Neonato morto nella culla termica a Bari: era vivo al momento dell’abbandono, tracce di urina confermano la presenza del piccolo ‘Angelo’


BARI – Il neonato trovato senza vita lo scorso 2 gennaio nella culla termica della chiesa di San Giovanni Battista, a Bari, era vivo al momento in cui è stato lasciato lì. A confermarlo è la consulenza del genetista dell’Università di Pavia, Carlo Previderè, incaricato dalla Procura del capoluogo pugliese: il materiale biologico rilevato sul materassino della culla è urina e appartiene proprio al piccolo, ribattezzato ‘Angelo’ dal sindaco Vito Leccese.

La presenza di urina certifica che il bambino era ancora in vita al momento dell’abbandono. A determinarne la morte è stata l’ipotermia, sopraggiunta tra le 4 e le 10 ore dopo il suo inserimento nella culla termica.

Con questo nuovo elemento, la Procura di Bari si avvia verso la chiusura delle indagini, condotte con l’ipotesi di omicidio colposo nei confronti del parroco, don Antonio Ruccia, e del tecnico Vincenzo Nanocchio, che aveva installato la culla nel 2014 e, in seguito a problemi di funzionamento, sostituito l’alimentatore il 14 dicembre 2024, poche settimane prima della tragedia.

Secondo le consulenze tecniche acquisite dalla Procura, il materassino della culla non era idoneo a svolgere la funzione di attivare il sistema di allarme. I sensori, infatti, avrebbero dovuto rilevare il peso del neonato e far partire una chiamata automatica al cellulare del parroco, ma il sistema non ha mai funzionato correttamente. Oltre al difetto nel sensore, è stato rilevato anche un malfunzionamento del climatizzatore, che invece di riscaldare la stanza ha rilasciato aria fredda a causa di una perdita di gas, peggiorando le condizioni ambientali e contribuendo alla morte del piccolo.

Parallelamente, resta ancora aperto il fascicolo per abbandono di minore a carico di ignoti, ma alla luce delle nuove evidenze – in particolare l’accertamento che il neonato era vivo e che l’ambiente in cui è stato lasciato non era sicuro – questa ipotesi di reato potrebbe presto essere stralciata.

Il caso ha profondamente scosso la comunità barese e riacceso l’attenzione sulla necessità di verificare l’effettiva sicurezza e funzionalità dei dispositivi salvavita installati nei luoghi pubblici, specialmente quando si tratta di strutture pensate per proteggere neonati in situazioni disperate.