LIBRI. Com’eravamo, ricordi di un ragazzo dell’altro secolo

di FRANCESCO GRECO - “Dopo che i genitori di Rosanna seppero del mio interesse per la figlia, cominciò un lungo periodo di strategie per tentare almeno di avvicinami alla mia amata. Non riuscendo a parlarle in nessun modo, almeno cercavo di guardarla da vicino (se ero fortunato)”.
 
Innocenti schermaglie d’amore nell’altro secolo, quando già vedere la bella era un’impresa, parlarle impossibile. Il “secolo breve”, anni Sessanta, alla vigilia della rivoluzione sessuale, il femminismo, quando non si immaginava che con i social sarebbero cadute tutte le barriere della comunicazione interpersonale, ma paradossalmente saremmo stati colti dall’afasia dei sentimenti.
 
Se mal vissuto, la nostalgia è un sentimento pericoloso. Di più: una trappola, una palude dove si può restare impigliati, se incapaci di metabolizzare il proprio passato. Se invece lo si guarda con distacco, allora rivivere la propria adolescenza può rappresentare un modo di far riemergere dalla memoria un lungo fiume che scorre tranquillo, scintillante sotto il sole della primavera, facendo rivivere emozioni, scoperte, dolori che hanno fatto maturare la personalità di un uomo, dandogli identità e sicurezza.
 
E’ il processo gnoseologico che impregna “Girovagando tra i ricordi”, di Franco Diso Pisani, Edizioni Esperidi, Lecce 2016, pp. 104, euro 13, prefazione di Franco Frivoli (“Erano gli anni in cui Gigliola Cinquetti non aveva ancora l’età, 1964, Lisa aveva gli occhi blu, 1969, g,li amori estivi erano legati a un granello di sabbia, 1961…”).
 
Basta questo flash per capire il momento storico in cui avviene l’iniziazione di un uomo, curiosità e passioni che poi segneranno la sua avventura umana. E’ come se lo scrittore si fosse disteso sul lettino dell’analista, in una giornata dal tepore primaverile e si fosse lasciato andare al flusso interminabile dei ricordi.
 
Ciò che conquista di questi racconti (giusto il tributo a Eupremio Fersino, un grande che se fosse vissuto oggi sarebbe una star da “Notte della Taranta”) è la stretta osmosi fra “particolare” e universale, fra aneddoto e universo. La vita di un ragazzo nato al Sud - dove siamo tutti impregnati dalla salsedine di ogni mare: Jonio, Adriatico, Mediterraneo, che ci hanno contagiato i loro affollatissimi quanto ricchissimi topoi – diviene così l’innocente allegoria di un mondo rurale che aveva altri valori, che forse abbiamo relativizzato per sempre finendo in un limbo di ansia e paranoia.
 
Tant’è che si può scegliere di leggerlo anche come un trattato di sociologia e antropologia, ma anche di psicologia e di economia (“In quel periodo aveva un  buon valore di mercato l’alluminio vecchio, il ferro, l’ottone. Qualche volta eravamo riusciti a vendere del ferro vecchio…”), che consente di capire le dinamiche sociali, esistenziali e storiche incarnate dal vissuto di Diso Pisani sul finire del XX secolo, quando il  boom economico porta anche qui - in contesti intrisi dal sentimento cattolico - il frigorifero, i giradischi, la tv in bianco e nero a valvole, la Vespa 50, la Fiat 500 a rate e tutti i feticci della modernità.
 
Le polisemiche “seduzioni” artistiche di cui lo scrittore da mezzo secolo è protagonista con felici intuizioni e provocazioni (la foto, la pittura, la poesia, la narrativa, il teatro) ne fanno un punto di osservazione privilegiato. E’ come se Diso Pisani si fosse appollaiato sulle spalle dei titani (magari quelli che stando alla mitologia si bagnavano nel mare della sua Leuca), per cogliere l’intima essenza dell’uomo mediterraneo in tutta la sua fascinosa, barocca complessità.  
 
Quello qui descritto, alla luce di quanto è avvenuto poi, diviene così un Eden perduto, da dove con sommo masochismo ci siamo esiliati da soli, e per il quale nutrire una lacerante nostalgia appare più che naturale. Un rimpianto mitigato dal pensiero di aver vissuto in un mondo povero, ma ricco di umanità e socialità dove non eravamo mai soli, dove il poco bastava a illuminare di dolcezza e di amore i giorni e la nostra vita.        

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