"Maschi e femmine li creò": amore, sessualità e identità tra Mito, Bibbia e Psicoanalisi


Il “sogno di un’ombra”

Esseri della durata d’un giorno.
Che cosa siamo? Che cosa non siamo?
Sogno d’un’ombra l’uomo…

Pindaro, Pitica VIII


SANTA FIZZAROTTI SELVAGGI - Facile non è. Trattasi di un argomento che per alcuni rimane poco comprensibile, per altri trattasi di cosa del tutto naturale.
Per cominciare, ho letto per caso il Vangelo di Matteo 19:3, dove si racconta che Gesù viene interrogato dai farisei – con l'intenzione di metterlo alla prova – sulla questione se un uomo possa consegnare l'atto di ripudio (il divorzio) alla propria moglie. In tale contesto egli risponde citando Genesi 1:27 e 2:24: «Non avete letto che il Creatore fin dal principio li ha fatti maschi e femmine, e che disse: per questo motivo l'uomo deve lasciare suo padre e sua madre ed essere unito alla propria moglie e così i due diventeranno una sola carne? In modo che non sono più due, ma un'unica carne. Quindi ciò che Dio ha riunito nessun uomo lo separi!» (Matteo 19:4-6).

In vari passaggi delle Sacre Scritture (la Bibbia) ci si occupa di desideri sessuali tra persone dello stesso sesso. La Torah è estremamente severa a riguardo, soprattutto per il rapporto anale tra uomini.

In Paolo Merlo (Anthropotes, Rivista di studi sulla persona e la famiglia, 05 XXI 1) si legge: “…il termine 'adam, 'Uomo' e la locuzione zakar un'qebah 'maschio e femmina' sono da intendersi come esprimenti la medesima realtà: la locuzione 'maschio e femmina' pertanto, nel suo insieme, è da ritenersi come semplice specificazione di 'Uomo'. Il primigenio atto creativo divino è stato quindi indivisibilmente la creazione di un Uomo specificato come 'uomo e donna', 'maschio e femmina'; certamente non si tratta qui di un ermafrodita, ma di Uomo che nella sua natura è concretamente caratterizzato come maschio e femmina. Secondo il racconto sacerdotale della creazione, non può esserci una natura e una storia dell'Uomo che non sia determinata dall'esistenza dell'uomo e della donna”.

In tre momenti delle Lettere di Paolo si evince che tale comportamento debba considerarsi malvagio. Gli atti omosessuali maschili nella Bibbia sono assimilabili allo stupro, alla prostituzione, all’adulterio e così via.

Nel Simposio, Platone invita Aristofane a celebrare l’amore tramite il mito dell’androgino secondo il quale gli esseri umani avevano una forma sferica e i generi erano tre: maschile, femminile e androgino. Quando gli esseri umani sfidarono gli dèi, li punirono separandoli, per cui le parti cercano sempre l’altro/a nel tentativo di ricomporre l’unità perduta. Ma li tagliarono in due parti per renderli più deboli e umiliarli. Da allora, le metà tagliate degli esseri umani sono costrette a vagare inquiete e a cercare disperatamente le altre proprie metà originali, unendovisi sessualmente per ricreare quel legame perduto.

In Archiloco, l’atto eterosessuale è definito “cosa divina” perché atto procreativo, rispetto al quale gli “altri piaceri” erano appunto “altra cosa”.

Nella Grecia antica, l’atto omosessuale era riconducibile alla pederastia, all’educazione sessuale dei fanciulli e delle fanciulle. Si ricordi a tal proposito Aristotele, maestro di Alessandro Magno, e la meravigliosa Saffo e il suo Tiaso. Relazioni sentimentali non mercenarie? Un uso e abuso del bambino e dell’adolescente come d’altra parte sempre accaduto nella storia? Il diritto antico ateniese stabiliva un’età minima di 12 anni per fare di un ragazzo un amante. Il che permaneva fino ai 17 anni, poi il giovane poteva assumere il ruolo attivo. L’omosessualità femminile non era accettata perché le donne erano destinate alla riproduzione. Per gli uomini, l’esperienza omosessuale doveva essere vissuta al momento giusto, ma certo non era desiderio di tutti gli adolescenti. Accettavano per dovere e non per piacere.

Non è dunque una scoperta la fluidità di genere e sessuale, ma semplicemente riconoscere che prima di noi Platone aveva immaginato il genere e il sesso in un’ottica non-binaria.

È dunque l’Amore una costruzione dell’Occidente? L’evoluzione della coscienza? Di quale amore trattasi? Nel vocabolario greco, l’“Amore”, così come fra gli altri ha scritto Daniel Williams, è indicato almeno da quattro parole che lo identificano e lo differenziano: eros, epithemia, philía e agape. Insieme rappresentano l’energia che garantisce la nascita della vita e il superamento della morte.

Eros, in modo particolare, è possibilità generativa: è emozione e desiderio, inquietudine e mistero. Non è casuale, infatti, che “il più potente di tutti gli affetti per i Greci avesse il nome di Eros”, figlio di Pénia, la Povertà, e di Poros, l’Espediente. Platone, infatti, afferma nel Simposio che Eros (l'Amore) è figlio di Poros e di Pénia, concepito durante il banchetto di Afrodite.

Le parole svelano l’intima essenza delle cose: Eros, figlio dell’Espediente e della Povertà, significa che quando dentro si sente prepotentemente l'assenza per qualcosa o per qualcuno (appunto la Povertà), si trova il modo (l’Espediente) per rinvenire l'Oggetto d'Amore. Figlio della Povertà, per cui l’amore non basta mai. Senza amore non si può vivere. Si sopravvive. Ma quando c’è, trattasi di un miracolo, che sia eterosessuale o omosessuale o altro.

L’amore nasce dall’assenza, dall’abissale nostalgia, dalla lacerazione primaria. Nasce così il desiderio inesauribile, non analizzabile e sempre sconosciuto. Eros nella fiaba di Apuleio incontra, non a caso, Psiche solo di notte, al buio. Non può essere svelato. Psiche dovette affrontare poi tante prove per aver voluto vedere il volto dell’amato. Amare certo peccato non è.

Ci si chiede spesso se Achille e Patroclo fossero cugini o amanti. R. Michele Porcaro afferma: “Quello tra Achille e Patroclo è un rapporto che, da secoli, continua ad affascinare. La loro è una storia di due eroi uniti da un sentimento d’affetto che sembra andare oltre la semplice amicizia.” Esiodo racconta che il padre di Patroclo, Menezio, era il fratello di Peleo, e dunque cugino di sangue di Achille. Nell’Iliade, la profondità e intensità del rapporto tra i due affiora dopo la morte di Patroclo. In M. Porcaro leggiamo: “La natura della loro relazione nel poema si basa invece su un ideale epico di ‘intenso cameratismo maschile’ (omissis). Sebbene la ragione della relazione unica tra Achille e Patroclo non sia stata esplicitata da Omero, la sua passione e intensità emotiva ha portato gli autori successivi a sospettare che ci fosse un elemento omoerotico in esso.”

In un’opera di Eschilo, Mirmidoni, in un frammento (135) è scritto:
σέβας δὲ μηρῶν ἁγνὸν οὐ κατῃδέσω / ὦ δυσχάριστε τῶν πυκνῶν φιλημάτων.
“Non onorasti la santa venerazione delle cosce, / o ingratissimo dei frequenti baci”.

Platone ritiene che Patroclo sia stato l’amante di Achille (erastes), un amore pederastico.

Il Cantico dei Cantici, invece, ci insegna il percorso affinché tutto possa essere sublimato al fine di giungere a una universalità cosmica. La successiva cristianità ha sempre sostenuto l’importanza della fedeltà coniugale e dell’astinenza sessuale: una sorta di controllo delle nascite, della donna e anche del godimento quale espressione di libertà. I pregiudizi sono tanti e le interpretazioni sono davvero numerose.

In una lettera ritrovata di Freud dell’aprile 1935, in risposta a una madre e pubblicata da L’Huffington Post il 19 febbraio 2015 e esposta in mostra a Londra all’interno della Wellcome Collection, si legge in merito all’omosessualità:

“L’omosessualità non è di certo un vantaggio, ma non c’è nulla di cui vergognarsi, non è un vizio, non è degradante, non può essere classificata come una malattia, riteniamo che sia una variazione della funzione sessuale, prodotta da un arresto dello sviluppo sessuale. Molti individui altamente rispettabili di tempi antichi e moderni sono stati omosessuali, molti dei quali sono stati grandi uomini.”

Ne Il Manifesto del 10 aprile 2021, Sarantis Thanopulos, past Presidente della Società Psicoanalitica Italiana, psichiatra e psicoanalista, membro ordinario AFT della SPI e full member dell’International Psychoanalytical Association, afferma – e condivido – che:

“Gli omosessuali non sono organismi geneticamente determinati: la scelta della vita da vivere, in questo o in quell’altro suo aspetto, non si fa ‘a tavolino’, non è il risultato di un’attenta valutazione dei pro e dei contro. Coincide con il divenire del nostro modo di essere nel mondo, il cui nucleo non è nei geni, ma nell’impronta creativa, trasformativa che, muniti di un patrimonio genetico, lasciamo sul nostro ambiente umano e non umano e che esso a sua volta lascia su di noi. Il sesso è determinato geneticamente, ma se il soggetto non ha potuto sceglierlo, preferisce ribellarsi ad esso per sentirsi vivo, pagando un prezzo alto in termini di sofferenza, piuttosto che appartenere alla propria identità genetica come automa. Le gabbie biologiche ci comprimono psichicamente, qualsiasi sia la nostra inclinazione sessuale.”

E ancora:

“Appellarsi alla determinazione genetica dell’omosessualità, che esclude la libertà di scegliere la propria vita erotica, non protegge dal pregiudizio, spiana la strada a un suo ritorno prepotente su strade storicamente consolidate. La pretesa di sottomettere ogni aspetto dell’esperienza umana a logiche genetiche non ha nessun fondamento scientifico, ma può avvalersi di strumenti ideologici scientificamente derivati.”

In Il Medico e la condizione del Transessuale, AB Plus Milano 2000, scrivo con A. Giannakoulas e F. P. Selvaggi:

“Nei Tre saggi sulla teoria della sessualità, e con la teoria della Libido, Freud, attribuendo al bambino una sua sessualità, ha sfidato i diversi tabù e le influenze storiche e culturali che interferivano massivamente su ogni approfondimento necessario, ma con molto garbo ha chiarito di volere ‘…inseguire il giuoco delle influenze che dominano il processo evolutivo della sessualità infantile fino al suo esito nella perversione, nella nevrosi o nella vita sessuale normale’ (1905). Questo suo contributo, al di là delle periodiche resistenze, rimane fondamentale per la psicopatologia della sessualità, come per perversioni, devianze, transessualismo, bisessualità, feticismo, violenza, sadismo, masochismo, esibizionismo, voyerismo, prostituzione ecc…”

Freud afferma esplicitamente che una fantasia deviante è inequivocabilmente collegata a semplici residui del grande processo evolutivo della sessualità infantile e, in particolare, a quello che lui ha chiamato “complesso edipico” e a varie forme di difesa contro di esso. In questo lavoro suggerisce, tra l’altro, che si potrebbe scoprire che la relazione con il complesso edipico ha una validità generale per tutta la sessualità infantile e le deviazioni sessuali. Il desiderio, che egli riferì alla sessualità infantile, non è altro che il precursore e il paradigma della sessualità adulta.

Già dalla fine dell’Ottocento, Freud incominciò ad applicare una visione clinica alle passioni umane, esplorando la loro natura e le loro dinamiche, rivelando caratteristiche del funzionamento mentale sconosciute per l’epistemologia di quel tempo. È quasi da tutti riconosciuto che il processo culturale e conoscitivo al quale Freud ha dato inizio è fondamentale. La psicoanalisi ha, senza dubbio, instaurato l’autoaccettazione e gradi diversi di partecipazione ed efficacia sociale di molti che diversamente si sarebbero ritirati nella disperazione.

Dopo Freud, l’individuo ha potuto crescere all’interno di un’ottica di liberazione da uno spettro di timori non necessari, da finzioni, dogmatismi e resistenze inconsce ormai assurde. Nel Novecento, una delle più grandi innovazioni, che a sua volta ha determinato molte altre rivoluzioni culturali, è stata la teoria freudiana.

Ma le convenzioni e le varie dimensioni sociali sono sempre molto complesse e multiple per poter essere facilmente abbandonate. Come è noto, il neonato è l’unico organismo vivente che emerge dal grembo materno fisicamente ed emotivamente immaturo. Come risultato del lungo periodo di tempo di impotenza e dipendenza del bambino dall’ambiente e dalle sue cure, la dipendenza è profonda, i cambiamenti sono lenti e i processi maturativi verso la separazione e individualizzazione sono prolungati.

Sono particolarmente le cure materne a rendere possibile al Sé del bambino di costruirsi, dato che il bambino assorbe dentro di sé la tecnica di accudimento e nutrizione della madre attraverso diverse modalità. Il sesso del neonato può evocare, come si sa, fantasie inconsce diverse che influenzano poi l’atteggiamento materno e certi aspetti delle attitudini parentali. Il ruolo che i genitori assegneranno al suo corpo e al suo genere può eventualmente organizzare la struttura delle tendenze istintuali e le espressioni del desiderio nell’individuo che cresce. Si avvia così il processo interessante dell’assorbimento da parte del bambino di quegli elementi rappresentati dall’accudire della madre: elementi che potrebbero essere indicati come elementi di sostegno dell’Io.

Il discorso è assai complesso; vi sono tanti scritti autorevoli a tal proposito. E sempre mi fa venire in mente l’episodio del nibbio di Leonardo da Vinci, un ricordo di infanzia analizzato da Sigmund Freud (1910) in Psicoanalisi dell’arte e della letteratura, G.T.E. Newton Compton, Roma, 1993. Freud fornisce due interpretazioni: l’una riferita all’atto sessuale orale, ricordo fantasmatico dell’allattamento, e l’altra all’immagine dell’uccello-avvoltoio. Leonardo, figlio illegittimo del notaio Pietro da Vinci e di Caterina, quindi “figlio di sola madre”, “figlio di avvoltoio”, così come si legge in un’annotazione sul Codice Atlantico, afferma:

“…questo scriver si distintamente del nibbio par che sia mio destino perché nella prima ricordazione della mia infanzia e mi parea che, essendo io in culla, un nibbio venisse a me e mi aprissi la bocca con la sua cosa e molte volte mi percotessi con tal coda dentro le labbra.”

Per Freud, il nibbio-avvoltoio è la madre, mentre la coda è il pene che il fanciullo attribuì alla madre. Si racconta che Leonardo fosse omosessuale e amasse i giovani come la madre aveva amato lui. Quando incontrò la Monna Lisa Ghirlandini, moglie di Francesco Bartolomeo Giocondo, probabilmente ritrovò le sembianze di sua madre: il suo oggetto d’amore. Leonardo teneva la tela della Monna Lisa sempre con sé.

E ancora, non posso non pensare all’altra straordinaria opera di Leonardo dal titolo Sant'Anna, la Madonna, il Bambino con l'agnello (1510-1513, Louvre), in cui la rappresentazione delle due donne che si tengono a vicenda in un “corpo a corpo” e a loro volta tengono il Bambino. Freud analizzò anche questo dipinto, trovando nell’abito della Vergine l'immagine di un avvoltoio (nibbio) quando viene osservato di fianco. Secondo Freud, si tratterebbe della dichiarazione dell’omosessualità di Leonardo, che forse si identificò nel Bambino perché era il cosiddetto figlio illegittimo allevato dalla madre naturale e poi adottato dalla moglie di suo padre.

Uguale discorso, per motivi differenti, può essere fatto per Michelangelo, omosessuale, la cui irascibilità e “terribilità”, come ha osservato Richard Sterba, erano caratteristiche molto conosciute ai suoi contemporanei:

“Michelangelo con passione rendeva calda e viva la pietra, ricreando e rincontrando, come spesso alludeva, il suo incontaminato oggetto d’amore: la madre che lo aveva affidato in tenera età alla moglie del cavatore.”

In principio, dunque, e non solo per Leonardo e Michelangelo, sempre aleggia la figura materna. Come innanzi riportato:

“Sono particolarmente le cure materne a rendere possibile al Sé del bambino di costruirsi, dato che il bambino prende dentro di sé la tecnica di accudimento e nutrizione della madre e la assorbe attraverso diverse modalità.”

Il materno affiora sempre dal magma delle riflessioni: insormontabile e innegabile è il “corpo a corpo del bambino con il corpo della madre”. Melanie Klein, d’altra parte, sostiene che le nostre relazioni oggettuali hanno le loro radici nel rapporto con la madre, con il seno della madre. Il nostro mondo interno si baserebbe sulla scissione tra “seno buono” e “seno cattivo” e sui relativi meccanismi di difesa come la proiezione e l'introiezione.

Durante un breve soggiorno estivo a Creta, ho avuto modo di constatare l’importanza del corpo femminile nella relazione di due giovani donne, a mio parere omosessuali, che mio marito Francesco riteneva fossero madre e figlia. Ho osservato a lungo questa coppia di donne e mi è venuto in mente che forse l’osservazione di Francesco conduceva su una strada più precisa circa l’omosessualità: le due donne erano inseparabili, danzavano insieme e giocavano con il loro corpo come la madre gioca con una figlia.

E allora mi è venuto in mente che forse la radice dell’omosessualità si inscrive nell’angoscia di separazione dal corpo materno, dalla madre, con tutte le ovvie ambivalenze che connota sempre il rapporto madre-figlia. Eugénie Lemoine-Luccioni insegna con il suo straordinario libro Il taglio femminile. Saggio psicanalitico sul narcisismo (Edizioni delle Donne) che, forse, tramite l’omosessualità tali ambivalenze vengono elaborate e tollerate.

Stesso discorso per l’omosessualità maschile, in cui la madre non viene tradita con un’altra donna e dunque si rimane sempre legati simbolicamente al suo corpo. Edipo, all’incrocio con Laio, inconsapevolmente uccise suo padre e sposò sua madre, non certo un’altra donna.

In questi anni, l’emergere degli aspetti omosessuali è aumentato; non so se sempre sia stato in tale misura. Sempre a Creta, ho immaginato che spesso, per lavoro o altri motivi, le donne impegnate fuori casa e costrette a consegnare i figli agli asili nido, alle baby sitter o ai social, essere e sentirsi omosessuali placa l’angoscia di separazione dal primario oggetto d’amore: la Madre. Ne scaturisce invero una forma di autoerotismo allucinatorio: l’eterno rispecchiamento narcisista, e da lontano la voce di Eco. Non si può perdere “il corpo della madre”.

Per i transgender, trattasi sempre di assoluta adesione al desiderio della madre, ma con variazioni di ben altra radice.

Lo spazio virtuale del sembiante: ed è così che la deriva narcisistica della contemporaneità, generata dalla fantasia di disincarnazione al punto da illudersi di poter diventare Dio, il mondo mediatico e della cosiddetta IA facilita il consolidamento di aspetti regressivi di noi esseri umani, con una conseguente prigionia e annichilimento della libertà.