Letteratura: Predrag Matvejevic, il pane è stato il sogno della mia infanzia
Predrag Matvejevic a Cursi (Foto di Fernando Bevilacqua) |
Lo scrittore Predrag Matvejevic è a Cursi, nel cuore di pietra dolce del Salento terra di fame e sete, sotto il pergolato d’uva Gerusalemme del “Giardino di Alogne” (parola catalana: vuol dire
La sera è dolce e senza vento, il pubblico del piccolo evento in prevalenza di ragazze, la cucina spande odore di cose buone, pane che cuoce e s’indora, il morbido tepore dell’amicizia e della convivialità (ci sono anche un ragazzo nero e una ragazza slava), il piacere sospeso di stare insieme sotto un cielo buio e condividere, dilatare un’emozione. Lo scrittore-cult è nato a Mostar (Bosnia-Erzegovina), da anni è in stand-by per il Premio Nobel e presenta “Pane nostro” (Garzanti), romanzo uscito l’anno scorso dopo un’incubazione di oltre dieci anni, accolto con l’affetto di sempre da critica (“Rivela le sorprese del più comune degli alimenti”, Paolo Mauri, “La Repubblica”; “Quella del pane è una grande storia, ricca di sapienza e di poesia, d’arte e di fede”, Aldo Grasso, “Corriere della Sera”) e pubblico. Alcuni brani sono stati letti, con grande pathos, dall’attrice (studia a Roma) Alessandra De Luca. In autunno sarà a Leuca.
Dal 1994 vive a Roma, è professore di Slavistica alla “Sapienza”, nominato “per chiara fama”. Lo scrittore è persona modesta, frugale, rispettoso delle parole: usa solo quelle davvero essenziali. Anche qui è la sua grandezza. Dunque, il pane quotidiano: oggi manca a oltre un miliardo di persone, e le previsioni sono nere, entro 25 anni le cose peggioreranno: saremo 8 miliardi e a oltre 2 mancherà. Non pare che i potenti della Terra se ne angustino tanto...
Domanda: Professor Matvejevic, nel suo libro si fa un apologo della mollica…
Risposta: “Nelle antiche civiltà, quando già a 40 anni si restava senza denti, la mollica era preziosa, per la ragione che la scorza non poteva essere mangiata. Nelle prigioni però il pane era così scarso che anche la crosta era preziosa”.
D. Perché il pane ebraico è azzimo?
R. “Gli Ebrei dovevano fuggire dalle truppe del Faraone, quindi non c’era il tempo per farlo lievitare. Per questo l’ostia cattolica si fa senza lievito. I pittori però, nelle loro opere (penso all’Ultima Cena di Leonardo), ci sono riusciti”.
D. Perché da bambini le nostre madri ci sgridavano se mettevamo il pane all’inverso? Dicevano che era peccato, come mettere Cristo a testa in giù...
R. “E’ una caratteristica delle culture molto severe. Prima quando il pane cadeva, la gente lo baciava e poi lo mangiava. Si conservava sempre in un luogo nascosto, appartato”.
D. Quale pane ama di più?
R. “Quello siciliano e sardo su tutti. Ma i Francesi sono il popolo che ha sviluppato di più la cultura del pane, a cui han dato varie forme”. D. Questo cibo antico è affollato di semantica: qual è il significato più pregnante?
R. “Il pane dà anche la misura dell’ospitalità: quando a casa di Abramo arrivano i forestieri, egli chiede alla moglie Sara di mettersi subito a fare il pane. Ma riflettiamo anche sul significato che ha per i mendicanti, ma anche sul rapporto che ha con i cinque sensi”.
D. A chi è dedicato questo bellissimo libro?
R. “Ai poveri di tutto il mondo, che sono la maggioranza, e che in futuro avranno sempre più fame”.