Dalle tenebre nasce la luce: nell’anno di Dante

(waldo93 /pixabay)

SANTA FIZZAROTTI SELVAGGI -
Dico che l’usanza de’ filosofi è di chiamare ‘luce’ lo lume, in quanto esso è nel suo fontale principio; di chiamare ‘raggio’, in quanto esso è per lo mezzo, dal principio al primo corpo dove si termina; di chiamare ‘splendore’, in quanto esso è in altra parte alluminata ripercosso». (Convivio III, XIV, 5)

La poesia porta alla luce il mondo interiore  in connessione con le esperienze del mondo esterno  svelando di questo gli infiniti volti. E la luce è dimensione fondamentale di tutta la Commedia dantesca. Possiamo affermare  che l’intero poema è architettato in base ad essa. Nell’Inferno, la struttura si regge soprattutto sull’assenza di luce; nel Purgatorio, al limite delle ombre ,si diffonde una dolcissima luce naturale; e nel Paradiso veniamo a contatto con una luce cosmica che  trascende verso la luce increata e soprannaturale.  Le tre cantiche ci appaiono come le età fondamentali della vita, come  una sonata, come le tre istanze di S. Freud ( Es, Io, SuperIO ; Inconscio preconscio conscio ), come la Trinità…Ed è cosi che in modo complesso Dante racconta di sé e dell’animo umano in un rispecchiamento continuo tentando di uscire dal labirinto di specchi in cui si proiettano sull’Altro parti di sé, annientando in tal modo l’identità l’Altro. Siamo fatti di tenebre: quando si nasce le abbiamo già dentro di noi: non a caso il viaggio dentro di noi è la sfida più grande perché incontrare se stessi è sempre difficile.  Al buio del seno materno si contrappone la luce esterna. Si viene alla luce e si incontrano le braccia e il latte della madre : il Paradiso.  Dalla memoria  emergono i ricordi e l’inevitabile sofferenza dell’esistere in quanto tale,a volte , non trova parole che possano consentire la condivisione dell’infelicità: le radici della scrittura risiedono nella sofferenza, nella dolente ricerca di se’. 

Dal ricordo doloroso, da questo entrare dentro di sé, dal cuore dunque, dai sentimenti più disparati, si può irradiate una visione spirituale nuova. La parola è di per sé un abisso, contiene suoni che ci riconducono sempre in un altrove, in altri tempi e altri spazi , unisce e separa, annienta e salva , uccide e guarisce. Nella parola di Dante ciascuno di noi incontra parti di sé, la luce nera che ci abita, il grande mosaico dell’esistenza in costante divenire, la nostra natura di esseri umani  con lo sguardo rivolto verso il cielo. E forse mai come oggi urge il chiarore del giorno, in questo momento storico, fatto di tensioni sociali, conflitti interni, lacerazioni, disperazioni per il lavoro perduto, per gli inganni, paura della malattia indotta da Covid 19, timori per i vaccini approntati per combattere questa “misteriosa“ epidemia, preoccupazioni per i cambiamenti climatici e le violenze, più o meno manifeste o subdole, perpetrate su uomini, donne, bambini, anziani. Giovanni (28) dice che l’uomo ha preferito la tenebra, ma esiste la luce “nel e del “ buio e certo anche le tenebre sono opera di Dio: Dante con il suo viaggio  dimostra che se non si attraversa il proprio inferno non ci si può purificare, la materia non  esprime la sua propria prigioniera luce, non si spiritualizza.

L’Inferno è  il “loco d’ogne luce muto”. Muto dolore anche se urlato:” “Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente». L’Inferno è tenebra quasi totale, che però a volte per una sorta di pietas appare crepuscolare e a tal proposito straordinario ci sembra il verso «quiv’era men che notte e men che giorno». Come dire che sempre siamo nel momento in cui la notte non ha ancora ceduto il passo all’alba del nuovo  giorno, il momento crepuscolare tra il sonno e la veglia, denso di inesprimibile angoscia. Un limbo chiaroscurale: "Il primo cerchio che l'abisso cigne 2 ( Inf. IV. 25) che J-B. Pontalis chiama " un piccolo inferno più dolce": il non finito. essere pervasi dal desiderio della luce  e non poterla vedere mai. Solo sospiri che fanno tremare  le tenebre del Cerchio. Ma soltanto se ci si ritrova dinanzi al vero sé nascosto solo allora si può rinascere  attraverso “ un budello infernale”, una sorta di cordone ombelicale che ci consegna con doglie di parto al “ chiaro mondo» per tornare «a riveder le stelle». Nel Purgatorio, luogo catartico di lavacri la luce appare più naturale: «Dolce color d’orïental zaffiro».

La luce dantesca si fa poi  “chiara , lucente sustanza” “etterna”: è l’apologia della metafisica, un fuoco che arde ma non brucia. Meravigliosa la visione di Beatrice verso la fine della cantica: “...sovra candido vel cinta d’uliva donna m’apparve, sotto verde manto vestita di color di fiamma viva...” (Purgatorio, Canto XXX, 31-33) In Beatrice si incarnano le virtù teologali: il bianco della Fede, il rosso della Carità e il verde della Speranza.

Trattasi di  una poetica che si inscrive tra pace e pacificazione in grado di trasfigurare l’esistente: la veste dei beati è fatta di luce, ma non sorprenda quando mi par di comprendere che anche di luce è fatto  il canto di Francesca ( Canto V dell’Inferno  verso 103) quando si legge che “ Amor, ch’a nullo amato amar perdona “. Un verso che illumina la nostra mente sulla natura dell’Amore, di Eros che quando ferisce è inesorabile . Nessuno può resistere alla freccia di Eros, ma Dante avverte anche  che nessun amato può perdonare un amore altro e dunque invita alla sublimazione, a contemplare il suo amore angelicato per Beatrice, un amore che salva perché intessuto di luce   cristica: la lucente sustanza  che si nasconde  dietro una nuvola per non accecarlo. (Paradiso XXIII, 79-84).   Una sorta di svelamento e nascondimento, un adombramento, obumbratio, come accadde a Mosé quando disse al Signore: Mostrami la tua Gloria!. 19 Rispose: «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia». 20 Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». 21 Aggiunse il Signore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: 22 quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. 23 Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere». E così nell’episodio evangelico della Trasfigurazione quando gli Apostoli furono accecati dalla luce del Cristo, luce che divenne ombra: Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo» - Matteo, 17. La luce dell’Empireo è  insieme reale e metafisica e Dante nell’imago luminoso del cerchio(Paradiso XXXIII, 136-138), trova la propria ombra nella luce.

Con l’augurio che tocchi anche a noi, dopo aver attraversato il nostro inferno, con il Covid 19 o senza Covid 19, con gli affanni e i malanni ritornare a guardare il sole e le stelle rinascendo a noi stessi.

Testi consultati:

Bordoni Di Trapani , Il motivo della luce nel “ Paradiso “di Dante , Notiziario Letteratura 

Gagliardi, La luce nell’Empireo dantesco, Testo della conferenza presso la Società Dante Alighieri di Roma ,30 novembre 2010

Varela- Portas De Orduna, L’ombra della luce: poetica della memoria o poetica della reminiscenza ? , Universidad Complutense. Asociacion Complutense de Dantologia 

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