Oriana, la prima della classe

(Getty)
di FRANCESCO GRECO - “Ho ancora tante cose da fare e invece devo prepararmi ad andarmene…”. Aggredita a tradimento dall’Alieno, “un male stupido. Morirà con me alla mia morte. Sconfitti entrambi!”, Oriana Fallaci tornò a Firenze, la città dov’era nata nel 1929 e con cui ha intrattenuto un rapporto di odio-amore, tale e quale a Montanelli. 

“Sto male, molto male. Il dolore alla schiena si è fatto insopportabile... La vista è peggiorata ancora…”. Ha un desiderio: “Voglio morire nella torre dei Mannelli, guardando l’Arno dal Ponte Vecchio”. Lì nel 1944 c’era il quartiere generale dei partigiani al comando di suo padre e lei, 14 enne, fece la staffetta consegnando ai grandi bombe a mano nascoste nel sesto dell’insalata a cui toglieva il “cuore”: “Ai posti di blocco i tedeschi non mi fermavano quasi mai…”. 

“Dormo poco e male e la mattina sono fuori uso…”. La grande inviata di guerra e scrittrice è in incognito, ha chiamato il vecchio amico Riccardo Nencini – consigliere regionale in Toscana – per confidargli le ultime volontà (diritti d’autore, testamento, organizzazione del funerale, ecc.) cose di cui ammette si è occupata poco. Il resoconto quasi stenografico di quei giorni è la sostanza di “Oriana Fallaci” (Morirò in piedi), Edizioni Polistampa, Firenze 2016, pp. 78, euro 6,00, un long-seller giunto alla quinta ristampa, con edizioni anche in inglese e in serbo. 

Oriana parla a cuore aperto della sua infanzia da predestinata (“prima della classe fino da piccola”), della lotta partigiana s’è detto e poi la vocazione precoce del giornalismo di cui sarà maestra di stile (“Ripugna la rima” e la prosa rileccata, “sicofanti e vigliacchi”), l’Europeo, l’insurrezione ungherese, le guerre (ottobre ’68, Olimpiadi in Messico, proteste di piazza: “Sentii il rombo degli elicotteri… Vidi un bambino piccolo, ma piccolo!, con la testa scoperchiata…Mi credettero morta, mi portarono all’obitorio... Nemmeno in Vietnam ho visto massacri come quello messicano… Dopo le guerre non arriva subito la pace. Mai…”), le interviste ai grandi, da Khomeini a Gheddafi, gli amori (il rivoluzionario Panagulis ucciso dalla Grecia dei colonnelli, ma anche un collega francese incontrato a Saigon che non divorzierà dalla moglie a cui la giornalista manderà un pacco di lettere), due aborti, tanti best-seller, “Se il sole non muore”, (“Lettera a un bambino mai nato”, 1975, 4 milioni e mezzo di copie vendute), i libri sull’Occidente in crisi (“La Rabbia e l’Orgoglio”, 2001, ecc.), “Rammollita, l’Europa si è rammollita…L’Occidente è malato, ha perso la voglia di lottare… E’ grasso e loro hanno fame…”, che non capisce la sfida politica e culturale che gli è stata lanciata dall’Islam (Corano alla mano, “il caro Adel Smith invita i suoi fratelli ad ammazzarmi… I musulmani avrebbero pagato oro per farmi la pelle”). 

Subì persino un surreale processo, a Bergamo, per reato d’opinione (assolta per “morte del reo”). Cascami di subculture declinanti. Questo snodo fuori dal politicamente corretto ne ha fatto quasi una Cassandra, il femminismo un’icona di destra. I limiti di una cultura provinciale ossessionata da un’ideologia masochista, in putrefazione. “Colta, tagliente, sempre fuori dal coro, scomoda”, la Fallaci che esce dalla prosa giornalistica di Nencini è una ragazza bellissima, dagli occhi azzurri, coraggiosa, unica: fa tanta tenerezza, “Dolce, fragile, indifesa…”. 

Un mito ineguagliabile, una leggenda, una divinità fra gli immortali. “Non mangio quasi nulla, non riesco a digerire…”. Morirà il 15 settembre 2006. E’ sepolta nel Cimitero degli Allori accanto al padre, la madre, la sorella e Panagulis, nella sua Firenze da 16 milioni di visitatori, ma irriconoscibile, “bottegaia, prostituita al turismo... un obbrobrio... questa città mi fa male, tutto è involgarito... era bella quando era più piccola e più povera…”.
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