La ‘Bari Impossibile’ di Giorgio Saponaro compie trent’anni

di GIANNI CAVALLI -  «Se avessi conosciuto prima, molto prima, Giorgio Saponaro, mi sarei data una disciplina, non so, metà giornata a passeggiare lentamente, molto lentamente per le strade di Bari, l’altra metà a scrivere, ad inventare libri. Con un persuasore cocciuto come lui, capace di tirare un ragno dal buco, anch’io avrei portato a termine tanti volumi, volumetti, volumoni quanti lui ne ha sfornati e ne sta sfornando. Insomma, la storia è questa, che di buon mattino me lo ritrovo nel mio ufficio redazionale, seduto come un papa, e mi fa: non devi fare altro che scrivere quello che improvvisasti sere fa alla Feltrinelli. Il libro è alla terza edizione e vogliamo una tua prefazione. Lunedì mattina - era un sabato - vengo a prenderla. Questa è la carta, cinque fogli, ma tu puoi usarne anche tre».   Questo scritto è l’inizio della prefazione curata da Vittore Fiore per la terza edizione del volume ‘BARI IMPOSSIBILE ovvero l’utopia della città felice’,  pubblicato nel gennaio del  1989, frutto di un‘idea di Giorgio Saponaro che coinvolse  gli amici Arrigo Atti, Francesco Bellino, Giovanni Martino Bonomo, Vittorio Chiaia, Donato Denora, Francesco Falanga, Graziella Laurora Pontrelli, Paolo Lepore, Giovanni Paradiso, Emilio Putti, Ugo Sbisà, Pasquale Sorrenti, Vittorio Stagnani, Corrado Strada, Allegra Zante.  Il libro si chiudeva con una postfazione del Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’epoca, Francesco Tateo, che riassumeva quanto esposto da Feltrinelli la sera della presentazione (18 novembre 1988). «...A questa città reale, in quanto invisibile, anzi proprio in quanto invisibile, cioè fatta di edifici, di strade e di uomini, di immagini significanti, Giorgio Saponaro dedica il suo pezzo variegato sulla utopia della città felice.  E’ l’idea chiave, ironica, e affettuosa, del libro. E ambigua - ribadirei- come sembra suggerirci l’inizio, dove il ‘treno che arriva in orario’ non è come potrebbe sembrare il segno di un mondo ideale, ma l’avvio inesorabile, della ‘quotidianità’ che impazza». Il professore Tateo chiudeva il suo intervento riportando dei versi dell’ortopedico Emilio Putti: «…Come vanni letti, magari riletti, direttamente i versi che accoppiati a questa prosa d’arte che evoca gli anni trenta, costituiscono un vero ”Candore insidiato/superstite puro chiarore/fra smorti colori di seppia/e il cinerino sbavato/sui muri/ giù dalle nubi e dal mare/ Pure un rifugio/sia per l’inerzia/coatta rinunzia, /precisa condanna alle membra/immemori di male”. Insomma l’idea di Giorgio Saponaro ha avuto compimento- direi- nelle reazioni così varie di questi saggi, che sono testimonianze sulla città, ma anche, di come avviene per ogni documento, testimonianze di se stesse, quello cioè che i baresi, o chi vive a Bari, possono dare».

A novembre 1989 vi fu la quarta ed ultima edizione di ‘BARI IMPOSSIBILE’  che registrò il passaggio dalla qualificata prima dozzina di amici-interpreti ai circa 40 privilegiati, qualificati individui  che ebbero il merito e l’onore di far parte di un volume che aveva in copertina una scenografica ‘Pomona’ di Raffaele Spizzico ( fotografia di Frasca ) e in ultima il pensiero di Lina Wertmüller  sulla bellissima gente di Bari ( Baresi  leggerete il tutto  al termine di queste note affinché giornalmente con il vostro comportamento possiate dire con orgoglio che non si era sbagliata la grande regista !). Ho collaborato con dedizione con Saponaro affinché partecipassero al volume amici con cui ero più in sintonia di lui e mi aveva garantito che il testo de ‘ la città sportiva’ doveva essere a mia firma.

Ai primi di ottobre del 1989 Saponaro venne in azienda con Sorrenti e il fotografo Frasca e, scartatomi con una finta di ‘pancia’, filò dritto da mio padre perché aveva al fianco il lasciapassare giusto: Pasquale Sorrenti.  In verità l’incedere elegante tipico di Giorgio, in affinità con il volto di pane fragrante appena sfornato, celava un sorriso da aria monastica - tipo quello che Brera appioppò al mio Gianni Rivera, pallone d’oro del 1969 - che accentuava la sfacciata, impudente, sfrontata ‘arroganza’   dell’uomo abituato, fin dalla nascita, ad essere esaudito in ogni richiesta, quel comportamento che Sorrenti definiva con una parola: ‘viziato’. Era successo che Saponaro aveva consegnato a mio padre per il libro un testo di Adolfo Atti dal titolo ‘ La città sportiva’ (Non ho mai conosciuto A. A. e contro di lui, ieri come ora, non ho nulla).

Giorgio Saponaro  quanto ti ho odiato, tanto da far impallidire il testo dell’architetto Falanga che titolava : ‘Bari quanto ti odio!’, ma dal momento che sono cresciuto nel credo attuato per tutta l’esistenza, sia nella professione che nella vita privata, credo che abbiamo inserito nel frontespizio della quarta edizione del volume che recita ‘a Bari e a tutti coloro che l’amano e che la rispettano’, mi sono tenuto per sei lunghi lustri dentro il mio rimpianto e il ‘rispetto’ per Giorgio, Bari e il mondo intero ha continuato ad ispirare ogni azione da me intrapresa.  Nonostante l’odio buono nel maggio 1990 ho varato una collana di narrativa per lanciare un romanzo di Saponaro dal titolo ‘La leonessa’, che aveva una splendida copertina ideata da ‘Lillo Dellino’, purtroppo Giorgio - in questo caso la colpa è tutta mia - dopo pochi mesi pubblicò un altro romanzo venendo meno all’accordo verbale che prevedeva un silenzio di almeno un anno.  Peccato perché...

Mio padre aveva ragione per Giorgio scrivere è come ‘respirare’ (anche se il termine originale è un altro, ma il concetto è valido comunque) e non puoi impedire ad un uomo di ‘vivere’. Di questo mi scuso ancora oggi con Giorgio.   Peraltro devo essere grato a Saponaro di una cosa: se esiste una mia foto con cui posso attestare, a figlie e nipotino, che vi è stato un tempo in cui la mia barba -  sparita ultimamente per espresso volere di mia moglie, che odia il bianco, e che nella sua apparente dolcezza è più autorevole di Giorgio - era rosso-nera (colore originale), lo devo a lui.  I fatti: un giorno del 1988 mi chiama e dice «ci vediamo da Sorrenti fra meno di trenta minuti e voglio sapere che strada farai», gli rispondo che mi devo fermare per una velocissima tappa presso il Gabinetto del Sindaco di Bari e poi arriverò subito in via Andrea da Bari. Sul portone del Comune, all’altezza dello storica rivendita di tabacchi, mi sento apostrofare «Gianni sono qui», mi giro e click Frasca scatta una foto. Che ‘sia benedetta’ l’intuizione di Giorgio e il suo parlare per immagine.   Noi - sbagliando, questo posso dirlo ora che il rimedio non esiste! - secondo un principio che non teneva conto dell’era della ‘comunicazione’ di massa abbiamo sempre evitato foto e presenza… manco fossimo ‘latitanti’.

Qualcuno ha detto (adattamento poetico di Livalca): «Un odio confessato è così potente da tramutarsi in amore prepotente» e con tale perentoria affermazione non si può non assentire.

Questi sono i sentimenti autentici che nutro per quell’uomo che ebbe non solo l’idea del libro, ma la caparbietà di far stampare, in ultima di copertina, questa frase appagante della signora del cinema italiano Wertmüller: «Bari è una sirena incantata, abitata da gente bellissima e mite. Una città dal carattere solare. Un varco fra Oriente e Occidente. Una Venezia del sud.  Mi sono lasciata incantare dalla pulizia dei luoghi, dai riflessi caldi della luce, dalla dolcezza antica dipinta dalle facce».

Se vi fosse in circolazione un nuovo Saponaro può provare a farsi avanti, e, con un giovane editore, provi a lanciare un messaggio di speranza con l’intento di continuare ad avere Amore e Rispetto per una magnifica, meravigliosa, grandiosa, favolosa, generosa, solo a volte faziosa e capricciosa, sciccosa Bari.  Noi siamo tutti figli di Bari: ‘Amòre de mamme non de nganne’.

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