'Arrivederci Professore'


di FREDERIC PASCALI - È tutto così rovinato e assurdo, è perfetto. Una frase che a suo modo non ammette repliche quella che Wayne Roberts, per l’occasione regista e sceneggiatore, fa dire al protagonista di questa storia che con difficoltà miscela dramma e commedia.

Il collante scelto è quello dell’ironia che mutua costantemente sarcasmo e cinismo, prova a mettere al riparo da quel senso di solitudine che in genere attanaglia i malati terminali, sottolinea i punti di svolta che le immagini, ben illustrate dalla fotografia di Tim Orr, non sempre trasmettono con la giusta tempra.

Il racconto dell’ultimo periodo della vita di Richard,  elegante professore di Letteratura in un college americano, diviso tra un matrimonio stantio, con la moglie artista amante del proprio rettore, e la figlia Oliva alle prese con la scoperta della sua identità omosessuale,  si snocciola con l’intento di mostrarne la reazione di fronte alla progressiva presa di coscienza della fine imminente.

Pur mantenendo un buon effetto emozionale la sceneggiatura di Roberts si incaglia in una sintesi che finisce per dare al narrato un’impressione molto vicina a un senso di incompiutezza, preludio dell’inevitabile approdo verso un finale privo del dovuto pathos. Il protagonista, impersonato da un Johnny Deep in discreta forma,si ritaglia una personalità ondivaga, un po’ dandy alla Oscar Wilde e un po’ Professor Keating de “L’attimo fuggente”, senza riuscire, tuttavia, a ricavarne un approfondimento in grado di andare oltre la superficie delle cose e dei sentimenti. 

In “Arrivederci Professore” la rappresentazione del senso della perdita viaggia circoscritta all’interno di un perimetro dai contorni molto teatrali, con i dialoghi che soverchiano le immagini, strutturate da una macchina da presa ingabbiata in movimenti eleganti ed estremamente classici, fino a sfiorare la banalizzazione di una storia comunque dotata di un certo appeal.

Non impressiona ma convince il resto del cast, con Rosemarie DeWitt, “Veronica” e Danny Houston, “Peter”, in evidenza. Buono il lavoro di Aaron e Bryce Dessner sulle musiche meno efficace quello di Sabine Emiliani al montaggio.
Nuova Vecchia

Modulo di contatto