Nino Benvenuti (intervista): «Il pugilato? Una scelta vocazionale… Stare sul ring è il massimo impegno di un uomo»


di NICOLA RICCHITELLI – Tenne il mondo in pugno – così come recitava il titolo di una sua biografia pubblicata qualche anno fa – e in un pugno lo tenne in particolar modo la notte del 17 aprile del 1967, in cui Nino Benvenuti conquistò il mondo vincendo il titolo mondiale dei pesi medi: «L’incontro che occupa un posto particolare nella mia memoria? Sicuramente la vittoria al Madison Square Garden di New York il 17 aprile del 1967 contro Emile Griffith». Un giorno che occupa un posto speciale nella storia italiana perché nel pomeriggio, qui in Italia, a Napoli per la precisione, 200.000 napoletani daranno l’ultimo saluto a Totò nella chiesa di Sant’Eligio in Piazza Mercato.

Nino, innanzitutto vorrei chiederle come sta, visto quanto accaduto  qualche mese fa…
R:«Adesso sto bene, il problema è stato risolto. Ringrazio tutti per la grande dimostrazione di affetto».

Lo scorso 26 aprile ha tagliato il traguardo degli 80 anni. Quali sono i pensieri che albergano nella mente di un uomo dinanzi a questa tappa della propria vita?
R:«Essendo credente, ringrazio il buon Dio, sperando che continui ad assistermi come ha fatto fino ad oggi».

È stato più difficile salire su un ring o affrontare questa vita lunga ottant’anni?
R:«Senza dubbio affrontare questa lunga vita».

Vi è stato un qualche momento in cui la vita l’ha messa Ko?
R:«Si…tante volte la vita mi ha messo KO…».

Alcuni appunti della sua vita sono finiti nel libro “L’orizzonte degli eventi”. Come nasce questo suo nuovo progetto editoriale? 
R:«Con Pasquale Squitieri, negli ultimi tempi, ci frequentavamo con assiduità, in quanto desiderava realizzare il film sulla mia vita. Purtroppo con il suo decesso il progetto non si realizzò. La moglie Ottavia Fusco, mi propone di editare un libro, per esaudire, in parte, la volontà del marito». 

Cosa significa stare su un ring?
R:Stare sul ring è il massimo impegno di un uomo che investe se stesso nel superamento delle difficoltà che si possono incontrare nella vita».

Le è mai capitato di avere paura di salire su un ring?
R:«Assolutamente NO. Il pugilato era una scelta vocazionale».

Quali sono le caratteristiche che non devono mancare per intraprendere questo sport?
R:«In primis il coraggio, ma anche una certa condizione atletica per affrontare uno sport così duro».

Che ricordi ha della sua prima volta su un ring e della sua prima vittoria?
R:«La prima volta sul ring ebbi la consapevolezza di aver esaudito il mio sogno, la prima vittoria, poi, fu un'emozione talmente grande da non riuscire a descriverla».

Dovesse scegliere un incontro tra i 90 disputati, quale quello che più di tutti occupa un posto particolare nella sua memoria?
R:«Sicuramente la vittoria al Madison Square Garden di New York il 17 aprile del 1967 contro  Emile Griffith».



Il suo sogno sin da piccolo è stata la medaglia olimpica, che arrivò nel 1960 con tanto di dedica di Jesse Owens, coadiuvata dalla prestigiosa Coppa Val Barker – riconosciuta all’atleta più valido tecnicamente – cosa rappresenta l’olimpiade di Roma per la sua carriera?
R:«L’Olimpiade di Roma era ciò che desideravo sin da quanto ero bambino».

Come giudica il pugilato di oggi e il modo di fare pugilato oggi?
R:«Il pugilato è uno sport che si è evoluto nel tempo, la considerazione non è basata sulla forza e aggressività, ma bensì sul ragionamento tecnico, i campioni sono quelli che mettono in pratica questa regola».   

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