Non è vero ma ci credo: miracoli, magia, superstizioni e... curiosità


di VITTORIO POLITO - Questa nota su magia e superstizione popolare non vuole, in nessun modo, assumere la forma di apologia di tali credenze. Tutt’altro! Come avrò modo di ribadire in seguito, esse rappresentano l’antitesi di ciò che il Vangelo proclama. Sappiamo, infatti, che in più occasioni e in maniera ufficiale, i vescovi hanno condannato tali pratiche. Tuttavia, ritengo che esse meritino attenzione per la loro valenza sociale e culturale in quanto sono manifestazioni - in forme sbagliate - di quel bisogno, scritto in ciascun uomo, di assoluto, di divino.

Se Sant’Agostino sosteneva che «L’uomo non trova pace sino a che non placa la propria sete in Dio», potremmo affermare che la magia e la superstizione rappresentano dei succedanei (nocivi e affatto dissetanti) di quell’acqua viva di cui ci parla l’Evangelista Giovanni nel capitolo 4 del suo Vangelo.

Gesù come operatore di miracoli fu accostato ad Apollonio di Tiana, un filosofo neopitagorico, nato qualche anno dopo, ed il suo biografo lo presenta come un asceta e capace di produrre miracoli. Ma Gesù non fu un «guaritore professionista né diede prescrizioni terapeutiche». Egli conferendo agli Apostoli il potere sui demoni e la possibilità di scacciarli affidava loro la missione di guarire sia il corpo che l’anima. Inoltre, se il miracolo, per essere ritenuto tale, deve accadere all’improvviso ed in pubblico, la magia deve, viceversa, essere eseguita segretamente e a seguito di duro lavoro, di preparazione professionale. In questo nuovo contesto il miracolo ha assunto altre connotazioni: innanzi tutto vanno distinti due significati: il primo significato è “miracolo” tutto quello che noi possiamo attribuire direttamente a Dio. Il secondo significato, “tecnico”, diremmo noi, è miracolo un fatto che la scienza dimostra essere impossibile che accada secondo le leggi naturali. Tuttavia, è utile osservare che per la gente comune dei primi secoli cristiani, era arduo distinguere dove è presente l’intervento miracoloso e dove l’operazione magica. Numerosi sono gli esempi riportati dalle leggende agiografiche in cui i cristiani destinati al martirio e i pagani si accusavano a vicenda di professare arti magiche.

La resistenza fisica e l’indifferenza dimostrate dai martiri cristiani, durante le torture subite, dovettero sembrare ai pagani opera di magia. Sant’Ignazio di Antiochia, accusato di praticare arti magiche per non avvertire dolore, durante i supplizi, si difende affermando «Noi cristiani non siamo maghi, e anzi secondo la nostra consuetudine i maghi li consideriamo segni d morte: i maghi anzi siete voi che adorate gli idoli».

Negli scontri tra Santi e maghi, l’uomo di Dio è vincitore; ma per la mentalità di un pagano, di un ebreo, di chi professava una religione diversa, il Santo cristiano poteva apparire soltanto come un mago con poteri superiori. Basta ricordarsi, infine, di alcune verità come le seguenti: il cristiano non grida con superbia attraverso formule, scongiuri e false preghiere: «sia fatta la mia volontà», ma si rivolge a Dio con le parole che Gesù stesso gli ha insegnato, chiedendo che: «sia fatta la Tua volontà»; i doni carismatici possono venire solo da Dio e vengono elargiti in modo gratuito alle persone sante. Gli idoli sono opera delle nostre mani. Occorre pertanto abbandonarsi con fiducia nelle mani della Provvidenza per ciò che concerne il futuro e fuggire da ogni curiosità malsana.

LA MAGIA 
Il termine magia deriva dal greco ‘magheia’, che significa scienza, saggezza. I “magi”, ad esempio, erano antichi sacerdoti persiani. Anche il Nuovo Testamento parla di maghi e magia: i Magi, che secondo il racconto di Matteo, si recano alla ricerca del Bambino Gesù guidati dalla stella, non sono però maghi nell’accezione moderna del termine, ma piuttosto scienziati o sapienti. Infatti, Matteo scrive: «Quando Gesù fu nato a Betlemme di Giudea ai tempi di Re Erode, ecco apparire dall’Oriente a Gerusalemme alcuni Magi, i quali andavano chiedendo dove fosse nato il Re dei Giudei, perché – dicevano – avevano visto la sua stella al suo sorgere ed erano venuti ad adorarlo […]». Matteo (II, 1-2).

La magia è l’arte di dominare le forze occulte della natura e sottoporle al proprio potere. Essa è stata oggetto in varie culture e in diversi periodi storici di valutazioni opposte, ora considerata forma di conoscenza superiore, ora rifiutata come impostura e condannata dalle autorità civili e religiose. Nel pensiero greco antico, il termine indicava sia la teologia dei sacerdoti persiani, sia il complesso di teorie e pratiche collegate a realtà diverse da quelle oggetto della scienza filosofico-razionale. Ai maghi, sacerdoti dell’antica religione persiana, erano attribuite doti di astrologi, indovini e stregoni. In tempi moderni, con l’avvento di un ideale scientifico razionalistico, matematico e sperimentale, il termine magia assume spesso il significato deteriore di insieme di pratiche prive di fondamento, e quindi arbitrarie quando non fraudolente.

La magia è un fenomeno abbastanza diffuso nel mondo. In Italia c’è ancora chi timoroso e fiducioso si rivolge a maghi e fattucchiere per ottenere amuleti e portafortuna, oggetti che dovrebbero avere la prerogativa di allontanare la iella, la sfortuna o il malocchio. Ma questi oggetti, pur in commercio, sembrano funzionare di più se il loro potere, tutto da verificare, è attribuito e trasmesso da chi li prepara: maghi, stregoni e sciamani. In complesso, è verosimile che i medici primitivi, come i loro colleghi civili, guariscano almeno una parte dei casi che curano e, che, senza questa efficacia relativa, le usanze magiche non avrebbero potuto conoscere la vasta diffusione che è loro propria, nel tempo e nello spazio».

Per il mondo antico la magia ha rappresentato un elemento di progresso, contribuendo a suscitare nell’uomo il desiderio di sfuggire ai propri limiti, stimolandolo alle successive scoperte. In realtà la magia ha colmato i vuoti occupati poi dalla scienza e dalla fede. La magia a sua volta si divide in bianca, benefica, che soccorre e conforta e nera, malefica, che essendo diabolica e nefasta, perverte e distrugge. Conseguentemente i maghi che esercitano la magia bianca, vengono accettati, ricercati e ben remunerati, mentre quelli che esercitano quella nera rappresentati dagli stregoni, sono meno consultati poiché molto temuti.

Nelle pratiche magiche vengono utilizzati due differenti tipi di simbolismo: quello analogico nella magia bianca e quello arbitrario nella magia nera. Nella magia bianca si fa uso di una immagine della persona che deve essere influenzata, nella magia nera si usano alcuni oggetti associati a lei, o che in precedenza le erano appartenuti.

Capita di chiamare “uccello del malaugurio” una persona che porta cattive notizie. La frase deriva, forse, dall’antica tradizione etrusca o romana di trarre gli auspici dall’osservazione del volo degli uccelli. L’«augure», infatti, era nell’antica Roma il sacerdote divinatore, che interpretava il modo di volare degli uccelli e ne traeva le previsioni. Il modo di dire potrebbe anche alludere alla superstizione popolare che ritiene di cattivo augurio il verso di certi uccelli come la civetta, il gufo, il corvo e la cornacchia, considerati annunciatori di disgrazie, per i loro versi lugubri e lamentosi.

LA SUPERSTIZIONE
Vediamo in concreto cos’è la superstizione alla quale facciamo spesso ricorso. È la presunzione di avere credenze e compiere pratiche, che nella valutazione della cultura e delle religioni superiori, ufficiali e dominanti, sono ritenute frutto di errore e d’ignoranza, di convinzioni prive di qualsiasi fondamento empirico e religioso. Secondo il politico inglese Edmund Burke, «La superstizione è la religione degli spiriti deboli». I primitivi, ad esempio, ritenevano che, colpendo l’immagine del bisonte, fosse più facile uccidere l’animale durante la battuta di caccia. Nasceva così la prima forma di superstizione.

L’errore, che più comunemente si commette è la confusione che facciamo tra causalità e casualità, dimenticando i numerosissimi casi dell’assenza, quando cioè i due eventi avvengono indipendentemente. A trarre in inganno è proprio il differente peso che si attribuisce a presenza e ad assenza.

Se qualcuno volesse mettere in fila tutte le superstizioni presenti nelle differenti culture umane, l’elenco sarebbe lunghissimo. Ogni cosa, essere o evento, per l’irrazionale della nostra mente, può portare fortuna, sfortuna oppure addirittura avere più specifici effetti, positivi o negativi. Qualche esempio: il canto della civetta, il gatto nero che attraversa la strada, lo specchio rotto, il passare sotto una scala, lo spargere sale, ecc. Si tratta, fin qui, di superstizioni tradizionali, semplici e circoscritte. La superstizione, però, può divenire addirittura uno stile di vita perché, per certe persone, può influenzare ogni scelta, ogni comportamento. Inoltre, può proliferare. Ciascun essere umano, in tema di superstizioni, può dimostrarsi un creativo. Ciascuno può, spontaneamente, crearne delle nuove e personali (un indumento o un oggetto che “porta bene”), da aggiungere alle superstizioni antiche e tradizionali, e dunque generalizzate e generiche come il fare le corna o il dire “in bocca al lupo”.

Una ricerca dell’Istituto di Studi Politici, Economici e Sociali dell’Università di Bologna (ISPES) di qualche lustro fa, finalizzata ad analizzare l’ingarbugliato universo della magia e della superstizione in Italia, permette di leggere con maggiore nitidezza questo complesso universo. Il fenomeno interessa i più diversi strati sociali. Tra le persone che si rivolgono al mago, due terzi sono donne e la fascia d’età varia tra 40 e 60 anni; il 30% dei clienti è laureato mentre il 40% è diplomato. In genere due italiani su dieci.

Per rendersene conto basta osservare alcune indicazioni suggerite dalle più diffuse superstizioni che accompagnano alcuni oggetti di uso quotidiano, come indicato nel volume “Il libro delle superstizioni” di Massimo Centini (De Vecchi Editore), dal quale sono state tratte alcune di queste note. Per brevità segnalerò solo qualcuna, ma l’elenco è piuttosto lungo.

Il bicchiere, ad esempio, è tra gli oggetti maggiormente utilizzati dall’uomo durante la giornata. È pericoloso osservare qualcuno attraverso un bicchiere, poiché questa azione sarà preludio di una prossima lite. Anche guardare attraverso un bicchiere rotto è pericolosissimo poiché così facendo si “chiama la sventura”, già annunciata con il danno della rottura. Attenzione se durante il brindisi un bicchiere si rompe, rappresenta un annuncio di morte.
Il coltello è noto soprattutto come arma e, di conseguenza, impugnare un coltello, almeno a livello inconscio, rimanda a immagini belliche o violente, quindi maneggiarlo senza la dovuta cura può apparire come volontario segno di scontro.
Ancora più difficile è comprendere perché far cadere un coltello quando si è a tavola, determinerebbe la rottura di un fidanzamento, naturalmente se il distratto che l’ha lasciato cadere si trovi in tale situazione sentimentale. La superstizione non è valida per chi è sposato…
I superstiziosi traggono auspici anche dalla caduta delle forbici. Bisogna farle raccogliere da altri o, se non è possibile, camminarci sopra prima di sollevarle. Quando le forbici cadono e le punte rimangono infisse nel terreno, ciò corrisponde ad un presagio di morte. Regalare forbici equivale ad augurare del male.
Usare un pettine appartenuto ad una persona defunta, si rischia di seguire il precedente possessore.
La scopa, oggetto emblematico del femminile è sempre stato uno strumento intorno al quale la superstizione si è sbizzarrita. Un proverbio francese avverte: «Se pulisci la casa con una scopa verde in maggio, scopi via anche il padrone di casa…».
Se una ragazza cammina sul manico di una scopa sarà madre prima di sposarsi. Questa superstizione forse risente dell’influenza dei numerosi riti di fecondità precristiana. Quando si cambia casa non portarsi dietro le scope vecchie, poiché così facendo si porterebbero nella nuova abitazione tutte le precedenti sventure.
Nel folclore di numerosi paesi, si racconta che se un uomo è colpito con la scopa da una donna, diverrà impotente: una espressione figurata molto chiara per sottolineare il rischio che corre l’uomo incapace di difendersi dagli attacchi del “sesso debole”.

Ed ora una poesia in dialetto barese di Emanuele Battista sul destino.

U destìne

O ragionìire Franghe Di Mòneche,
u chiamàvene : “iè sckemmòneche”!
N’omne assàie supersteziùse,
ca pe nudde addevendàve nervùse.
Ce passàve da nanze na gatta gnore,
se meseràve la frève ogne do iore.
Ce acchiàve na ciumma fèmmene,
la gastemàve e s’aggeràve de sckène.
O ciumme masckue, ’mbèsce nge fescève drète,
pe teccuànge la cascetèdde ’nzegrète.
Ce avèva nemmenà u deggesètte a ngualchedùne,
nge decève sìdece chiù iune.
Non se facève ma’ meserà l’aldèzze,
pe pavùre de iesse fatte u tavùte sèzze-sèzze.
Ce a la tàuue s’assedèvene trìdece crestiàne,
s’alzàve desciùne e se ne scève a chiane a chiane.
U cappìdde sop’o litte ma’ u mettève,
decève ca la malanòve sùbbete venève.
Ce la notte se sennàve la cadùte de le dìnde,
la matìne ’mbrìme avvesàve tutte le parìnde.
Nu cuèrne russe iìnd’a la palde sèmme pertàve,
e ogne dèsce passe che la mane u-accherezzàve.
Ogne dì lesceve l’oròschepe a la matìne,
che nu pacche de sale sott’o tauìne.
Ce ngualche cose ca stève a fà no nge quadràve,
“è sckemmòneche” sùbete gredàve.
E ce iève nguàlche iàlde ca nge u decève,
’mbrìme-’mbrìme nge credève.
Na sère, na zìnghere nge lescì la mane,
e nge mettì la cacàzze chedda reffiàne.
“Crà, a da fà attenziòne ragionìire
a le cavàdde e le checchìire”.
Franghìne, la dì a doppe se mettì ammalàte,
e s’asseddì a la boldròne, tutte assestemàte.
’Mbàcce o mure stève nu quadre,
nu traìine che le cavàdde e le quandre.
A buène a buène u quadre se staccò,
e dritte dritte ’ngàpe a Franghìne azzeppò.
La chernìsce, pesànde e d’attòne,
de ponde nge spaccò u fermendòne.
E achsì, Franghìne, senze che se n’avvertì,
sotto o traiìne e le cavàdde merì!
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