“Per decreto di Allah”, Italia-Somalia story

di FRANCESCO GRECO - ROMA - Italia-Somalia, un rapporto antico, complesso. Che la scrittrice pugliese (Poggiardo, Lecce) Tina Aventaggiato indaga con la consueta maestria nel suo ultimo romanzo, “Per decreto di Allah” (Europa Edizioni, Roma 2019, pp. 302, euro 14,90). In chiave romanzata, com’è nella sua cifra (“Abigail è tornata”, Loffredo, Napoli 2011; “Vento freddo sull’Arneo”, Loffrdo, Napoli 2013; “L’occhio guarda a Sion”, Belforte, Livorno 2016), Tina, che è laureata in lingue e svolge anche un’intensa attività pubblicistica, affronta la questione delle diverse fasi della presenza coloniale italiana nel paese africano (1888-1941), il periodo dell’amministrazione fiduciaria (1950-1960), la collaborazione italo-somala (1981-1990), l’operazione-Ibis (1992-1994), fino alla distruzione dello Stato somalo e all’irruzione del terrorismo.   

DOMANDA: Italia e Somalia un rapporto antico: com'è cominciato?
RISPOSTA: "Dal 1888 l’Italia riuscì ad acquisire i primi possedimenti sulle coste somale centromeridionali e nel 1892 Mogadiscio venne ceduta dal sultano di Zanzibar all’Italia attraverso un accordo di usufrutto per 50 anni e il pagamento di 160.000 rupie annuali.
Fu  con l’avvento del fascismo in Italia che il colonialismo italiano in Somalia assunse un carattere estremamente violento e razzista.
Dal 1923 al 1928 divenne governatore della Somalia Cesare Maria De Vecchi, il quadrunviro che si è guadagnato la fama di “macellaio dei somali”. Mussolini lo mandò in Somalia probabilmente per toglierselo dai piedi. Criticava la sua politica. De Vecchi era un generale, sapeva fare solo la guerra e la portò in quel territorio. Al suo seguito c’erano gli squadristi che avevano in concessione le terre fertili del meridione.  Ordinò il disarmo di tutti gli abitanti. Poi ordinò di invadere i territori, le popolazioni furono messe a ferro e fuoco e i villaggi incendiati".

D. Il colonialismo italiano in Somalia (Eritrea, Libia, Etiopia, ecc.), ha avuto un volto umano, alla italiani brava gente, o ha conosciuto anche degli orrori?
R. "Il colonialismo italiano non è stato diverso dal colonialismo delle altre potenze coloniali. Ho già citato esempi di violenze. Il colonialismo italiano ha anche mostrato il volto del più bieco razzismo. Siamo andati in Africa Orientale per salvare quei “popoli primitivi” dalla schiavitù che abbiamo sostituito con quello che i somali chiamavano “Schiavismo bianco” cioè lavoro forzato, un contratto di lavoro “Bertello”, che i somali erano costretti ad accettare e che fu soppresso solo nel 1941 quando l’Italia perse l’Impero e gli inglesi occuparono il territorio. Ancora nel 1948 una delle 23 condizioni poste dalla Conferenza della Somalia per accettare l’Amministrazione fiduciaria italiana era la soppressione del lavoro forzato. Angelo del Boca sostiene che, nella pratica, la vergogna del lavoro forzato fu cancellata solo quando l’ultimo concessionario italiano ha lasciato la Somalia".

D. Montanelli escludeva l'uso di armi chimiche, aspetto su cui invece Del Boca giurava: come stanno davvero le cose?
R. “Questa è una disputa datata che ha trovato soluzione nel riconoscimento da parte di Montanelli che, sì, lo storico Angelo del Boca aveva ragione.
Nella campagna d’Etiopia Mussolini permise l’uso di armi proibite dalla Convenzione di Ginevra: i gas tossici.
Il primo ad essere autorizzato ad usare i gas fu il gen. Graziani, nel fronte Sud (Somalia) che li usò il 24 dicembre 1935 in località Areri. Gli attacchi aerei furono ripetuti il 25,28,30 e 31 dicembre con lancio complessivo di 125 bombe.
Sul fronte Nord i gas vennero impiegati dal 22/12/1935  dal maresciallo Badoglio. Per la prima volta, nella guerra d’Etiopia, furono gettate sulle masse in movimento le micidiali bombe C.500T, che contenevano 212 kg di iprite e che, grazie a un congegno a tempo, si aprivano a 250 metri dal suolo creando una pioggia mortale. Ne furono lanciate 74 tra il 22 e il 27 dicembre, 117 tra il 2 e il 7 gennaio 1936. Il 5 gennaio Mussolini telegrafava a Badoglio di sospendere l’uso dei gas ma Badoglio continuò".

D. Lei nel romanzo parla di decolonizzazione fallita, perché?
R. "Che in Somalia la deconolizzazione sia fallita è sotto gli occhi di tutti. Ma forse possiamo dire qualcosa di più. Cominciamo dal fatto che l’Italia chiese e ottenne l’Amministrazione Fiduciaria della Somalia (Afis). L’ONU gli affidò il governo della Somalia per dieci anni, con il compito di renderla indipendente e autonoma.
L’Indipendenza venne nel 1960 salutata da grandi feste. I somali erano finalmente liberi dagli oppressori italiani e inglesi .
La Somalia aveva una democrazia parlamentare e una costituzione progettate in Italia, sul modello europeo di stato-nazione. Ma nella Somalia non c’erano partiti politici collegati a classi sociali o a qualche ideologia. I cosiddetti partiti erano espressione diretta di famiglie e sottofamiglie claniche. Il tribalismo nelle istituzioni repubblicane scatenava conflitti clientelari e personali.  Corruzione. Questi anni saranno chiamati dai somali  del músuk másuk, cioè dell’imbroglio codificato.
Il colpo di stato militare, 21 ottobre 1969, fu salutato con festa dalla popolazione stanca di corruzione.
 Mogadiscio e la Somalia vissero una stagione di sviluppo nei primi anni della dittatura di Siad Barre.
Erano gli anni del Socialismo Scientifico e Barre lanciava la campagna di sviluppo del mondo rurale. 25.000 operatori furono sparpagliati nel paese per fare un censimento nazionale, una campagna di alfabetizzazione di massa, una campagna di vaccinazione generalizzata dei bambini e del bestiame, una ricerca sulle tradizioni popolari e sulle differenze dialettali tra le regioni e i clan, e non dimentichiamo che il 21 ottobre 1972 la lingua nazionale somala e adottata con alfabeto latino.
Forse la rottura tra il regime di Barre e la società civile cominciò nel 1974, con la riforma del diritto di famiglia che dichiarava la donna in tutto uguale all’uomo. Il Corano non dice così e venne la rivolta dei mullah che Barre represse. Dieci mullah fucilati. La popolazione sunnita scioccata.
L’intesa tra civili e militari si spezzò. Seguirono gli anni della guerra per l’Ogaden(1977-78) e della sconfitta e portarono lo sfaldamento del regime e più dure repressioni per contrastare il malcontento popolare. Sono anche anni di carestia e di migliaia di ogadeni che affollano i campi profughi per sfuggire agli etiopi che hanno vinto la guerra. Barre si rifugiò nel proprio clan e divenne ostaggio della famiglia. Nella corruzione che rimpinguava le casse della famiglia Barre e del clan una parte importante la fecero gli aiuti della cooperazione italo-somala che continuarono anche quando la natura corrotta della dittatura Barre aveva allontanato dalla Somalia gli aiuti degli altri paesi del mondo".

D. Il terrorismo islamista nella sua declinazione somala nasce da quel fallimento?
R. "Certamente nasce anche da quel fallimento. Ma non solo.
La caduta di Siad Barre (gennaio 1991) piombò la Somalia nel caos della guerra civile combattuta da e tra i vari signori della guerra. Questi  furono i protagonisti della guerra civile che per 15 anni, con 350.000morti, ha insanguinato la Somalia.
Negli anni in cui si affermò il sistema dei signori della guerra, il territorio era diviso in specie di feudi governati da loro. Lo sfruttamento dei terreni e la commercializzazione dei prodotti erano sanciti da contratti che dovevano essere stipulati dai signori della guerra. Il traffico di armi e la droga (khaat) erano loro fonti di reddito. Ma erano i check point (posti di blocco) il metodo distintivo del loro sovvenzionamento. Segnavano i confini delle aree di potere di ogni signore e chi voleva oltrepassarli doveva pagare un “tassa”. Molti convogli di aiuti umanitari finirono nelle loro mani, nuova fonte di ricchezza.
Questo sistema impediva lo sviluppo del commercio e dei trasporti. La popolazione era esasperata. Attraversare Mogadiscio diventò impossibile senza scorta e soldi che permettessero di pagare i vari checkpoint.  A questo punto nacquero le Corti Islamiche come tribunali per l’applicazione della sharia e poi si dotarono di milizie per l’applicazione della sharia, per mantenere l’ordine pubblico e attuare programmi e iniziative di assistenza popolare".

D. Come spiega il consenso popolare che all’inizio ebbero le Corti Islamiche? 
R. "Nelle devastazione della guerra civile e degli arbitri dei signori della guerra, la popolazione trovò nei Tribunali Islamici il modo di auto tutelarsi. Avevano bisogno di qualcuno che dicesse ciò che era giusto e sbagliato, che rimettesse ordine intorno. E c’erano i religiosi che conoscevano benissimo il Corano. La sharia fu la risposta. All’interno dei vari clan si elessero direttamente i giudici dei Tribunali Islamici tra le persone che dimostravano di conoscere meglio il diritto islamico. In assenza di altro il diritto islamico apparve idoneo a garantire una parvenza di giustizia. Le Corti Islamiche hanno riportato l’ordine dopo 15 anni di arbitri e abusi dei signori della guerra e a ciò è dovuto il consenso dato loro dalla popolazione inizialmente.
Le corti riflettevano la diversità dei clan e sottoclan e nacquero Corti legate al Sufismo e fortemente contrarie al fondamentalismo salafita, e Corti sensibili al jihadismo. Al Shabaab è una di queste.
Dopo la presa di Mogadiscio, nella quale la popolazione si schierò dalla parte dell’Unione delle Corti Islamiche contro il governo di transizione (2006), si è assistito a degenerazioni come fustigazioni e lapidazioni pubbliche riconducibili alla penetrazione wahabita. La Somalia diventava un’altra cosa".

D. Sapremo mai chi ha ucciso la giornalista Rai Ilaria Alpi e il suo operatore Milan Hrovatin o dovremo rassegnarci a una verità di comodo? 
R. "Secondo me no. Non sapremo mai chi li ha uccisi in quel 20 marzo 1994. Ilaria Alpi cercava in Somalia dove erano andati a finire i 1.400 miliardi della cooperazione italo-somala stanziati dall’Italia dal 1981 al 1990. Li cercava nel momento in cui in Italia le inchieste di “Mani Pulite” svelavano anche il sistema fraudolento che coinvolgeva la politica e l’imprenditoria (italiana e somala)  e suscitavano lo sdegno dell’opinione pubblica. 
Oggi sappiamo che quell’operazione italiana a favore della sua ex colonia è stata un fallimento: 80% dei fondi era destinato a Progetti fisici, la restante parte a Formazione e solo il 13% alla cooperazione con l’Università somala. Dei progetti fisici oggi non c’è nulla.
Ilaria Alpi si interessava in particolare al Progetto Pesca Oceanica, 5 pescherecci e nave frigo che l’Italia aveva donato alla Somalia e che la società Shifco, creata per gestirli, usava probabilmente per il traffico di armi e/o rifiuti tossici.
Resta aperta e senza risposta la richiesta di giustizia per la le morti Alpi e Hrovatin. Per adesso è svanita anche la verità di comodo consistita nella condanna di  Hashi Omar Hassan. Hassan fu condannato a 26 anni di reclusione il 26 giugno 2000 sulla base della falsa testimonianza di Ali Ahmed, Jelle, che poi ritrattò. Hassan fu assolto e la Corte d’Appello di Perugia ha disposto un risarcimento per ingiusta detenzione, ben 17 anni circa, di oltre 3 milioni di euro".
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