriva deve essere comunque messa a confronto e proporzionata al sacrificio di una libertà fondamentale.

Contro l’incriminazione di pacifici cittadini che hanno voluto difendere una causa giusta una petizione è stata già presentata dall’associazione di tutela dei diritti civili “Bianca Guidetti Serra”; essa è stata firmata da migliaia di cittadini, tra i quali politici, artisti, docenti, ricercatori. Speriamo però che siano gli organi giurisdizionali a compiere i passi necessari per eliminare dall’ordinamento una normativa illiberale e che la Convenzione europea dei diritti umani salvi la libertà di manifestare ed anche i nostri cari ulivi.

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