Riforma Gelmini: ecco cosa cambierà
di Maria Teresa Lattarulo
La cosiddetta riforma Gelmini dell’Università ha concluso il suo iter con il voto del Senato. Di seguito sono illustrati sinteticamente gli aspetti caratterizzanti del disegno di legge, considerando per ognuno di essi le opinioni favorevoli e contrarie, per fornire un quadro che consenta di comprendere le ragioni alla base delle proteste in corso.
Governance universitaria. Il rettore, che attualmente può non avere limiti di mandato, potrà durare in carica fino ad un massimo di sei anni.
Il Consiglio di amministrazione e il Senato accademico avranno competenze ben distinte: il primo sarà responsabile delle assunzioni e delle spese e il secondo avrà competenze prevalentemente propositive e consultive sulla didattica. Il Consiglio di amministrazione avrà un numero di membri non superiore a undici, il 40% dei quali esterni e non sarà elettivo; il Senato accademico avrà un numero di membri non superiore a trentacinque.
Pro: si introduce una gestione manageriale degli atenei con precise individuazioni di responsabilità, si toglie potere ai “baroni” riducendone la partecipazione al Consiglio di amministrazione e riducendo il mandato del rettore e si apre l’Università al mondo produttivo e del territorio con la partecipazione di esterni al Consiglio di amministrazione.
Contro: l’Università non è un’impresa, ma un luogo di formazione che non può essere gestito in termini di produttività. In particolare, la ricerca pura che non trova finanziamenti dall’esterno sarebbe compromessa. L’apertura ai privati è prevista senza che venga chiesto a questi di partecipare al finanziamento e quindi si profila la gestione di danaro pubblico da parte di privati e l’intervento di interessi privati nella gestione dell’università senza alcun vantaggio. Altro rischio è che gli esterni che entrano nel Consiglio di amministrazione siano organi politici e che si determini una lottizzazione delle università. Inoltre, se è vero che è posto un limite al mandato del rettore i suoi poteri sono molto aumentati.
Valutazione delle università. Il nucleo di valutazione, che attualmente è formato da componenti interni, sarà invece a composizione prevalentemente esterna. La valutazione dei docenti da parte degli studenti sarà importante per l’attribuzione di fondi da parte del ministero. Anche la retribuzione dei docenti sarà legata, più che all’anzianità, al merito.
Pro: si introducono criteri meritocratici per indurre le Università alla responsabilità e per contrastare fenomeni di assenteismo dei docenti.
Contro: il principio ispiratore della valutazione di per sé è buono, ma non sono definiti i criteri in base ai quali verrà effettuata né i soggetti che procederanno ad essa e quindi c’è il timore che possa diventare fonte di maggior potere e di facili ricatti da parte di alcuni.
Riorganizzazione degli atenei e della ricerca. Le facoltà potranno essere al massimo dodici per ogni ateneo, per evitare la moltiplicazione di facoltà inutili o non richieste dal mondo del lavoro; gli atenei potranno fondersi o aggregarsi tra loro; i settori scientifico-disciplinari saranno ridotti della metà.
Pro: si elimina il fenomeno degli “atenei sotto casa”, limitando le spese inutili.
Contro: un ridimensionamento eccessivo creerà problemi per i meno abbienti che dovranno affrontare le spese degli studi fuori sede; inoltre, considerato che i limiti non valgono per le università private e, in particolare, telematiche, c’è il rischio che in questa maniera si finisca con l’incrementare la diffusione di queste università.
Reclutamento. Si distingue fra reclutamento e progressione di carriera. I ricercatori saranno assunti mediante concorsi locali; il loro contratto sarà a tempo determinato con durata di sei anni alla fine dei quali si dà una duplice possibilità: se il ricercatore non si è procurato l’idoneità nazionale di cui diremo tra poco, il suo contratto cessa e costituirà titolo preferenziale per i concorsi nella pubblica amministrazione; se invece avrà conseguito l’idoneità nazionale, l’università potrà chiamarlo utilizzando una quota che viene messa a disposizione degli interni per la progressione di carriera.
Per quanto riguarda invece l’accesso ai ruoli di professore associato e professore ordinario, è prevista una procedura in due tappe: abilitazione nazionale e valutazione da parte dell’università che procede alla chiamata. L’abilitazione si consegue a seguito di concorso svolto da commissioni di cui faranno parte anche docenti stranieri e perde effetto se non si è chiamati da una università entro quattro anni. La valutazione locale sarà disciplinata da regolamenti di ateneo e in essa hanno un ruolo dipartimenti e consiglio di amministrazione. Una parte dei posti, come detto sopra, sarà riservata ai ricercatori dell’ateneo che abbiano conseguito l’idoneità.
Pro: l’introduzione della idoneità nazionale consentirebbe il superamento delle storture e della scarsa trasparenza dei concorsi locali che si sono tenuti finora. Ai ricercatori interni è offerta una possibilità di progressione di carriera superando il sistema attuale di concorsi preordinati spesso in modo fittizio alla promozione di docenti interni.
Contro: aumenta la precarizzazione dell’università con l’introduzione della figura del ricercatore a tempo determinato che non ha serie garanzie di poter proseguire la sua carriera (in particolare, a differenza degli Stati Uniti, le università non devono accantonare in partenza una quota corrispondente allo stipendio del ricercatore qualora questi conseguisse l’idoneità). Inoltre, sebbene l’idoneità sia nazionale, la vera e propria assunzione in ruolo avviene a livello locale con la scelta delle università di chiamare gli idonei e ciò aumenterà i fenomeni di corruzione, clientelismo, nepotismo, dato anche il grande potere che avranno in materia i rettori e i Consigli di amministrazione.
In conclusione, le ombre appaiono più consistenti delle luci, anche alla luce del fatto che la riforma è a costo zero e che già da tempo le risorse destinate all’Università e alla ricerca sono oggetto di tagli consistenti.
La cosiddetta riforma Gelmini dell’Università ha concluso il suo iter con il voto del Senato. Di seguito sono illustrati sinteticamente gli aspetti caratterizzanti del disegno di legge, considerando per ognuno di essi le opinioni favorevoli e contrarie, per fornire un quadro che consenta di comprendere le ragioni alla base delle proteste in corso.
Governance universitaria. Il rettore, che attualmente può non avere limiti di mandato, potrà durare in carica fino ad un massimo di sei anni.
Il Consiglio di amministrazione e il Senato accademico avranno competenze ben distinte: il primo sarà responsabile delle assunzioni e delle spese e il secondo avrà competenze prevalentemente propositive e consultive sulla didattica. Il Consiglio di amministrazione avrà un numero di membri non superiore a undici, il 40% dei quali esterni e non sarà elettivo; il Senato accademico avrà un numero di membri non superiore a trentacinque.
Pro: si introduce una gestione manageriale degli atenei con precise individuazioni di responsabilità, si toglie potere ai “baroni” riducendone la partecipazione al Consiglio di amministrazione e riducendo il mandato del rettore e si apre l’Università al mondo produttivo e del territorio con la partecipazione di esterni al Consiglio di amministrazione.
Contro: l’Università non è un’impresa, ma un luogo di formazione che non può essere gestito in termini di produttività. In particolare, la ricerca pura che non trova finanziamenti dall’esterno sarebbe compromessa. L’apertura ai privati è prevista senza che venga chiesto a questi di partecipare al finanziamento e quindi si profila la gestione di danaro pubblico da parte di privati e l’intervento di interessi privati nella gestione dell’università senza alcun vantaggio. Altro rischio è che gli esterni che entrano nel Consiglio di amministrazione siano organi politici e che si determini una lottizzazione delle università. Inoltre, se è vero che è posto un limite al mandato del rettore i suoi poteri sono molto aumentati.
Valutazione delle università. Il nucleo di valutazione, che attualmente è formato da componenti interni, sarà invece a composizione prevalentemente esterna. La valutazione dei docenti da parte degli studenti sarà importante per l’attribuzione di fondi da parte del ministero. Anche la retribuzione dei docenti sarà legata, più che all’anzianità, al merito.
Pro: si introducono criteri meritocratici per indurre le Università alla responsabilità e per contrastare fenomeni di assenteismo dei docenti.
Contro: il principio ispiratore della valutazione di per sé è buono, ma non sono definiti i criteri in base ai quali verrà effettuata né i soggetti che procederanno ad essa e quindi c’è il timore che possa diventare fonte di maggior potere e di facili ricatti da parte di alcuni.
Riorganizzazione degli atenei e della ricerca. Le facoltà potranno essere al massimo dodici per ogni ateneo, per evitare la moltiplicazione di facoltà inutili o non richieste dal mondo del lavoro; gli atenei potranno fondersi o aggregarsi tra loro; i settori scientifico-disciplinari saranno ridotti della metà.
Pro: si elimina il fenomeno degli “atenei sotto casa”, limitando le spese inutili.
Contro: un ridimensionamento eccessivo creerà problemi per i meno abbienti che dovranno affrontare le spese degli studi fuori sede; inoltre, considerato che i limiti non valgono per le università private e, in particolare, telematiche, c’è il rischio che in questa maniera si finisca con l’incrementare la diffusione di queste università.
Reclutamento. Si distingue fra reclutamento e progressione di carriera. I ricercatori saranno assunti mediante concorsi locali; il loro contratto sarà a tempo determinato con durata di sei anni alla fine dei quali si dà una duplice possibilità: se il ricercatore non si è procurato l’idoneità nazionale di cui diremo tra poco, il suo contratto cessa e costituirà titolo preferenziale per i concorsi nella pubblica amministrazione; se invece avrà conseguito l’idoneità nazionale, l’università potrà chiamarlo utilizzando una quota che viene messa a disposizione degli interni per la progressione di carriera.
Per quanto riguarda invece l’accesso ai ruoli di professore associato e professore ordinario, è prevista una procedura in due tappe: abilitazione nazionale e valutazione da parte dell’università che procede alla chiamata. L’abilitazione si consegue a seguito di concorso svolto da commissioni di cui faranno parte anche docenti stranieri e perde effetto se non si è chiamati da una università entro quattro anni. La valutazione locale sarà disciplinata da regolamenti di ateneo e in essa hanno un ruolo dipartimenti e consiglio di amministrazione. Una parte dei posti, come detto sopra, sarà riservata ai ricercatori dell’ateneo che abbiano conseguito l’idoneità.
Pro: l’introduzione della idoneità nazionale consentirebbe il superamento delle storture e della scarsa trasparenza dei concorsi locali che si sono tenuti finora. Ai ricercatori interni è offerta una possibilità di progressione di carriera superando il sistema attuale di concorsi preordinati spesso in modo fittizio alla promozione di docenti interni.
Contro: aumenta la precarizzazione dell’università con l’introduzione della figura del ricercatore a tempo determinato che non ha serie garanzie di poter proseguire la sua carriera (in particolare, a differenza degli Stati Uniti, le università non devono accantonare in partenza una quota corrispondente allo stipendio del ricercatore qualora questi conseguisse l’idoneità). Inoltre, sebbene l’idoneità sia nazionale, la vera e propria assunzione in ruolo avviene a livello locale con la scelta delle università di chiamare gli idonei e ciò aumenterà i fenomeni di corruzione, clientelismo, nepotismo, dato anche il grande potere che avranno in materia i rettori e i Consigli di amministrazione.
In conclusione, le ombre appaiono più consistenti delle luci, anche alla luce del fatto che la riforma è a costo zero e che già da tempo le risorse destinate all’Università e alla ricerca sono oggetto di tagli consistenti.
Tags:
Politica
