Xylella, e se Santu Lasi facesse il miracolo?


di FRANCESCO GRECO - SALVE (LE) – Il vento forte e ispido del mattino di festa ci spinge anche quest’anno verso Salve. E con noi a centinaia: è il popolo di Santu Lasi. L’aria è unta di sale, lo Jonio è a sud-est, appena dietro la distesa di ulivi e mormora qualcosa con le morbide dune cosparse di gigli. L’ulivo fu un dono di Athena sapiente agli uomini, ma ora l’incanto s’è rotto: non l’abbiamo saputo conservare, difendere, amare.

Eppure, nei ricordi dei vecchi seduti nel patio della masseria “Santu Lasi”- mentre don Lorenzo Profico celebra la messa nella cappella vicina - ci fu un tempo che era vita e ricchezza: olio per insaporire i cibi, legna per il fuoco sempre acceso, e dinanzi alla fiamma, le mani dei bambini e i culàcchi degli avi a raccontare il mondo che fu. “Si cominciò con i santini, poi i merletti…”, ricordano i vecchi.

E proprio le spettrali foreste di pietra di piante secolari malate, di cui resta solo un tronco conficcato nella terra come un triste menhir dettano il mantra di Santu Lasi 2019 (2772 ab Urbe condita), edizione n. 11, la festa inventata dal genio creativo e la generosità nel condividerla col mondo (c’è anche un’artista giapponese) del prof. Vincenzo Cazzato, la moglie, come sempre gentile e premurosa con gli ospiti, la figlia (oggi rimasta a Roma).

Collaborano: Comune, Facoltà dei Beni Culturali dell’Università del Salento, Associazione Ville e Giardini di Puglia. Quest’anno l’evento è arricchito dalle nuove opere della Land Art di Fabio Pedone (Alessano), accanto alle vecchie, ormai parte del paesaggio: bello il tunnel nato dalla scomposizione di una botte, per ricordare che qui, tra i “Fani” e la “Città di Cassandra”, c’erano vigne rigogliose, uve divine, vini graditi alle sirene, i folletti, gli dèi.

E da due mostre: “Nozze in masseria”, a cura di Eleonora Pistone Events, spose alte e belle fra gli ulivi ritratte da E. & M. e Mari Giaccari (Galatina) e sui “Trattati di agricoltura” (innesti e buone pratiche), documenti eccezionali nati da una ricognizione del professore in tutta Italia (da Padova a Pavia): Gaetano Cantoni (Milano, 1855), André Thouin (1821), Agostino Bollo (Venezia, 1615), Marco Bussato (Venezia, 1612), Cosimo Moschettini (Napoli, 1794), Giovan Battista Gagliardo (1793), Giuseppe Tavanti (Firenze, 1819), Giovanni Presta (Napoli, 1794),ecc.

I saperi si intrecciano nel cortile, fra bambini che giocano e vecchie col capo coperto dal fazzoletto: pochi sanno che nei secoli scorsi c’erano scuole di innesti (l’ex sindaco Vincenzo Passaseo conserva il diploma dell’omonimo nonno che prese “ottimo”). Ricorda Cosimo Maggio, che di terra e piante sa ogni segreto: “Prima si innestava tutto, dalle barbatelle ai peri selvatici, andavamo in giro con gli attrezzi in tasca, forbice e coltello… Oggi dovremmo coinvolgere i giovani per far tornare la passione e la coscienza del passato”.

Forte come un manifesto dell’agricoltura del III Millennio. Xylella anno zero: contadini fatalisti maledicono lo straniero invidioso della nostra bellezza e ricchezza che – lo pensano e lo dicono tutti - la portò (in agro di Gallipoli), o con le piante infette, senza quarantena (altra ipotesi): così siamo precipitati in una tragedia greca, un dramma epocale, come le locuste in Egitto, la peste manzoniana, la lebbra nella suburra in Africa, la spagnola primi 900.

Accanto alle cucine scorrono le immagini di “Amalaterra”, il docu-film girato in masseria dal regista siciliano (ma vive in Terra d’Otranto dopo aver sposato una meravigliosa ragazza) Gabriele Greco (lo porterà a Berlino, Hong Kong e altri festival nel mondo): contadini pensierosi, insonni, col cuore gravato dal dolore e le rughe amare, profonde come solchi d’aratro: si chiedono cosa lasceranno a chi verrà dopo.

Nell’aria dolce la musica della banda di Scorrano (diretta dal Maestro Rocco Fabia) si mescola al tepore dei cibi buoni come il tempo antico che le ragazze di Salve (il prof. le chiama “pie donne”), di ogni età, belle per sempre, stanno cuocendo: pittele, fagioli, farro, parmigiana di melanzane, vino nero, dolci, ecc. Quest’anno alcune new entry: la pittrice italo-tedesca Morena Russo e Mario Schirinzi, ecc.

Don Lorenzo è all’”ite missa est”, arriva sull’aia grande a benedire il pane di San Biagio (visse in Turchia fra III e IV secolo d. C.), prende la parola il prof. che ringrazia tutti (da Giacomo Grande a Gigi Torelli), poi il sindaco Francesco Villanova informa dell’incidente a una ragazzina, Ersilia Giudice, che ha bisogno di un’auto particolare (per contribuire i lettori vadano sul sito del Comune di Salve) e le parole appassionate e dolorose del regista: “Ho narrato il dramma della nostra terra, che fra poco daremo ai nostri figli… Speriamo di vincere la malattia che ci sta devastando l’anima”.

E un invito: “Non andiamo via in cerca di fortuna fuori, qui possiamo vivere bene…”. Applausi commossi. Intanto il vento si è illanguidito, ora c’è un sole caldo, 18 gradi: annunci di primavera graditi a tutti dopo mesi di freddo, pioggia, umidità, gelo. “Ogni anno Santu Lasi ci fa il miracolo…”, sorride qualcuno. Ci sediamo avidi a prenderlo tutto come farebbero i girasoli o le “lucertole dalla faccia di dado”.

La gente mangia i piatti delicati, cucinati con sapienza antica e con amore. Le mani dei vecchi e le vecchie trattano il pane con delicatezza: sanno quanto è amaro, la fatica che costa portarlo a casa, la sofferenza quando manca per se stessi e la famiglia. Sarò il buon vino o le pittele croccanti, ma i nostri visi si aprono a un esile sorriso di speranza, il sogno ingenuo di riprenderci quel che è nostro, che ci appartiene da secoli, millenni.

Grazie Santu Lasi, ci vedremo nel 2020, e se nel frattempo ci farai il miracolo di uccidere il perfido, maledetto insetto che ci sta impoverendo, devastando la nostra terra riducendola a un deserto senza ombra e il nostro cuore spoglio come una landa desolata, fra un anno verremo da te ginocchioni, a ringraziarti...

 Credits ph. Orazio Coclite

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto