Beethoven: curiosità sulla sordità di un genio


VITTORIO POLITO - Ludwig van Beethoven (1770-1827), il celeberrimo sordo che conquistò il mondo scrivendo capolavori, specie nell’ultimo decennio di vita, versava in condizioni piuttosto gravi, tanto da tentare il suicidio. Infatti in una lettera indirizzata ad un amico, Beethoven scriveva: «… e poco ci mancò che mi togliessi la vita. Solo l’arte mi ha trattenuto di farlo. Mi è parso impossibile lasciare questo mondo prima di avere pienamente realizzato ciò di cui mi sentivo capace». Beethoven era molto miope e quindi usava le lenti sin da piccolo e forse per questo motivo scrisse un “Duetto con due occhiali per viola e violoncello”. A causa della sua nota sordità trascorse sei mesi nell’arcadica atmosfera di Heiligenstadt, oggi un trafficato quartiere viennese, «lontano dai rumori per riposare l’affaticato organo dell’udito», ove compose la Sesta Sinfonia, detta Pastorale. Purtroppo la perdita dell’udito sarà progressiva, sino alla sordità completa. Tutte le terapie prescritte (suffumigi, diuretici, lavaggi, acque termali, correnti galvaniche, magnetismo), si rivelarono inutili, se non dannose. Molto probabilmente si trattò di una otosclerosi, una ossificazione della staffa, uno degli ossicini dell’orecchio che, attualmente, si cura con elevato successo, sostituendola. Il noto compositore soffriva anche di cirrosi epatica, forse dovuta alla sua documentata propensione verso l’alcol, e si ipotizza che sia stata proprio questa la causa della sua fine. Ma questa è un’altra storia.

Verso la fine del 1800 arriva in Italia una incantevole ragazza bruna, viva ed esuberante e non ancora maggiorenne, la contessina Giulietta Guicciardi (1784-1856), e Beethoven se ne innamora componendo per lei il celeberrimo “Al chiar di luna”, ma la contessina non ricambiò l’amore del Maestro e sposò Robert von Gallemberg, un mediocre autore di balletti, squattrinato, ma conte.

Il 1814 segna l’apice della fortuna artistica di Beethoven, tenuto in massima considerazione al Congresso di Vienna, partecipando direttamente ai festeggiamenti, ma quell’anno segnò pure l’aggravarsi della sordità, causando la fine dell’attività concertistica. Nonostante il ricorso a medici, omeopati, terapie varie come stimolazioni elettriche, balsami da applicare alle orecchie, i risultati risultarono del tutto inutili.

(Alcuni spartiti di Beethoven)

Nel maggio 1824, in occasione del concerto “Sinfonia per cori”, sotto la sua direzione, terminata l’esecuzione egli non sentì le acclamazioni che gli tributava il pubblico, finché una cantante, Caroline Unger, non lo volse verso la platea in tripudio. Tutti in piedi applaudendo con agitazione di cappelli e fazzoletti e applausi, ma Beethoven non poteva udire, ma solo ‘vedere’ “il suono dell’applauso”.

Nel 1826 gli fu prescritta una bizzarra ricetta: “Bucce verdi di noci cotte in latte tiepido; mettere nell’orecchio alcune gocce della mistura” (?). Verso la fine dello stesso anno si ammalò di polmonite e con la terapia del primario della Clinica Medica di Vienna, la patologia si risolse in una settimana, ma le condizioni generali peggiorarono. Dopo tante inutili e strane ricette con l’effetto peggiorativo della salute del Maestro, i medici interruppero l’insensato accanimento terapeutico, consentendogli di bere nuovamente il vino. Ma il 23 marzo 1827, dopo aver firmato il testamento si rivolge ai presenti ed esclama: “Plaudite amici, commedia finita est!”. Il 24 marzo riceve l’estrema unzione. Il 26 marzo, durante una tempesta di neve si spegne il genio della musica.

Numerose sono state le ipotesi e le interpretazioni relative alle patologie sofferte dal Maestro, ma la vera natura della malattia che lo hanno portato alla sordità sono ancora oggi sconosciute e forse lo rimarranno per sempre.

Il 29 marzo del 1827, giorno del suo funerale, i viennesi ebbero la certezza di aver perso qualcosa di veramente grande, riscattando così l’indifferenza riservata a lui negli ultimi anni della sua vita. L’attore austriaco Heinrich Anschutz (1785-1865) lesse l’ovazione funebre scritta dal drammaturgo Franz Grillparzer (1791-1872): “Era un artista, ma fu anche un Uomo… Chi verrà dopo di lui non continuerà, dovrà ricominciare, perché questo precursore ha terminato l’opera sua dove finiscono i limiti dell’arte”.

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