Ascesa e declino di Forza Italia, il “partito di plastica”


di FRANCESCO GRECO - E’ allucinante che i partiti della prima repubblica (Psi, Dc, Pli, Pri, Psdi) siano stati distrutti brevi manu dalle inchieste giudiziarie. Italian style. Roba da copyright. Si salvarono incredibilmente la sinistra Dc e i post-comunisti, profumati gigli di campo in mezzo al letame. In democrazia dovrebbe essere il corpo elettorale a decretarne l’estinzione. 

Le inchieste di Mani Pulite, negli anni ’90, annientarono il vecchio Psi dopo un secolo di vita. La sua classe dirigente era ancora giovane, non poteva andarsene all’osteria a elaborare il lutto bevendo e bestemmiando alla tragedia. 

Iniziò la diaspora, che dura tuttora, se mai finirà. Ci fu chi cercò di far rinascere il garofano (Intini, De Michelis, Bobo Craxi), senza successo, e chi si riciclò nei partiti che offrivano una candidatura sicura nel listino: il potere è come il tossico che non può fare a meno della “roba”. E infatti Tangentopoli fu l’input: il Psi fu definitivamente assassinato, rottamato dagli stessi socialisti che si cibarono delle sue carni. Un esempio di antropofagia raro nella Storia patria.
  
Fabrizio Cicchitto (Roma, 1940), nel 1999 trovò rifugio in Forza Italia e quando questa entrò nel Pdl divenne capogruppo alla Camera. Cosa non si fa per portare il pane a casa, magari pure il companatico.
  
Forse si turò il naso: Berlusconi non era di certo estraneo alla vulgata giustizialista, anzi, le sue tv soffiarono nelle vele (ricordate Paolo Brosio fra i binari della metro?) perché aveva interesse a destabilizzare per poi ergersi a messia dei tempi nuovi. 
  
Un’angolazione privilegiata da cui il “politico di professione” ha osservato il partito-azienda (“monarchico e anarchico”, ipse dixit il Cavaliere della Tavola Rotonda), raggiungere l’apoteosi e 25 anni dopo la liquidazione, sgusciando come un’anguilla quando tutto stava andando alla malora con B. circondato da un harem di ragazze pon-pon al top di tempeste ormonali.
  
Nulla di nuovo che già non si sapesse: i meccanismi politici e i retroscena di un quarto di secolo di vita italiana sospesa fra prima, seconda e terza repubblica, narrati con acume e intelligenza in “Storia di Forza Italia” (1994-2018), Rubbettino editore, Soveria Mannelli, 2019, pp. 374, euro 24, con la prefazione di Francesco Verderami, il quale riconosce a Berlusconi “una funzione storica nella sfera culturale”: addirittura? Chissà se lo diranno anche gli storici. Come diceva Nanni Moretti: “Non mi preoccupa B. fuori di me, ma quello dentro di me” (e rollò una maxicanna).       

Dalla “discesa in campo” (“L’Italia è il paese che amo” e che, disse l’Economist, “ha fottuto”), alle infinite traversie giudiziarie, troppe e sospette per non dare ragione a B., sino allo tsunami dell’anno scorso (vittoria di populisti e sovranisti), Cicchitto usa la lente dell’entomologo facendo lievitare, pagina dopo pagina, un senso di nausea e di impotenza. 
  
Nauseato, Gardini si suicidò quando capì che il sistema dei partiti aveva sfruttato gli imprenditori e poi li aveva abbandonati alla gogna mediatica, la loro tragica sorte.

Capiamo allora perché poi su quel nulla Salvini ha edificato un partito del 34,3%, circa come i grillini un anno fa e anche perché le profferte di B. al Capitano non saranno mai accettate. Chi mai si affiderebbe a un naufrago senza il rischio di essere tirato giù in fondo al mare della Storia? 

Un saggio brillante e veloce, scritto con acutezza analitica e intelligenza: Cicchitto è uomo di prima repubblica, e si sente. Altri tempi. 

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