Nuova vita alla terra col Recovery Plan, il 'sogno' dello scrittore Vittorio Buccarello



FRANCESCO GRECO -
La Xylella fastidiosa, la lebbra che ha infettato gli ulivi secolari di Puglia, ha dato il colpo di grazia. Ma il processo di abbandono e marginalizzazione della terra nel Salento era già in atto, e non da oggi. Il territorio rurale, estremamente parcellizzato, un tempo fortemente antropizzato, è stato abbandonato del tutto, o quasi. I paesi intorno vivono un pesante fenomeno di spopolamento, l’emigrazione ha ripreso massiccia, i giovani se ne vanno per studiare, poi si sistemano lontano. La terra di nascita sarà solo la meta delle vacanze. La “restanza” è un fenomeno solo sociologico, autoerotismo per salotti pseudo-intellettuali.

Di gente che non ha da combattere per il pane e un po’ di companatico, per sé stesso e la propria famiglia. Tanti vogliono vendere la loro particella, ereditata dagli avi oppure acquistata con anni di emigrazione. Ma il mercato balbetta, è quasi fermo. Peraltro, solo tenerla pulita, la terra, senza alcuna coltura, ha un costo che non tutti, pensionati o lavoratori occasionali, possono permettersi: per l’operaio col tagliaerba almeno due volte l’anno e per quello con la motozappa per la fresatura. Tanti giovani, anche con titoli di studio, si sono “buttati” sulla terra, per portare il pane a casa e per non emigrare. L’ascensore sociale è guasto, i “garantiti” hanno tutto, gli altri si arrangiano.

Che fare? Si può ridare nuova vita alla terra? Il poeta e scrittore Vittorio Buccarello pugliese (“La voce che sogna”, “Foglie in autunno”, “Esuli del tempo”), figlio di contadini e coltivatore a sua volta, dice che si può, e si deve. Sostiene che ci potrebbero essere ricadute positive in termini di occupazione. E ha qualche idea per cambiare cultura e coltura, che spiega in questa intervista.

La terra è abbandonata, è incolta, non rende niente e solo tenerla anche inattiva costa: come siamo arrivati a questo punto di decadenza?

"Per capire tutto il ragionamento, bisogna prima conoscere il territorio, come era fino alla metà del XX secolo e come è diventato adesso in questo XXI".

Com’è cambiato?

"Mi ricordo quando ero ragazzino che questa terra era composta per lo più da ficheti, oliveti, terreni cosiddetti “scapoli”, cioè senza alberi che venivano tutti utilizzati. Si seminava e si piantava di tutto, dal frumento alle piccole piantagioni di tabacco e ogni genere di ortaggi. Anche i piccoli buchi sparsi tra la roccia servivano per piantare qualcosa, si coltivava soprattutto usando la zappa o arando con l’aratro tirato dalle bestie, cavalli, asini o mucche. Non esisteva un solo angolo trascurato, tutto veniva pulito e assistito, i muretti a secco si riparavano subito appena qualche pietra cadeva. Rovi e “scarascine” erano rari, appena riuscivano a incrementarsi, si tagliavano e si legavano in fascine per essere utilizzati nei forni dove si cuoceva il pane. Qualunque arbusto era utilizzabile per il fuoco e il fuoco non veniva mai sprecato".

Come era la struttura del latifondo?

"Il territorio era formato da piccoli appezzamenti, tutti recintati da muretti a secco e “pajare” sparse. I terreni un po' più grandi e apprezzabili, erano nelle masserie e appartenevano a grossi proprietari che le davano in colonia ai tanti contadini che si trasferivano con la famiglia e tutti insieme coltivavano e producevano di tutto, si allevavano anche dei capi di bestiame: mucche, vitelli, pecore e animali di cortile".

Il Salento viveva quindi di economia rurale…

"Tutti i paesi del Capo di Leuca erano abitati da pescatori, qualche bottega di artigiani: il resto erano tutti contadini e dalla terra venivano tutte le risorse per vivere. I soldi erano come mosche bianche, ma esisteva lo scambio dei prodotti e del lavoro vivendo in solidarietà. Quindi questo territorio allora era importante e necessario, si raccoglieva fino all’ultima risorsa tutto ciò che produceva. Le lastre di roccia dette “chianche”, e le tante rocce sollevate che affioravano quasi dappertutto, si tenevano pulite ed erano la caratteristica del suolo. Anche se in seguito, parte di queste sono state estirpate per liberare il terreno e rendere più facile la coltivazione. Nelle “conche” (buche) dove si depositava l’acqua piovana, si poteva bere o bagnare le frise per mangiarle. I paesi si svuotavano mentre tutta la campagna era popolata di gente che lavorava e cantava in comitiva vivendo a tu per tu con la natura. Tutti erano fisicamente temperati e pieni di anticorpi. Di medici n’era solo uno per tutta la comunità e alla necessità, riusciva a fare anche dei piccoli interventi chirurgici a domicilio. Grosso modo, era questo il territorio di allora. Pochi soldi e lavoro per tutti e tanta solidarietà".

Oggi la terra è abbandonata, non rende più niente…

"Tutto si è evoluto nell’arco di appena settant’anni, ma è come se fossero trascorsi mille anni. L’emigrazione ha fatto la sua parte facendo arrivare più soldi nelle famiglie e in questi paesi, quindi più lavoro nell’edilizia e nell’indotto artigianale, più acquisti di ogni genere, ma soprattutto prodotti industriali. La moneta ha incominciato a girare sempre più in quantità, più ne serviva e se ne stampava facendola continuamente riciclare per essere poi accumulata nei paradisi fiscali, nell’industria che cresceva, così pure nelle banche, la finanza, le multinazionali e il capitalismo".

Anche il sud Salento ha vissuto l’industrializzazione e anche quella è in declino, perché?

"L’industria ha preso piede anche nel basso Salento e per circa 15 -20 anni molta gente giovanissima trovava lavoro nelle fabbriche, per lo più del settore calzaturiero. Ma poi dopo questi anni, le fabbriche come sono venute sono scomparse lasciando sulla strada tutta una generazione senza arte e né parte, giovani cresciuti per circa 20 anni in fabbrica, dopo non sapevano più fare altro e tutto è ritornato peggio di prima, ma con l’evoluzione che c’era stata, sia nell’ambiente che nella mente della gente. E così tutto il lavoro che si svolgeva nell’agricoltura si era travasato nell’industria: mentre la terra era sempre meno coltivata e trascurata fino a essere abbandonata del tutto".

Anche la vita della gente è cambiata…

"Intanto si riempivano le case di oggetti vari e nuovi, le abitazioni sono diventate sempre più grandi ma con meno figli, mandati tutti allo studio. Il benessere aumentava, e con esso le esigenze diverse. Televisione e pubblicità inculcavano nella gente il desiderio di spendere e spandere anche nel superfluo, l’usa e getta diventava la cultura più diffusa, producendo di continuo spazzatura e inquinamento. Tutto si evolveva nel progresso, però mirando soltanto al consumo, per l’accumulo del capitale liquido soltanto ai soliti capitalisti e uomini di affari e trascurando di fare crescere di pari passo gli anticorpi per sopperire alle conseguenze che tale consumismo provocava. Interessava solo guadagnare con meno spese possibili, ogni scarto o scorie di ogni genere, che aveva un costo per essere smaltito regolarmente, venivano nascosto e sotterrati. Quindi inquinamento gratuito per tutti. Conseguenza: nuove malattie, più dottori e medicine, ulteriore aumento di guadagno per le case farmaceutiche sfornando medicinali come fossero prodotti alimentari, provocando altri mali e quindi altre medicine. Ed è così che la scienza e la trasformazione a vantaggio dell’industria hanno preso il posto della natura e del territorio, trasformando anche l’umanità in una sorta di usa e getta anch’essa".

Torniamo alla terra sempre più incolta e sterile…

"Nel sistema industriale è entrata anche l’agricoltura, ma solo nelle serre o in grandi estensioni di terreno dove si potrà produrre con facilità usando macchine sempre più automatizzate e fertilizzanti per prodotti sempre meno naturali. Industria è diventata anche il turismo che si è spinto su ogni posto e in ogni cosa, con esigenze sempre nuove e curiose".

Ormai è sempre più grande la porzione di terra abbandonata, dove crescono solo erbacce…

"Il nostro angolo di paradiso è diventato un rottame sotto tutti i punti di vista: prestato solo a incendiarsi ogni estate per l’incuria e per le tante sterpaglie diventate ormai l’unica vegetazione in un deserto abbandonato da tutti, ma ricco di curiosità che suscita su chi viene da altri posti e guarda restando incantato dalle caratteristiche ha esso esprime".

Che cosa di potrebbe fare?

"Ormai su questa terra non si produce più nulla se non qualche ortaggio a livello famigliare ed è un gran peccato lasciar tutto in balia del fuoco. Non è da oggi che nutro un sogno: un parco attrezzato e usato a scopo turistico. Vedere tra la macchia mediterranea, i canaloni, i muretti a secco, le “pajare” e le stradine, invase di siepi ed erbacce, trasformati in sentieri ciclabili e pedonali, tante casette in pietra sparse su tutto il territorio, piccoli ristori, negozietti e chioschi sparsi, parchi organizzati per stare all’aperto e giochi per i bambini. Il tutto sistemato per curiosare e passeggiare, respirando la natura, sia per la gente del luogo che per i turisti stranieri".

Chi dovrebbe essere protagonista di questa rinascita?

"Ai titolari di qualsiasi pezzo di terra dovrebbe essere imposto di custodire e tenere pulita la sua proprietà, oppure incentivarlo a venderla a chi dei confinanti volesse acquistarla per ingrandire la cubatura in modo sufficiente a costruirsi una modesta casetta nel rispetto dell’ambiente e con l’impegno della pulizia e manutenzione di tutti i muri in pietra. Così facendo, ognuno avrebbe interesse a tutelare e preservarsi la sua particella come un giardino, coltivandola per piccole produzioni naturali per la sua stessa famiglia".

Casette, negozietti, botteghe artigiane…

"Questo territorio, composto dalla boscaglia e sassi, da Novaglie a Torre Pali fino a Santa Maria di Leuca, diventerebbe un quadro d’autore, illuminato dal sole, incorniciato dal mare e accarezzato dal vento. Una rara bellezza che farebbe gola a chiunque, un angolo simile a un presepe da ammirare e da far invidia al mondo intero. Un progetto ben studiato che comprendesse tutti i mezzi nel rispetto paesaggistico e dell’ambiente".

I soggetti pubblici avrebbero un ruolo?

"Tutte le amministrazioni che fanno di questa area dovrebbero unirsi e impegnarsi con volontà, facendo forza comune con gli operatori del turismo, ristoranti, alberghi, commercianti e tutta la comunità interessata: prendendo di petto tutta la questione e imporla agli enti competenti: Governo Regionale, Nazionale ed Europeo. Fare leva con ogni mezzo, affinché fosse approvato e finanziato".

Nascerebbero posti di lavoro?

"Il mio “sogno” creerebbe moltissimi posti di lavoro e non soltanto quelli, ma ricchezza per tutto il territorio. Immaginate quanto lavoro nascerebbe per realizzare tutto questo, e quanto altrettanto lavoro per mantenerlo nella costante pulizia e continuo miglioramento. I governi regionale e nazionale, col Recovery fund, non dovrebbero occuparsi solo delle grandi opere come il Ponte sullo Stretto, la Tav e tante altre che potrebbero essere superflue, ma ripristinare e salvaguardare il suo stesso territorio farebbe nascere lavoro e sicurezza per tutti e dappertutto, invece di lasciarlo in abbandono e dover poi assistere continuamente a disastri di frane ogni volta che piove, ai vasti incendi in ogni estate o straripamenti di fiumi, provocando danni e vittime e consumando fior di miliardi per ripararli. Miliardi spesi e spariti inutilmente, mentre potrebbero essere ben investiti, se nella politica, nei governi e in tutte le Istituzioni, ci fossero meno negligenti e più gente con responsabilità e amore per il proprio paese".

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