Sant’Antonio Abate tra storia e leggenda


di VITTORIO POLITO - Il 17 gennaio, data fissa di inizio del Carnevale, si festeggia Sant’Antonio Abate, per i baresi ‘Sand’Andè’, che, a soli vent’anni, abbandonò ogni cosa per seguire il consiglio di Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va’ vendi ciò che hai…», rifugiandosi in una zona deserta dell’Egitto tra antiche tombe abbandonate e successivamente sulle rive del Mar Rosso, dove visse per ottant’anni da eremita.

Antonio abate, uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa, nacque intorno al 250 a Coma, oggi Qumans, Egitto, e a vent'anni, come detto, abbandonò ogni cosa per vivere una vita anacoretica. La sua vicenda è raccontata da un discepolo, Sant'Atanasio, che contribuì a farne conoscere l’esempio in tutta la Chiesa e combatté duramente l’eresia di Ario. Suo grande sostenitore fu Sant’Antonio Abate, di cui scrisse la biografia. L’iconografia rappresenta il Santo con il bastone tipico degli eremiti, un maiale ai piedi, a simboleggiare il demonio, un campanello e la fiamma. E, proprio a causa del simbolo del maiale, Sant’Antonio divenne in breve il protettore degli animali domestici, mentre la fiamma ricorda la sua capacità di guaritore dell’ergotismo (intossicazione da alcaloidi della segala cornuta).

L’esperienza del “deserto” in senso reale o figurato, è ormai un metodo di vita ascetica, fatto di austerità, di sacrificio e di estrema solitudine: Sant’Antonio ne fu l’esempio più insigne e stimolante. Infatti, pur senza alcuna regola monastica, esercitò un grande influsso dapprima tra i suoi conterranei e poi in tutta la Chiesa.

A lui è associato il bastone a forma di T, tau, 19ª lettera dell’alfabeto greco, e un maiale. Cosa c’entra il maiale che per i cristiani era simbolo del male? Secondo gli studiosi all’inizio si trattava di un cinghiale, attributo del dio celtico Lug, dio del gioco e della divinazione, venerato in Gallia a cui erano consacrati cinghiali e maiali. Gli stessi sacerdoti venivano chiamati “Grandi Cinghiali Bianchi”, mentre il dio Lug regnava anche sugli inferi. L’emblema del cinghiale appariva anche sugli stendardi e sugli elmi dei celti. In realtà il maiale rappresenta simbolicamente il maligno e le seduzioni che i piaceri della carne provocano.

Vito Lozito (1943-2004), nel suo volume “Agiografia, Magia, Superstizione” (Levante Editori), fa una esauriente descrizione del protettore degli animali, morto ultracentenario nel 356. Nel 561 fu scoperto il suo sepolcro e le reliquie cominciarono un lungo viaggio nel tempo, da Alessandria a Costantinopoli, fino in Francia nell’XI secolo a Motte-Saint-Didier, dove fu costruita una chiesa in suo onore. In questo luogo per venerarne le reliquie, affluivano folle di malati, soprattutto di ergotismo canceroso, causato dall’avvelenamento di un fungo presente nella segala, usata all’epoca per fare il pane. In epoche successive si adoperò il grasso di maiale che, posto sull’immaginetta del Santo, veniva portato dai monaci all’ammalato e usato per guarire le ferite del “fuoco sacro”. In questo modo era completa la figura di Sant’Antonio Abate, padrone del fuoco, vittorioso sulle tentazioni del demonio, del male e protettore del maiale.

Il morbo era conosciuto sin dall’antichità come ‘ignis sacer’ per il bruciore che provocava. Per ospitare gli ammalati, si costruì un ospedale e una Confraternita di religiosi, l’antico Ordine ospedaliero degli ‘Antoniani’, il cui villaggio prese il nome di Saint-Antoine di Viennois. Il papa accordò loro il privilegio di allevare maiali per uso proprio e a spese della comunità, per cui i porcellini potevano circolare liberamente fra cortili e strade, nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento. Il loro grasso veniva usato, come già detto, per curare l’ergotismo (herpes zoster), che venne chiamato “il male di Sant’Antonio” e poi “fuoco di Sant’Antonio”.

Per superare, invece, l’interpretazione negativa del maiale, presente nel pensiero ebraico e cristiano e comprendere l’abbinamento iconografico santo-maiale immondo, è utile conoscere alcuni avvenimenti storici e leggendari. Nel secolo XI, dopo la creazione dell’Ordine ospedaliero degli Antoniani, fu concesso ai monaci anche il diritto di allevare maiali che circolavano liberamente nelle città e nei luoghi ove sorgevano i loro conventi. Tale disposizione risultava necessaria dal momento che i maiali girando in villaggi e città provocavano numerosi danni. L’allevamento vero e proprio, tuttavia, era svolto per conto dei monaci, gratuitamente e per devozione dei contadini, i quali, ad opera compiuta, ricevevano protezione per se stessi e per i lavori da effettuare durante il ciclo annuale di produzione. Il maiale in questo modo era “sacralizzato” e perdeva la sua connotazione demoniaca, dal momento che diventava il tramite più vicino perché le masse contadine ottenessero rassicurazione e promesse di fecondità e fertilità.

Fu così che Sant’Antonio Abate divenne il protettore degli animali ed una testimonianza di festeggiamento romano ce l’ha lasciata il poeta tedesco Goethe, che in un suo diario parla del 17 gennaio 1787, giorno sereno e tiepido dopo una notte che aveva gelato, nel quale poté assistere alla consacrazione degli animali domestici, con cavalli e muli infiocchettati e benedetti con copiose aspersioni d’acqua santa.

A Bari si festeggia con la benedizione degli animali che da qualche anno si svolge nel centro storico, presso la Chiesa di Sant’Anna in via Palazzo di Città.

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