Bullismo, cyberbullismo, autolesionismo: la scuola in soccorso dei giovani. Seminario ad Andrano


FRANCESCO GRECO - ANDRANO (LE). E’ vero, la modernità porta nuove opportunità, ma anche patologie, ignote, o non legittimate, sino a non molti anni fa. Bullismo, cyberbullismo, autolesionismo, disturbi alimentari: sono solo alcune delle facce del disagio giovanile dei millennials.

Che non sono lasciati soli: la scuola le affronta, con le sue eccellenze professionali, in termini dialettici quanto articolati, per tentare di porre un argine. Ad Andrano, nel Leccese, per esempio, dove a distanza di un mese se e torna a parlare. Il 31 marzo, presso la sede centrale dell’Istituto Comprensivo (oltre ad Andrano, comprende Castiglione d’Otranto, Diso, Marittima e Spongano), in via del Mare, 15, Aula Magna, ore 16.30, si svolgerà, aperto a tutti, genitori in primis, un seminario dal titolo: “Adolescenti, un mondo da scoprire e difendere”.

Sarà possibile seguirlo anche on line sul canale della scuola I.C. Andrano You Tube, dove resterà disponibile la registrazione. Abbiamo chiesto ai relatori di spiegare per sommi capi la sostanza dei loro interventi in itinere.

Chiediamo al dirigente scolastico, ing. Ivano De Luca, se, e come arriva il disagio psicologico a scuola…

RISPOSTA: “La scuola è spesso il teatro delle manifestazioni “spontanee” degli studenti dalle quali cerchiamo di capire se stiano vivendo un periodo semplice o complicato, sempre commisurato all’età. In genere il primo problema da fronteggiare é la presenza dei genitori, che non vivendo la quotidianità in classe, non riescono ad allinearsi e comprendere le problematiche e si oppongono con forza tendendo a minimizzare i problemi. Un esempio è quando segnaliamo alle famiglie casi di bullismo, la prima risposta che ci danno è: “Che esagerazione! Mio figlio stava scherzando”. Spesso si creano scenari di comportamenti “tra adolescenti” e/o “tra bambini” che se 30 anni fa non facevano minimamente notizia, oggi hanno la forza di un titolo di giornale. Le relazioni disfunzionali tra ragazzi non solo fanno perdere loro autostima, ma li pongono anche in situazioni scomode dalle quali non riescono sempre a uscire in tempi celeri, con rischi di isolamento. I primi segnali di disturbi psicologici in genere si trovano nello scarso rendimento legato alle difficoltà di apprendimento, o a eccessiva irrequietezza e facile irritabilità: se spesso sono segnali tipici della “crescita”, messi in opportuni contesti rappresentano dei segnali d’allarme che ci sentiamo, come scuola, di segnalare ai genitori”.

È aumentato – domandiamo invece alla psicologa Marta Vernai - il disagio tra i giovani? Se si, quali le cause?

“Negli ultimi anni, si parla di un aumento del disagio giovanile, attribuito di gran lunga allo stravolgimento della ruotine quotidiana causato dalla pandemia, ma in realtà attribuibile a motivazioni varie e differenti. È evidente, da molte ricerche scientifiche e da un confronto con colleghi, dall’esperienza nelle strutture sanitarie, che durante l’epidemia i pazienti in terapia con meno di 18 anni sono aumentati del 31 per cento, come anche che, tra i giovani sino a 18 anni, uno su due vive un disagio psicologico di qualche tipo, come ansia e depressione generalizzata, un aumento del fenomeno dell’autolesionismo, disturbi dell’alimentazione, aggressività. Nel periodo della pandemia sono mancate molte delle risorse sociali che di solito aiutano a intercettare questo disagio. Per esempio, la mancanza del gruppo e della comunità ha ridotto le possibilità di intercettare alcuni segnali di difficoltà, se pensiamo al fatto che molto spesso la prima osservazione di un disturbo può giungere proprio dagli insegnanti. Anche l’uso massiccio degli strumenti tecnologici come singola e unica modalità di apprendimento e di scambio sociale ha accentuato la solitudine e chiusura dei giovani anche in ambito familiare. A differenza degli adulti, per i ragazzi il rapporto con i pari è un bisogno fondamentale che serve come strumento di strutturante la loro personalità. In realtà, ciò che la pandemia ha creato è una maggiore consapevolezza di avere un disturbo, dando vita all’emersione delle problematiche già presenti. È come se fosse stata data la colpa al coronavirus di molti disturbi che erano già presenti. Per anni, infatti, c’è stato il grande problema della fatica e della resistenza di molte persone nel chiedere un sostegno, oltre alla fantasia genitoriale che l’aiuto psicologico sia una debolezza, aspetti molto attenuati nel periodo che stiamo vivendo. L’adolescenza è il periodo evolutivo più delicato e in linea generale la mancanza di valori, di punti di riferimento, di trasparenza sociale, frustrazioni, delusioni e illusioni, legami familiari più deboli sono alcuni degli aspetti che rendono il giovane disorientato”.

Quali sono – il quesito è per la psicologa e psicoterapeuta Anna Colavita - i segnali che indicano il malessere psicologico in età evolutiva, e come prendersene cura?

“In primis, è bene sfatare un luogo comune: i bambini e i ragazzi sono immuni dalla sofferenza psicologica. Purtroppo è proprio nella fase di crescita (età 0 –18 anni) che si riscontra una maggiore vulnerabilità, i bambini e i ragazzi sono più indifesi e soggetti a spaventarsi degli adulti in quanto non hanno ancora sviluppato quelle capacità cognitive, emotive e fisiche di cui gli adulti dispongono per fronteggiare gli eventi e le sfide quotidiane. Le esperienze avverse (malattie proprie e dei genitori, lutti, separazioni) creano già in epoca preverbale le basi emotive e somatiche di quelle che diventeranno i sintomi che poi noi andiamo a intercettare attraverso i segnali. Segnali osservabili sia nelle risposte emotive: ansia, sfiducia, rabbia, paura, che comportamentali controllanti, oppositivi, rigidi e resistenti ai cambiamenti, che creano difficoltà nella traiettoria della sviluppo. Come prendersi cura della sofferenza psicologica dei più giovani? Intanto si può intervenire a più livelli e con diversi strumenti. Sulla comunità e sul singolo individuo si può intervenire con la psicoeducazione. Sono una grande sostenitrice della psicoeducazione in quanto psicoeducazione equivale a prevenzione, ma soprattutto psicoeducazione equivale a conoscenza, consapevolezza e potere di autocontrollo sul proprio malessere psicologico. Quando lavoro in studio, il primo obiettivo che mi pongo e quello di mettere la persona al controllo del proprio disturbo. Così una persona affetta da bipolarismo diventa il primo consigliere del medico che prescrive i farmaci, e questo può essere fatto con clienti di tutte le età, i bambini sono in grado di comprendere tutto se gli viene spiegato con il linguaggio adeguato. La psicoeducazione non è solo trasmissione di informazioni, ma può essere accompagnata anche dall’insegnamento di strumenti utili per la gestione delle mozioni, a esempio e molto altro. Quando la psicoeducazione, la consulenza psicologica non bastano a risolvere il disagio, l’opzione consigliata è un buon percorso di psicoterapia la cui strutturazione dipenderà dalla concettualizzazione del problema (diagnosi), dall’obiettivo da raggiungere. La diagnosi e l’obiettivo sono la cornice all’interno della quale disegneremo la rete di figure professionali o enti da coinvolgere (associazioni che si occupano di tematiche specifiche del bullismo, della ludopatia ecc.) e gli strumenti da utilizzare”.

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