Scienza: 'Quando Costa scoprì l’Anfiosso…'. Intervista alla prof. De Ceglie

di FRANCESCO GRECO - ALESSANO (LE). Una cover sulla prestigiosa rivista scientifica britannica “Nature” ripropone il mito di Oronzio Gabriele Costa (Alessano, 1787-Napoli, 1867). Esattamente come fu nel suo tempo, la prima metà dell’Ottocento, quando il paleontologo, naturalista, zoologo, con le sue teorie rivoluzionarie (al limite dell’eresia), tenne banco nel dibattito della comunità scientifica dell’epoca.

Giunge così propizio, a 150 anni dalla morte, il libro appena presentato ad Alessano, in una serata riuscitissima quanto emozionante (organizzata dal Comitato Civico omonimo e condotta dal saggista Federico Imperato, che ne fa parte insieme a Luigi Nicolardi, Raimondo Massaro, Manuel De Carli, Antonio Piscopello, Antonio Santoro, Vincenzo Santoro), in cui il paese ha “scoperto” e si è riappropriato del suo genio, di cui poco si sapeva e molto si immaginava, mentre la comunità scientifica internazionale studia la sua vasta produzione.

“Lettere di Oronzo Gabriele Costa naturalista di Alessano”, di Rossella De Ceglie, Pensa Editore, Lecce 2017, pp. 154, euro 16,00, col contributo del Comune di Alessano, ha svelato un personaggio su cui era caduta, o quasi, la damnatio memoriae.

Ciò è inaccettabile, non solo per mero orgoglio di campanile, ma anche, o soprattutto, perché Costa fu un personaggio polisemico (fondò fra l’altro l’Accademia degli Aspiranti Naturalisti), ben dentro la carne viva del suo tempo (come spiega acutamente in prefazione la sindaca Francesca Torsello), e ciò consente di farlo interagire con la complessità del presente.
 
Tale molteplicità di interessi lega lo scienziato a un ideale filo rosso con tanti altri geni espressi nel secoli dalla Terra d’Otranto (pensiamo al Galateo, ma anche il De Giorgi, Attilio Biasco, ecc.), o “importati” (il Rholfs), ma offre anche lo spunto alla collettività e alla scuola per conoscerlo e “metabolizzarlo”, non fosse altro che per puntellare l’autostima del territorio, spesso fragile.
 
Vediamo di delinearne meglio la figura con la professoressa De Ceglie, docente di Storia della Scienza presso l’Università “Aldo Moro” di Bari.

DOMANDA: Professoressa, perché Costa è tornato d’attualità?

RISPOSTA: “Oggi si sono riaccesi i riflettori sul Branchiostoma o Anfiosso, il minuscolo animale su cui Costa, comprendendone le particolari caratteristiche (intermedie tra invertebrati e vertebrati), richiamò l’attenzione della comunità scientifica dell’Ottocento.
In seguito al ritrovamento di una folta colonia nella Baia di Tampa in Florida, si è costituito un consorzio internazionale di ricercatori per il sequenziamento del genoma coordinato dal Joint Genome Institut (California). La ricerca, che si è aggiudicata la copertina della prestigiosa rivista Nature (2008), ha mostrato che il codice genetico di questo cefalocordato ha interi segmenti di Dna in comune con i vertebrati, compreso l’uomo. Lo studio del Branchiostoma assume particolare rilevanza per comprendere l’origine e l’evoluzione dei cordati, fornendo un’immagine di come doveva essere il comune antenato”.

D. Cos’è esattamente l’anello mancante e perché è importante?  

R. “Nella visione della natura in costante mutamento (“le specie non sono che modificazioni successive”), assumeva per Costa particolare importanza il ritrovare quegli esseri (viventi o fossili), in grado di colmare i vuoti, di fungere da anelli di congiunzione tra le diverse specie. Gli anelli mancanti non erano altro che forme di collegamento tra un gruppo e l’altro.
Nel dibattito che si scatenò in seguito alla pubblicazione dell’Origin di Darwin (1859), l’individuazione di tali anelli di congiunzione, come il Branchiostoma di Costa, assumevano la valenza di prove a sostegno della teoria dell’evoluzione”.

D. Dove sono, nelle sue teorie, le contiguità con quelle dell’evoluzionismo, del suo contemporaneo Charles Robert Darwin?   

R. “Bisogna precisare che Darwin renderà nota la sua teoria dell’evoluzione solo nel 1859, con la pubblicazione dell’Origin of Species. Costa, in seguito alle sue osservazioni zoologiche e paleontologiche, arrivò alla conclusione che le specie non erano fisse e immutabili come comunemente accettato dalla comunità scientifica del periodo.  Al contrario, gli esseri viventi erano mutevoli in base a variazioni che portavano a formazione di varietà ma anche a vere e proprie specie nuove, accostandosi così a posizioni lamarckiane.
La contiguità con Darwin potrebbe essere vista nel modo di intendere le specie: anche per Costa le suddivisioni erano convenzionali, prodotte artificialmente dagli studiosi, perché la natura non conosce suddivisioni, ma solo specie che cambiano. Le specie sono mutevoli: dalle semplici varietà si possono formare delle vere e proprie specie nuove, con l’allontanamento dal tipo originario”.

D. La sua visione della natura fluida incuba nuove scoperte anche in questo XXI secolo in cui scienza e tecnologia sono del tutto sganciate da una visione idealistica e metafisica delle cose? 

R. “Non credo, perché la posizione di Costa non ha nulla di metafisico o idealistico”.

D. Costa fu ostacolato a vari livelli: possiamo dire che oggi lo scienziato subisce meno ostracismi?

R. “Costa si trovò a vivere nel periodo turbolento segnato dai moti del 1820-21 e del 1848, subendone le ripercussioni con l’allontanamento dagli incarichi e la conseguente perdita del sostegno economico, arrangiandosi in ogni modo per portare avanti le proprie ricerche. Le difficoltà erano anche alimentate dal clima di sospetto e dai controlli che colpivano anche gli uomini dediti alla scienza, come Costa. Oggi viviamo in epoca completamente diversa, ma ciò non toglie che probabilmente ci sono sempre difficoltà e ostracismi da affrontare, seppur di altro genere. Forse le difficoltà economiche e lo scarso sostegno alla ricerca è un qualcosa che caratterizza anche la situazione attuale”.

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