Il Beato Angelico e gli artisti in San Nicola


LIVALCA
- A metà degli anni ’60 da ragazzino a Roma dovevo visitare la Pinacoteca Vaticana con mio padre ed un suo amico per ammirare, fra i tanti, un dipinto che aveva per titolo “La leggenda di San Nicola di Bari”, opera del pittore ANGELICO, il Beato. Purtroppo questo amico del genitore mi accompagnò prima a visitare il Villaggio Olimpico, costruito per le Olimpiadi del 1960, in cui abitava ed io rimasi a giocare con i figli in quel paradiso in terra, perché fra le palazzine vi erano campi di pallacanestro e tante attrezzature sportive (come non plaudere a coloro che realizzarono il villaggio con la consapevolezza che le abitazioni sarebbero state in seguito ‘affidate’ alla gente per viverci: quanta saggezza in una semplice azione di buon governo!).

Ho pensato a questo evento nel 1982 quando papa Giovanni Paolo II beatificò il pittore Guido di Pietro, nato a Vicchio nel Mugello nel 1387(?)e morto a Roma nel 1455, e scrissi qualcosa citando il dipinto che riguardava appunto San Nicola - di cui trovai la riproduzione su una splendida enciclopedia della UTET - e che avrei potuto ammirare de visu anni prima. Nelle mie reminiscenze è vivo il ricordo che del Beato Angelico non vi erano dubbi sul giorno, mese e anno della morte - 18 febbraio 1455 - ma dell’anno di nascita veniva posto un incerto “tra il 1385 e il 1400”. Chiaramente se gli ‘artisti-domenicani’- i componenti la squadra attuale della Basilica di San Nicola, capitanati dal Priore fr. Giovanni Distante, e il direttore del Centro Studi Nicolaiani fr. Gerardo Cioffari - hanno optato per il 1387 per rendere omaggio al Beato Angelico, nella ricorrenza della sua memoria liturgica, con la intelligente e culturalmente valida manifestazione di venerdi 18 febbraio 2022, non ci sono dubbi: la data è 1387. Che il Beato Angelico sia anche il patrono universale degli artisti non fa che confermare una frase di Corrado Alvaro «L’arte è la memoria degli uomini, come la storia è la memoria degli uomini» e un’altra che riguarda proprio la pittura - non è anonima ma tra i miei appunti riesco solo a decifrare canadese - e recita grosso modo: «Invitare il pittore a dipingere la natura nello stato in cui si trova, è come invitare il pianista a sedersi sul pianoforte» (amico lettore rispolvera la fantasia, che è ‘madre’ delle idee ma non sempre riesce a farsi capire…).

Di solito il titolo di Beato viene attribuito ad una persona morta in fama di santità, nel caso del pittore Angelico fu l’umanista Cristoforo Landino che da ‘vivo’ volle puntualizzare quanto fosse di alto valore sacra e religiosa l’ispirazione dell’arte di fr. Giovanni da Fiesole, altro nome con cui è conosciuto l’autore dello splendido “Noli me tangere”, affresco custodito a Firenze nel Convento di san Marco.

Ora due parole sul culto del Beato, che deve sottostare ad alcune rigide limitazioni: non può essere iscritto nel martirologio ecclesiastico, l’immagine non può essere esposta in pubblico e nelle chiese e quindi neanche sull’altare: la trafila da seguire prima che la Chiesa attribuisca il titolo di beato ad una persona si chiama ‘beatificazione’, da cui si parte per accedere, dopo un percorso impegnativo detto ‘canonizzazione’, a quello di Santo (Di questi giorni è la notizia che prosegue la ‘pratica’ di beatificazione di fr. Daniele Natale, da tutti conosciuto come il ‘figlio spirituale’ di Padre Pio). Tornando a Cristoforo Landino sopra ricordato ( Firenze 1424-nel Casentino 1498, vicinanze di Arezzo) viene accreditato come studioso di Orazio e Virgilio, grande estimatore della poesia degli antichi considerata non solo come veicolo di conoscenza, ma anche elemento di incivilimento del genere umano. Landino - cosa che ho appreso indirettamente consultando il libro di Delio De Martino “Dante e la pubblicità”- nel 1480 pubblicò un commento, definito dalla critica molto pregevole, alla Divina Commedia con illustrazioni di un certo Sandro Botticelli (Landino era famoso, ma Botticelli ancor di più…eppure trovarono il tempo e il modo di collaborare nel comune interesse).

Consultando l’agiografia del Beato Angelico apprendiamo che prese i voti a vent’anni e fece 14 mesi di noviziato nel convento di San Domenico in compagnia del fratello fr. Benedetto, abile calligrafo di codici miniati. Nel 1409 lo ritroviamo a Foligno in compagnia dei monaci fiesolani coinvolti nello scisma ecclesiastico, di qui emigrò a Cortona a causa di una pestilenza e, dopo un lustro travagliato e grazie al consenso del vescovo, rientrò a Fiesole.

Da questo periodo fino alla morte tantissimi sono i lavori, coadiuvato spesso da collaboratori non solo volenterosi ma anche talentuosi, portati a termine; la sua notorietà era così riconosciuta che vi è una lettera del pittore lagunare Domenico Veneziano che, scrivendo da Perugia a Piero de’ Medici, lo definisce uno dei maggiori artisti di Firenze. Va anche ricordato che nel 1448 fu nominato, incarico che conservò per tre anni, priore del Convento di San Domenico a Fiesole.

Da menzionare fra le sue opere: la “Madonna del Tabernacolo dei Linaioli”, dove si possono ammirare stupendi angeli musicanti, in cui molti notano un tratto di Masaccio mentre altri riscontrano il cromatismo prezioso di Paolo Uccello; nella cappella di San Brizio nel duomo di Orvieto vi sono due vele dipinte da Benozzo Gozzoli - discepolo migliore e prediletto del Beato - su cartone del Beato Angelico; in Vaticano vi è la decorazione della cappella Niccolina in cui emerge la monumentale grandiosità delle Storie dei Santi Stefano e Lorenzo, le cui vesti sono un esempio di autentico splendore ( molti libri considerano tale lavoro l’unico superstite in Roma delle pitture del Beato); due suggestive composizioni ubicate nel Palazzo Vaticano nella Cappella di Niccolò V e sono “Papa Sisto II consegna i tesori della Chiesa a San Lorenzo” e “S. Bonaventura”; i dipinti dedicati a “San Girolamo” dove appare evidente l’influenza di Masaccio e quello a “San Giacomo” ( collezione Du Cars, Parigi) in cui recenti studiosi vedono l’andamento lineare tenero, compatto e pur prezioso di Tommaso di Cristoforo Fini, noto come Masolino; altro capolavoro si trova nella Pinacoteca di Cortona dove “La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre” è solo un particolare della grande tavola dell’Annunciazione.

Durante il servizio di leva un compagno d’armi, medico e ottimo amico, di cui ricordo nome e cognome, Patrizio Carli, mi parlò di una pregevole opera “Tabernacolo dell’Annunziata” in cui 35 ‘sportelli’ viventi e parlanti raccontano scene della vita di Cristo in San Marco.

In conclusione mi pare di aver arguito, consultando appunti personali e qualche testo, che la formazione artistica del Beato non sia chiarissima - alcuni sono del parere che nei primi anni il suo campo d’azione sia stata esclusivamente la miniatura, mentre altri affermano che il contatto in Firenze con Masaccio, Brunelleschi e Gentile da Fabriano sia già evidente nei primi lavori - e solo su un punto tutti convergono: riconoscere in Lorenzo Monaco il suo primo Maestro.

Ritengo anche di dover puntualizzare alcune cose in riferimento al dipinto citato all’inizio dedicato a San Nicola: la foto che vidi all’epoca sulla sopracitata enciclopedia era in bianco/nero e, nonostante la mia discreta memoria fotografica, ‘rivedo’ un improbabile mare solcato da navi, dei sacchi in primo piano (forse di grano) ed, a sinistra di chi guarda, una chiesa; i miei appunti precisano che trattasi di un trittico in cui è raffigurata: la nascita del santo, le sue prediche e l’episodio noto come il padre che, avendo tre figlie da maritare e non disponendo dei soldi per la dote, aveva deciso di farle prostituire, ma San Nicola fece ‘pervenire’ allo ‘sventurato’ una borsa contenente monete d’oro. Il lavoro, datato 1437, fu realizzato per la cappella di San Niccolò, situata nella chiesa di San Domenico in Perugia, ma come poi sia finito nella Pinacoteca Vaticana non sono in grado di precisarlo.

Sabato mi sono concesso la libertà di andare allo stadio - per coloro che non lo sapessero Il Bari ha perso male con il Campobasso - e per calmarmi ho pensato alla manifestazione di venerdì scorso in San Nicola dedicata al patrono universale degli artisti (per alcune correnti di ‘libero pensiero’ i calciatori sono degli artisti !) e con la consapevolezza che “il godimento è animale, l’esultanza è umana, e la beatitudine è divina” ho accettato il risultato del campo. Poi ho associato il Beato Angelico a Madre Teresa e al suo:«La vita è beatitudine, assaporala. La vita è un sogno, fanne una realtà. La vita è una sfida, affrontala. La vita è un dovere, compilo».

Mi va di scommettere, da beato incosciente, che la nostra squadra ha dimenticato di compiere il proprio dovere, per cui il cammino verso il termine ‘artisti’ sia ancora lungo…

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