Restanza? No, grazie!

Comune di Craco, Basilicata
FRANCESCO GRECO - Che cos’è mai, signora mia, la fuga dei cervelli, nuova piaga d’Egitto del Sud? Chi e cosa la provoca? Qual’è l’entità del fenomeno? Peraltro nemmeno legittimato dalla sociologia e men che mai dalla politica, per ovvie ragioni?

L’Italia è ormai abbandonata, un Paese senza futuro, dall’elettroencefalogramma piatto, dove tutto è morto: politica, cultura, comunicazione, tv, burocrazia: tutto.

E poteva essere diversamente in un Paese dove governa il darwinismo sociale, l’individualismo becero, zero meritocrazia, niente senso delle Stato né delle istituzioni, di appartenenza, di bene comune, di collettività?

Il Sud vive il fenomeno in maniera più intensa e devastante, col tessuto sociale atomizzato. In pochi anni la Puglia ha perso 700mila abitanti, paesini con 5mila abitanti ne hanno “perduti” 500 (ma influisce anche il calo demografico). Dice l’economista Gianfranco Viesti: “Sono tre secoli che non accadeva niente di simile”. Una rsa diffusa, a cielo aperto. Terre e case in vendita.

Non è solo questione di migliori opportunità, di dignità, di suddetto darwinismo, di fatalismo, di rassegnazione, di ascensore sociale rotto, di stipendi da fame, dove si arriva a 60 anni e si muore precari, di welfare devastato, della povertà di cui parla la sinistra, dopo averla provocata e ampliata, del fastidioso, stordente chiacchiericcio tv spacciato per dibattito culturale, di miliardi che arrivano (Pnrr), un vorticare di soldi che non lasciano tracce sui territori perché i politici ci finanziano il consenso per farsi rieleggere, coop fasulle e associazioni dedite all’aria fritta.

E’ un rifiuto profondo, complesso, rabbioso, quasi antropologico, delle radici, che poi si riscoprono lontano attraverso il cibo, i paesaggi, la sovrastruttura culturale. Ormai si torna al paesello per le vacanze e per appendere il cartello “vendesi” alla casa dei genitori e al loro pezzo di terra. Peraltro il mercato è fermo. Càpita a tanti del Sud di essere costretti dalle immortali liste d’attesa, ormai cultura, provocate ad arte per ingrassare i privati, di andare a curarsi al Nord e di trovare il primario del suo stesso paese, con cui magari nell’infanzia giocava a pallone sulla piazzetta.

Chi commette il tragico errore di tornare sedotto dalle sirene dei politici demagoghi e della comunicazione tossica che fa pendant, se ne pente amaramente.

Ci sono blog dove chi vive fuori, in tutti i continenti, perfino i Paesi che sino a ieri definivamo Terzo Mondo, confida la sua nuova vita. “Al paese dovevo sudare per 500 € al mese, non potevo sposarmi, qui in Svizzera mi danno 7mila franchi, ho comprato casa e messo su famiglia”, dice Anna, biologa. “Avrei voluto restare e contribuire al progresso del mio paese, avevo delle idee innovative, ma mi hanno combattuto come cani feroci, ero fuori dai loro giri politici...”, osserva Vincenzo che, sempre in Svizzera, ha messo su una start-up di cui cura il lato risorse umane.

“Sono qui da 5 anni, giro in bicicletta e nessuno me l’ha ancora rubata...”, sorride un ragazzo sui 35 seduto al bar, che vive e lavora a San Pietroburgo (settore immobiliare). E un altro che ha sposato una ragazza russa, appena diventato padre, pubblica una scansione: “Dopo una settimana dalla nascita, lo Stato mi ha mandato l’assegno che tocca a chi ha un bambino, l’equivalente di 5mila euro in rubli con cui comprerò un terzo della casa...”.

Diamo, infine, alcune immagini plastiche sulle probabili cause del drammatico spopolamento in itinere. Una vecchia vicina di casa aveva bisogno di un certificato. Chiediamo lumi su due email sul sito Asl: nessuna risposta. Telefoniamo ai numeri: telefoni staccati. Non resta che andare de visu.Ci affacciamo al CUN e una signora esulta perché la visita oculistica è per il 12 dicembre. Ma si spegne subito appena l’addetto specifica: 2025.

Impiegata: “Sicuro che è qui? E che te lo possiamo fare?”. Cerca di scoraggiarci. Altri in attesa dietro di noi se ne tornano a casa. Insistiamo. Sparisce. Controlla. Torna dopo mezzora. Per la richiesta serve la delega. La portiamo il giorno dopo. Non va: è scritta su un foglio a righi. Ci danno il modulo buono, torniamo il giorno successivo. La accettano. Si segnano il cellulare. Dopo una settimana silenzio. Torniamo. Manca la firma del primario. Richiamano il giorno dopo.

Versamento e via col certificato della nonna. Non per dire la Russia, una delle intuizioni di Putin: la burocrazia che condiziona la vita e il progresso. Centralizzò gli uffici: in uno fanno tutti quelli di cui hai bisogno. Altro episodio: anni fa chi scrive doveva intervistare un docente universitario, salimmo al II piano, c’era un corridoio su cui si affacciavano 6 stanze (uso nomi di fantasia): “Qua c’è il prof. Luigi, accanto la prof. Concetta, la moglie, nell’altra in fondo la prof. Sandra, la figlia, sull’altro lato: qui insegna il prof. Enzo, il genero, qui la prof. Laura, l’altra figlia e infine la prof. Ivana, la cognata...”.

Tutti geni? O vincitori di quei concorsi ad personam i cui bandi restano appesi 10 minuti all’albo e poi subito defissi?

Restanza? No, grazie! Ho il volo alle 15. Noi ce ne andiamo. Ma evitate, per favore, l’esercizio ipocrita quando uno vince la maratona di New York, la medaglia alle Olimpiadi o il premio Viareggio di vantare origini comuni. E’ troppo!

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