Con De Laurentiis torna il lauro e “…e mbacce ‘o Gardijdde, abbasce ‘u cappijdde!”


LIVALCA - Fu Lorenzo Gentile nel suo libro di culto «Nuovo dizionario dei baresi”, scritto con la figlia Enrica, a donarci la poesia “Chèsse jè Bare” che terminava con questi due versi: «Ch’u sole calde e u prefume de mare/non nge stà na cetà mègghie de Bare». Impossibile non essere in sintonia, anche per i non baresi, con una verace affermazione a prova di verifica interplanetaria. Grazie alla famiglia De Laurentiis oggi possiamo tornare a gridare «…e mbacce ‘o Gardijdde, abbasce ‘u cappijdde!» parafrasando il magnifico titolo del libro di poesie sportive di Peppino Franco, datato 1973 (entrambi i testi sono edizioni Levante-Bari). Peppino Franco nel 1963 scrisse una poesia dal titolo «’U zumbe de le gardijdde» per festeggiare il ritorno del Bari in serie A (stagione calcistica 1962-63).

A questo punto devo ai miei lettori una veloce panoramica sulla squadra del Bari in quegli anni, che oso paragonare alle recenti traversie: anche allora furono due ‘grandi’ uomini a salvarci. Il Bari calcio era reduce dal ‘dubbio‘ caso di ‘combine’ tra Carlo Tagnin - il calciatore che scontata la squalifica contribuì a fare grande l’Inter di Helenio Herrera - e il laziale Prini: il tutto sintetizzato in una goliardica telefonata tesa ad avere clemenza da una Lazio già retrocessa. Il ‘rosso’ Tagnin rimediò una lunga squalifica ed il Bari dieci punti di penalizzazione, in seguito ridotti a sei, da scontare in B nel campionato 1961-62. Il presidente Lagioia, esasperato, si dimetteva, ma la Lega Calcio lo nominava Commissario straordinario, precisando che dovesse essere affiancato da due vicecommissari. Da quelle che sono le mie informazioni risulta che i due prescelti: il comm. Angelo Marino ed il professore Angelo De Palo furono i due ‘Angeli’ salvatori, ma vi fu un silenzioso benemerito tifoso che in religiosa adorazione sosteneva i colori biancorossi, ad essere determinante, oserei dire ‘convincente’. ‘Leggenda’ vuole che mentre per l’imprenditore fu agevole l’adesione, per il ginecologo De Palo, dedito totalmente alla sua professione ed ai suoi pazienti, fu fondamentale la mediazione di questo ‘dottore’. Preciso che non si trattava del noto accompagnatore comm. Angelo Albanese, motivo che mi ha spinto a ricorrere al termine ‘silenzioso’.

Il cavaliere del lavoro Lagioia passava la mano subito e la Lega ratificava De Palo e Marino come nuovi commissari straordinari. Fu una stagione travagliata quella 1961-62 con un cambio allenatore che vide il barese Onofrio Fusco sostituire il ‘blasonato’ Allasio. Fusco salvò il Bari, rimettendoci la ‘salute’, ma il giorno del suo commiato da questo mondo (1994) la sua Bari non lo dimenticò. L’anno successivo, 1962-63, il duo De Palo e Marino rinforzò la squadra con giocatori del livello di Panara, Buccione e Postiglione (…una promessa del calcio che proveniva da Napoli, come dal Napoli di De Laurentiis Aurelio aspettiamo, quest’anno di grazia 2022, il prestito di Gianluca Gaetano per consacrarlo campione da maglia ‘azzurra’…meglio fare un anno ancora da titolare in B che ‘sprecare’ un anno in A per essere ‘riserva’ di lusso) ed in panchina veniva chiamato Piero Magni, che vantava un buon passato iuventino come ala destra, ma abile a sapersi destreggiare in ogni zona del campo (Devo al mitico Mario Gismondi l’avermi ragguagliato su una peculiarità unica di questo calciatore: da professionista ha ricoperto tutti gli undici ruoli di una squadra di calcio… da portiere addirittura ha giocato al posto di Sentimenti IV nella Juventus… spero che la memoria di Livalca non si sia fatta influenzare dai ‘Sentimenti’… mai nutriti per la ‘vecchia signora’).

In quella stagione sportiva il Bari giungendo secondo fu promosso in serie A: era la squadra di Biagio Catalano cannoniere e che aveva i punti di forza nella collaudata ossatura composta da Carrano, Cicogna, Mupo, Mazzoni ed altri.


Terminata la ‘panoramica’ utile per inquadrare il contesto cui si riferiva Peppino Franco di cui vi ho scritto all’inizio, vi regalo otto quartine delle sedici di cui fa parte il componimento dedicato al ritorno in serie A, in cui sono citati alcuni protagonisti dell’epoca:

«Le Gardijdde che nu zùmbe…/so trasute in serie A/ che le squadre granne grannne/
mò l’ama vidè sciquà/……………………….Ma mò iè fernute,/ iè fernute allegramende,/
e penzame a ‘u anne neve/ ci ‘u petìme fa chendende,/senza pàlpete de core,/
senza dange chiù strapazze, cudde povere Cusmai/ ca ngi apprezze le mestazze!...

E petìme disce Grazzie/ a De Pale che Marine,/le dù Iàngiue chestode/
de sta squadra cerveddìne./…………………………../Se capòrne le cchiù mugghi…/
ci veleve a Catalane,/ ci veleve a Visendine,/ ci a Cicogne e cc a Carrane.

Ma stavolte le Malpiune/ honne state le Barìsse,/ ca se sonde rifiutàte/
che la facce a pizzue a rrìse!/ Mò tenime scequature/ cu cervijdde mbònde ‘o pete,/
le fascìdde all’ècchie e gàmme/pe’zembà da nande e drete./Pe’sta sembe in serie A/
honna iesse scacchiatijdde/pe’sciquà cu core…e ppo’/fazze a Dì…e alle Gardijdde!».

A distanza di 60 anni esatti, oggi, il duo Aurelio e Luigi De Laurentiis potrebbe emulare le gesta di De Palo e Marino per traghettarci dove meritiAmo di essere in pianta stabile e non ho detto che il nostro posto ‘corretto ed equo’ sarebbe tra le prime otto della massima serie. Nel 1962 il ruolo di Polito - allora direttore risultava una carica da ‘inventare’ - era di Tommaso Maestrelli che sulla carta era l’allenatore in seconda, ma nella sostanza seguiva tutto. Pensate in quella stagione Catalano fu il cannoniere del Bari con 17 reti - ad oggi le stesse di Antenucci - e gli altri abbinamenti, tra un giocatore di quella rosa e quella attuale, potrebbero essere i seguenti: Ghizzardi-Frattali, Ferrari-Polverino, Cicogna-Cheddira, Visentini-D’Errico, Bonacchi-Simeri, Sacchella-Galano, Postiglione-Paponi, Giammarinaro-Maita, Carrano-Maiello, Mazzoni-Bianco, Mupo-Di Cesare, Baccari-Terranova, Panara-Gigliotti, Buccione-Mallamo, Vanzini-Citro… chiedo scusa agli esclusi, ma i ricordi devono anche fare i conti con le ‘rose’ più ristrette del passato.

Mentre circa un’ora fa - dopo il dovuto-legittimo ricordo, ad opera del presidente Luigi De Laurentiis, nella sala stampa del San Nicola del giornalista Gianluca Guido, figlio di Antonio amico di vecchia data di chi scrive, scomparso prematuramente 22 anni fa per un terribile incidente stradale avvenuto proprio il 24 aprile, stroncando i sogni di un giovane che adorava il mestiere nella stessa misura in cui amava il padre … e che ci porta a considerare che la vita di tutti è segnata da tre eventi: nascere, vivere e morire e che spesso nell’ansia di realizzare tutto… ci dimentichiamo di vivere - la festa continuava in un San Nicola che, forte di 26.000 spettatori, solo a vederlo dava torto a Hume e al suo «La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le contempla», non potevo fare a meno di osservare che queste ‘semplici’ esperienze ti restituiscono alla vita attiva e mentre avanzava la sera le tante bandiere biancorosse si confondevano con le stelle tanto da far apparire il corpo celeste dotato di luce propria… insomma gli occhi dei tifosi vedevano il punto luminoso colorato in ‘bianco-rosso’.

Pensate ero così preso dalla magia del momento che sono passato dalla depressione di questa mattina, scaturita da quella mancanza di senso civico che ci fa considerare la libertà non un bene da difendere con pensieri, parole ed opere, ma un pretesto per ‘offendere’, a virare con determinazione, grazie al consueto volo pindarico, verso quel siciliano di Modica, premio Nobel per la letteratura nel 1959, che ci aveva ammonito: «Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera». Ringraziando Salvatore Quasimodo e scusandomi per la manipolazione ho gridato: ‘Nessuno sta solo nello stadio San Nicola, trafitto da un raggio biancorosso: ed è subito Bari’. Onestamente ho fatto anche impallidire l’altro Nobel Eugenio Montale, quello del «Spesso il male di vivere ho incontrato:/era il rivo strozzato che gorgoglia/ era l’incartocciarsi della foglia riarsa/ era il cavallo stramazzato», ma il buon Pinuccio che mi sedeva accanto, sempre lucido, controllato e quasi impassibile, mi ha ripreso con “Gianni torna in te”, sotto lo sguardo benevolo ed appagato del generale Antonio Cavallo, per cui vi risparmio, almeno in questo frangente, l’impasto-contraffazione… partorito.

I particolari della sconfitta, spiacevole come può essere un risultato secco ma tollerabile subita dal Palermo, vi saranno forniti dai professionisti della testata incaricati di seguire la nostra squadra, io mi limiterò a riferirvi di quei cinque bambini che erano nelle mie vicinanze e che sono stati in braccio ai padri per tutti gli ultimi quindici minuti della gara: uno spettacolo unico, uno spettacolo di pura ‘baresità’…quella che ognuno di noi eredita dalla nascita (… si proprio quella che faceva precisare a Vito Maurogiovanni nella prefazione al volume di Vittorio Polito “Baresità e… maresità”, Levante Bari, 2008, quanto segue: «Quel che mi preme dire è che i protagonisti di questa ‘baresità’ sono docenti universitari e pasticcieri, impiegati di aziende pubbliche e private, insegnanti e pensionati, librai, qualche agricoltore, qualche giornalista, casalinghe, sarte, commercianti e Dio mi perdoni se ho lasciato nella penna altre categorie»).

Pensate ho voluto far nascere nel 2015 mio nipote a Bari, anche se mia figlia viveva già a Roma, e nei due giorni che ha trascorso presso di noi per la Pasqua la scorsa settimana, Mariolino mi ha chiesto un uovo con i colori… giallo-rossi.


Maurogiovanni quando gli feci notare che nel suo elenco di professioni non avesse citato i tifosi, riuscì a cavarsela con una battuta:tutti siamo tifosi del Bari, anche i non praticanti. Appena ci sarà un Bari-Roma e Roma-Bari metterò alla prova la ‘baresità’ di mio nipote, mentre i nipoti di mio fratello già parlano milanese, per giunta di sponda interista. Non ci resta che puntare sulla pasta per riportarli nella ‘stalla’ bianco-rossa perché è risaputo che “le maccarune jègnene la vènde e u rise se ne va cammìse cammisè”, per cui se sarà “Gran oro”, lo sarà Dedicato con amore di B per ora, ma con mira verso la A, come recita la nostra targa: BA.

Presidenti Aurelio e Luigi De Laurentiis voi che avete il cognome comunque legato alla vetusta Laurento, antichissima città laziale situata tra Lavinio ed Ostia, oggi Torre di Paterno, patronimico che in sostanza significa luogo dove cresce e si sviluppa il lauro, l’alloro, che altro non è che il laurus simbolo di vittoria e trionfo… bene sono convinto che, dopo Napoli, avete trovato il posto adatto per vincere quello ‘scudetto’ che si può appuntare oggi idealmente, ma in un futuro prossimo, anche fisicamente, sul vostro petto o nel vostro (nostro) medagliere.

Al sindaco Antonio Decaro spetta di diritto la citazione: VOLLI, FORTISSIMAMENTE VOLLI i DE LAURENTIIS PRESIDENTI, che è una constatazione di quelle che faceva affermare a Oscar Wilde: «Quando si dice la verità si è sicuri, prima o poi, di essere scoperti».

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