Reportage: Bienvenidos a Tijuana

Tijuana, Bassa California, Messico. Località balneare risucchiata dalla nuova capitale del narcotraffico internazionale, un'altra città messicana, Ciudad Juarez. Degrado e criminalità, una popolazione in balia degli eventi, a meno di un’ora da San Diego e dalla legalità.

di Alessandro Cusimano. Una leggenda dei combattimenti, il Mike Tyson di inizio millennio, Big Shot non si limitava, li sbranava se li mangiava vivi. Ma ora è tutto finito Big Shot è andato, è arrivato Autotreno.

Pittbull da combattimento, Rolex d’oro, stessa cosa; scommesse, pezzi di mala messicana. Delle vere adunate, anche 5000 dollari per una giocata. Un mucchio di soldi e di coca. “Sono nati per combattere è inutile farli diventare buoni”, ”quanto basta e, in tutto questo questo bordello, ragazze in longuettes aderentissime perizomi a vista belle e brutte, spocchiose o ridanciane trasparenti e ammiccanti, la storia della trasgressione che si taglia col coltello.

Il modello della bionda dell’Europa orientale va un sacco. Bellissime, occhi celesti, bianchissime, fredde e scatenate, marziali e austere, regine di un naziporno di periferia e maledette dalle “buone madri di famiglia”; è Tijuana: un supplì al cioccolato. Maschietti in jeans, camicia, canottiera, petti depilati. Gli sforzi di un anno in palestra o alla molazza del cantiere.

Non-storie accadono a non-personaggi e i colori accesi ci mettono lo sfondo giallo limone o bluette: “Tijuana non è la pattumiera di Ciudad Juarez ”, ma sono luoghi da passarci i pomeriggi, luoghi del sapere ascoltare le voci di quella profondità, ghetto comodo per ammirare la scomodità, una lingua di terra stuprata, sabbie frasche canneti qui Tijuana è due città.

Fiume, mare, terra, senza confine. Pescatori che non pescano, il rumore dell’acqua, un’orgia di legname affastellato in forma di alloggi. Un bambino qui non può subire alcun giudizio e i bambini qui giocano alla guerra contro la solitudine, un omino secco e lungo piegato sulla sedia guarda la tv. Il fetore fermenta con l’umidità, frantuma i muri e sguscia fuori con i topi e gli scarafaggi.

In fondo allo stradone d’ingresso, tre roulottes di zingari si lasciano alle spalle distributori di siringhe impiccati sui reticolati sbrecciati. Giovani nella loro naturale crudeltà, prostitute allegre, la massa inconsapevole, sogni premonitori e drammi condivisi all’osteria, quando la gente comunica.

Il melodramma rivive con la lacrima facile, ma è una tragedia asciutta che indugia in concessioni ruffiane a ruffiani paesaggio, in primi piani forti, sulle violenze. Racconti orali nella loro parlata vivente. Un’affabulazione visionaria, bambine con il rossetto, volti di Cristo che sbucano dalle magliette, telefonini, tatuaggi, gente sudata sporca che si vive addosso, che non capisce, che aspetta che succeda qualcosa.

Poi ognuno torna alle proprie storie, dopo un intervallo onirico-balneare, nello spazio instabile che è alcova, trattoria, ufficio, vuoto, pieno, grembo materno, contro il prossimo, la sensazione di soffocamento da sovraffollamento, di vuoto svuotato.

Al coprifuoco gli spacciatori salutano i macchinoni: camicie hawaiane, sigarette stop, catename d’oro, detenuti nell’ora d’aria. La prigionia è il sigillo ad un cosmo quasi equilibrato, la segregazione forzata dà una vita più aderente agli inganni quotidiani. Queste voci ignorano e annientano.

Uomini che cambiano faccia hanno ucciso il loro compagno di bottiglia; portano un veleno che si respira, per se e per gli altri. Femmine mal lavate vanno alla ricerca d'una sgridata, arrangiando tacchi a spillo e coltelli.

L'aria viva è maleodorante. Un ragazzo dalla mimica vivace e dalla candida villaneria cammina dritto. Delle donne corte lo ammirano, perchè imita quelli che promettono di migliorarsi la vita. Due sorelle, diversamente moleste, si muovono in parallelo, con l'ironia del temperamento, motteggiando fra alleanza e confronto. Le incursioni femminili si fanno smanceria, con il vezzo di dire delle cose ed altre tacere, la vergogna a volte si nomina, sfumando poi, senza traccia, quando il silenzio asciuga il rumore di un'occasionale debolezza.

Un gatto mira agli uccellini in gabbia, provocando un tintinnio stridente di corde metalliche. Il difetto di saccheggiare disegna le sue voglie interrotte e ne comincia a raschiare la scorza, ogni crepuscolo è fatto per le creature dalla lama facile che addentano un fatterello ben cotto, ma già gustato al sangue altrove.

Trascinandosi contro luce, i mendicanti continuano a guardare la che li ha traditi, che non gli ha dato niente, che non può prendere loro niente. Chiodi dalle facce arrossate in fila indiana, muovono strane forme amputate, ramificate, sul marciapiede.

Ed il ricordo, ben dipinto sui loro volti, ha il suono di un coro di voci e le voci muoiono nelle note più bestiali della loro umanità. A migliaia continuano a combattere per una verità alla volta, per una vita come un distributore automatico.

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