Riflessioni sulle problematiche attuali dell’interruzione volontaria della gravidanza

di FILIPPO MARIA BOSCIA* - Nel particolare e doloroso momento che stiamo vivendo, in cui sin dal 1°febbraio è stato deliberato lo stato di emergenza nazionale per la pandemia da COVID-19 e sono stati emanati i correlati “Decreti cura Italia”, una raffinata operazione ideologica è stata messa in atto da alcuni “opinion leaders” e gruppi professionali, sostenuti al solito da determinate frange politiche.

Un appello rivolto al Presidente del Consiglio, al Ministro della Salute e alla Agenzia Italiana per il farmaco (AIFA) invita a riconsiderare le regole dell’aborto farmacologico e della sua strutturazione/organizzazione a livello territoriale.

Si chiede, con motivazioni assai opinabili, la deospedalizzazione delle pratiche dell’interruzione volontaria della gravidanza per renderle coincidenti con una domiciliazione e gestione territoriale, che riguardi in modo particolare le fasi di avvio delle procedure e la successiva somministrazione di farmaci ad effetto abortivo.

Il suddetto messaggio vede come primi firmatari Pro-choice RICA, LAIGA, AMICA, Vita Di Donna ONLUS ed è sostenuto dall’Agite, associazione di ginecologi territoriali, federata alla SIGO, l’autorevole Società Italiana di Ostetricia e Ginecologia.

L’istanza chiede a gran voce di riorganizzare tutte le prestazioni connesse agli adempimenti previsti dalla legge 194/74 “norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza”, che disciplina le modalità di accesso all’aborto depenalizzato.

La sollecitazione all’organo di governo viene posta dagli specialisti di ostetricia e ginecologia, operanti nella specialistica territoriale, ai quali incombono non solo i compiti di attuazione della L. 194/78, con tutti i suoi chiari benché disattesi aspetti preventivi, ma anche quelli inerenti la precedente L. 405/75, istitutiva dei consultori familiari, strutture create a sostegno e per il benessere della famiglia e dei suoi componenti.

Nell’appello-istanza si chiede di adottare misure atte a privilegiare la procedura farmacologica a gestione domiciliare, che tra l’altro consentirebbe di limitare gli accessi in ospedale e pertanto il potenziale rischio di contagio, in quanto, sebbene erroneamente, si sostiene che l’emergenza Coronavirus metta a serio rischio la pratica attuazione della legge sull’aborto.

Motivo per cui è logico che si gridi “la legge 194 è minacciata!” mentre “l’aborto è priorità assoluta e chiede immediatezza di intervento!”. Ciò però non corrisponderebbe al vero, in quanto le procedure di aborto hanno sempre la priorità assoluta, come dimostrato dalle indagini secondo cui mai alcun freno è stato disposto alla legge 194/78. In tutte le regioni viene data precedenza assoluta all’aborto, bloccando persino quegli interventi chirurgici, pur necessari, che non abbiano le caratteristiche di estrema urgenza.

A questo punto c’è da chiedersi: ma oggi in Italia, in questa dolorosa contemporaneità, siamo sicuri che il problema dei problemi sia proprio quello dell’aborto?  Che tra l’altro, nonostante la grave emergenza sanitaria, ha continuato ad essere soddisfatto senza particolari problemi sia nelle strutture istituzionali che in quelle convenzionate.

A me pare che, proprio la nefasta situazione che stiamo vivendo avrebbe dovuto mitigare questo “furore abortista”! Furore che addirittura è diventato virale, prevalente e pervasivo, portato avanti e proposto proprio da quegli specialisti che, in questa precisa circostanza, avrebbero piuttosto dovuto porsi in difesa della vita, curare il ”male d’aborto” e lenire la sofferenza e la solitudine che lo circondano.

Purtroppo personalmente intravedo in questa manovra un tentativo davvero raffinato, mirante a far includere nei “Decreti cura Italia” una priorità che non esiste, e che non merita di essere considerata tale, al fine di ottenere molto semplicemente una maggiore libertà nel manipolare l’inizio della vita.

Si desidera approfittare di questa occasione per avere una legge 194/78 ancora più permissiva! Oppure si vuole, senza disagi e senza sentimenti, organizzare una “catena di smontaggio” della vita umana al suo esordio? Il mistero dell’inizio della nostra esistenza è diventata “la grande pietra di inciampo contemporanea!”.

Mi preoccupa altresì la persistente e diffusa incapacità di non saper organizzare le corrette dinamiche di prevenzione, e ancora il non voler considerare quale terremoto emotivo, in questo momento, sia insito nella decisionalità frettolosa di attuare “politiche dello scarto” a cominciare dalla vita nascente.

Scellerati tentativi tentano di nascondere questo scarto, di farlo diventare mero fatto privato, magari nascosto, vissuto nella solitudine domestica,  anche by-passando quel minimo, ma indispensabile, tempo di ripensamento previsto dalla legge.

Quel che oggi viene presentato come emergenza sociale non rappresenta le indispensabili garanzie per la vita concepita, ma asseconda il malcostume della banalizzazione.
Così il “furore abortivo” è servito! Tutto questo nell’incapacità di distinguere lo straordinario dall’ordinario e ponendo, con ostentata indifferenza bugiarda, questa delicatissima questione all’attenzione di una società al momento grandemente sofferente e disorientata.

In un deterioramento sociale orientato a cum-vertere, a trasformare, a tramutare la sapienza in incapacità del sapere, possono perpetrarsi tanti misfatti. Tanto poi… le colpe sono sempre degli altri!

In un mondo tecnocratico fatto di fantasmi e colonizzato dalla grande matrice culturale del digitale, ma che in realtà non ha ancora compreso appieno quali siano le priorità da disporre nelle emergenze, noi desideriamo sapienza nelle scelte e nelle attività di governo, perché si possano regolare al meglio il vivere civile e le relazioni umane.

* Presidente Nazionale Medici Cattolici Italiani e Presidente Onorario della Società Italiana di Bioetica e Comitati Etici

(Angela Lazazzera-SACRIFICIO-30X55 T.m su legno, 2020)
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