'Maleficent – Signora del Male': la recensione

di FREDERIC PASCALI - Da sempre i mondi incantati si sono distinti per rappresentare un approccio inusuale verso i temi sociali della quotidianità. Quelli della Disney, ibridati in una dimensione di mezzo tra fiaba e favola, non fanno eccezione e di virtuosi voli pindarici tingono le loro storie. Gli stessi presenti nella seconda avventura, affidata alla regia di Joachim Rønning, della controversa Malefica.

Passati cinque anni dal primo folgorante episodio ritroviamo la principessa Aurora che si prepara a convolare a nozze con il principe Filippo, contenta di coronare il suo sogno d’amore e convinta di poter assicurare una convivenza finalmente pacifica tra il suo regno, la Brughiera, e quello degli umani. Malefica, la sua adorata fata madrina, resta piuttosto scettica a riguardo e a malincuore si lascia convincere ad accompagnarla alla cena di gala organizzata dal principe per presentare le due donne ai propri genitori: il re Giovanni e la regina Ingrith. Tuttavia, la festa muta rapidamente in dramma e le trame oscure di Ingrith avvolgono l’intero racconto.

Circoscritta nei consueti confini fantastici de “La bella addormentata nel bosco”, questa rivisitazione con la “soggettiva” di Malefica risente di un ritmo non sempre coadiuvato dalla giusta tensione dei dialoghi, con le scene di battaglia disegnate da tratti pastello molto delicati, succubi del conflitto tra Malefica e la regina Ingrith. Ben impersonati da Angelina Jolie, perfettamente a suo agio nel ruolo, e una sempre magnetica Michelle Pfeiffer, i due personaggi femminili dominano una pellicola nella quale quelli maschili appaiono relegati in ruoli corollari o di sacrificio in un Mondo nel quale tocca alle donne  indirizzare il Bene e il Male. Uno dei tanti, forse troppi, risvolti narrativi evocati, dalla sceneggiatura del trio Linda Woolverton, Noah Harpster e Micah Fitzerman-Blue, non sufficienti a far scomparire quella sensazione di prolissità che si paventa ben prima della fine dei 118 minuti di durata della pellicola.

Per contro, la tecnica impiegata risulta essere di qualità eccellente con i movimenti della macchina da presa che da subito assumono una omogeneità e un’identità definita, integrando al meglio la presenza degli effetti speciali e delle riprese con i droni. Nello stesso solco risultano inevitabili gli elogi per la fotografia di Henry Braham, il montaggio di Laura Jennings e Craig Wood, le musiche di Geolf Zanelli.

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