"Ponti, non più muri", da San Dana un messaggio a tutti i popoli


di FRANCESCO GRECO - SAN DANA (LE). “Sul Vlora c'ero anche io, avevo 17 anni...”. Si è aperta con una confidenza la tre giorni (3,6,7 agosto) di dialogo e confronto fra le due sponde, due mondi, civiltà, storicamente contaminate, Italia e Albania, all'ombra di San Dana, il Santo diacono che sovrappone la sua parabola esistenziale e di fede a quella dei migranti d'oggi, III Millennio. Fece la traversata, incontrò il martirio a colpi di pietre, diede il nome al paese del Capo di Leuca nascosto fra gli ulivi, i fichi, le vigne, gli orti rigogliosi.
 
Qui oggi i popoli parlano, in tempi in cui domina il solipsismo del byte, le etnie si intrecciano rafforzando la propria identità, le confessioni religiose scoprono affinità carsiche.

Qui i nuovi migranti dai sud del mondo sono accolti e rispettati, si trovano qualcosa da fare pur nella fragile economia del Sud, si integrano e si pongono premesse dense di un futuro senza marginalità, diverso da quello che politici senza coscienza, scrupoli nè cultura vorrebbero imporci.
 
Artur Beu è un magnifico quarantenne, da un anno vive a Bari, è ufficiale di collegamento di Polizia della Repubblica di Albania (Ministero Affari Interni ed Esteri), “Io stesso sono un ponte...”, sorride contento dell'allegoria: siamo sulla piazza del paese ormai identificato come il cuore vivo, antico, ricco di epos e di umanità del Mediterraneo, dove le opere fotografiche di Luca Turi sono appese ai muri delle case e sconfinano in un cortile ombroso, attaccate ai muri di calce sfavillante, il colore della nostra anima.
 
Il popolo che fuggiva “con la testa voltata all'indietro” (allegoria del sindaco di Durazzo), era tutto sul “Vlora”: erano 21mila, giovani e forti, al porto di Bari, 8 agosto 1991, un secolo fa: a quel tempo nessuno avrebbe chiuso i porti come oggi i politicanti dalla mente e il cuore blindati, che ci terrorizzano perseguendo la purezza della razza, perché porta un consenso sudicio e delirante: lo avrebbero condotto al Cim per un Tso. Qualcuno nel pubblico mormora: “Chissà che accadrebbe oggi che c'è Salvini?”. Seguono parolacce.
 
Ognuno cercava una via diversa da quella che la Pizia aveva scritto per lui. Molti l'hanno trovata (Artur è fra questi), sono tornati. “Oggi siamo noi ad aver bisogno dell'Albania...”, sorride il fotografo barese mentre fa dono del suo libro ai presenti.
 
Mezzo secolo di dittatura di là dall'Adriatico si è retta anche sui muri, materiali e interiori, che i tiranni innalzano, che nascondono paure e, corsi e ricorsi, oggi tornano quei fantasmi e li costruiamo di qua dell'Adriatico, non si sa bene per quale ragione: non si impara mai dai propri errori.
 
L'evento 2018 a San Dana è la continuazione della visita pastorale di un anno fa del cardinale Ernest Simoni, che visse per oltre 40 anni segregato fra muri sudici, insanguinati, per difendere la fede (come San Dana: altra sovrapposizione) sognando un mondo libero, un uomo non più ridotto a fantasma ma partecipe dell'umanità con la sua ricchezza e complessità.  “Si scappava da una prigione in cerca di un sogno, con la speranza di tornare. Ma i muri crollano sotto la forza dei popoli che cercano libertà e giustizia sociale... Questa non è finibus terrae, ma una porta verso il Mediterraneo”, afferma Antonio Biasco, presidente dell'associazione culturale “Ponti non muri”.
 
In una terra di forte emigrazione, oggi intensa come nei Sessanta, e paradossalmente di intensa immigrazione (“L'Italia non può essere lasciata sola”, ha detto Carlo Nesca, sindaco di Gagliano), San Dana raggruma ogni aspetto della tematica che ha segnato ogni epoca, che da opportunità di crescita qualche aspirante dittatore ha trasformato in emergenza e poi in tragedia, inventando una narrazione falsa pregna di fake news, alimentando paure inesistenti, spargendo terrore ovunque, solleticando i peggiori istinti degli uomini. A volte i mostri siamo noi, non quelli a cui puntiamo il dito.
 
La seconda giornata ha speculato sul concetto di ponti e muri da ogni visuale. Aperta da Francesco Danieli (Unisalento): “Dal mare può venire il bene e il male: sta a noi distinguerlo...”. Massimo Bray (Treccani): “Solo conoscendo la propria storia si avanza culturalmente”. Dritan Leli, sindaco di Valona (il giorno prima aveva sfilato con la fascia alla processione del Santo), arrivato con moglie e figlioletta: “Il mio sogno negli ultimi 25 anni è stato l'Albania in Europa: vorrei che la mia bambina non avesse lo stesso mio sogno...”. Gerarta Zheji Ballo, addetta alla cultura dell'ambasciata albanese: “Ho apprezzato il nome dell'associazione: storicamente, i muri hanno sempre portato tragedie, devastato le vite dei popoli, me lo ricordava tempo fa Sua Eminenza il Cardinal Simoni. I ponti, invece, li hanno fatti avanzare sulla via della civiltà. Più ponti, meno muri...”.
 
Nella terza si è messo a fuoco la complessa figura dell'eroe nazionale albanese, Giorgio Castriota Scanderberg (“lo scudo di Cristo”), che liberò l'Albania dai Turchi, nella ricorrenza dei 550 anni dalla morte (1468-2018): con tutti i distinguo storici, può essere considerato il Carlo Magno dei Balcani: impedì l'islamizzazione dell'Europa, “un difensore della cristianità”,  geniale, valoroso, un grande stratega militare. Ricostruita da Alessandro Castriota Scanderberg, erede del ramo leccese: il suo centro-studi raccoglie memorie su cui è caduta la scure dell'oblio.

Gli è stata intitolata una strada accanto alla chiesa parrocchiale di San Rocco: “E' una grande giornata per noi e per le generazioni future, un momento storico importante – ha detto il sindaco di Valona Leli – i legami fra i due popoli ora sono più stretti: questo è l'anno di Scanderberg”.

Curiosamente, corsi e ricorsi storici, Scanderberg è tornato al suo Castello (che fu poi degli Ajerbo d'Aragona, della famiglia di Vincenzo Ciardo, ecc.). La casata ebbe dimore anche a Galatina, Soleto, due a Lecce, di cui non resta una pietra. Alla sua morte, qui a Gagliano vennero la figlia tredicenne e la moglie.

Sullo sfondo il gemellaggio Gagliano-Valona, un protocollo fra i Consevatori di Lecce e di Tirana, un festival musicale (in autunno) con le “arie” di Vivaldi appena ritrovate dove Scanderberg canta la fedeltà alla cristianità e la tenerezza dell'amore coniugale.
 
E' piaciuta molto, infine, l'idea di Biasco di un ponte fra le due sponde, da riempire di confronti e contaminazioni. Enfatizzata, semanticamente, per contrasto, dal tempo folle in cui si alzano muri.

Parte così da San Dana un messaggio che emoziona i cuori e illumina le menti di tutti i popoli e gli uomini di buona volontà: un'altra vita è possibile, più bella, più ricca, più umana: basta crederci e lottare per un'utopia che finalmente è a portata di mano. 

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