Kuttanimata: il manuale per la perfetta cortigiana ma attuale anche per la escort del XXI

di Francesco Greco. Cortigiane di lusso, prostitute da via, da bordello, danzatrici dei templi. “Accingendomi a scrivere la tesi di laurea in Lingua e Letteratura Sanscrita – premette Genevienne Pecunia – mi resi conto che, in sanscrito, le parole per designare la prostituta, o meglio le prostitute, sono una legione. Dall’innumerevole rassegna dei termini impiegati nella letteratura indiana si può facilmente dedurre come il panorama della prostituzione fosse, laggiù, assai diversificato in figure eterogenee”. Il termine più diffuso è “veshya”, la favorita si dice “ganika”, la “pratiganica” è quella con contratto a termine, una cococò, la “rupajiva” è quella che ha come mezzo di sostentamento la sua bellezza, la “kumbha” è riferito alla portatrice d’acqua, la cortigiana di rango infimo, che ha delle varianti dispregiative usate anche come insulto: “shilpakarika” (artigiana), “kshudra” (donna vile), ma anche danzatrice per mestiere, e ancora: la schiava è detta “cetika” e “dasi”, la prostituta sacra che vive nel tempio è “devadasi”.
“Nihil sub sole novum” (Nulla di nuovo sotto il sole): da Citrasena, che dormì col Re dei Cola (potente dinastia indiana) a Patty D’Addario che entrò nel letto dell’. Come la corruzione, anche la prostituzione è nata con l’essere umano. Nel 1973, lo studioso Moti Chandra teorizza le prove dell’esistenza delle escort già ai tempi del “Rig Veda” (1200-1000 a. C.), quando le fanciulle senza fratelli che potessero difenderne l’onore erano destinate al meretricio. In Grecia erano dette “etere” (compagne), la cortigiana è figura centrale nello splendore della Venezia di Casanova. E oggi? “Tra una mignotta e una escort c’è una bella differenza…”, chiosa ironica Genevienne nella sapida prefazione.
Da Tagore a Herman Hesse, non è facile trovare una password per “entrare” nella cultura asiatica e il sanscrito (idioma indoeuropeo, vuol dire “lingua perfetta”) non aiuta. A noi occidentali, del continente indiano arriva il folklore: le ghirlande di gelsomini, il potere castale e i bramini (come da noi), la sovrapposizione della sessualità alla sacralità, la meditazione ascetica. Topoi distanti, ispidi all’approccio, che talvolta si accettano quasi con impeto fideistico. Per cui, quando in libreria giunge qualcosa di scritto splendidamente, soffuso peraltro di lieve ironia, rigoroso ma essere divulgativo né sconfinare nell’accademia, lo si divora d’un fiato e giunti all’ultima riga vorresti ringraziare la penna appassionata di chi ha pensato un capolavoro che ha tutta l’aria intrigante del best-seller.
“Kuttanimata” (manuale della perfetta cortigiana: un classico della letteratura erotica sanscrita), Cairo Editore, Milano 2011, pp. 176, € 13, a cura e per la traduzione (la prima in Italia dal testo originale) di Genevienne Pecunia, apre al lettore un universo scintillante e inesplorato, che vive di continue scoperte, sensazioni, illuminazioni. Sinora conoscevamo il “Kamasutra”, manuale di galateo erotico per la coppia, che l’indianista inglese Richard Burton, alla fine dell’Ottocento, datò fra il I e il IV secolo d. C. e attribuì a Mallanaga Vatsyayana, un copista che probabilmente assemblò lacerti di racconti estrapolati dalla tradizione orale. “Kuttanimata” è successivo: è collocato intorno all’VIII secolo ed è attribuito a Damodaragupta, ministro del Re del Kashmir Jajapida Vinayaditya e letterato. Chiarisce meglio Genevienne: “L’avrebbe composto allo scopo di illustrare le tecniche usate dalle cortigiane per irretire gli uomini”.
E non solo. Le strofe del manuale sono pregne di infinite interfacce della questione, suggeriscono alla donna tutte le astuzie possibili, sempre nel contesto di una tradizione che assegna a ognuno un ruolo e solo quello, e che poggia perciò su una rigidità sociale persino brutale. Genevienne Pecunia commenta, cesella, ricostruisce, in un delizioso gioco di citazioni e rimandi, echi e sottintesi impreziosito da un’ironia sottile che può permettersi solo una studiosa di quel mondo dopo averlo percorso nella sua ricca koinè e poderosa simbologia, metabolizzandone storia e cultura sedimentata nel tempo.
Le italiane dovrebbero leggere “Kuttanimata” (“L’insegnamento della mezzana”). Non per “studiare” da escort, il mercato è saturo e poi è un lavoro difficile (a chi lo sogna Genevienne consiglia di puntare “alla prostituzione di un certo livello”, acculturarsi, sapere le lingue, le buone maniere, non perder tempo nei talent-show, magari sfogliare il WSJ, studiare la finanza creativa e i cigni neri, abiti firmati, andare per blog, avere più profili su Fb, farsi vedere dove ci sono yacht enormi con nostromi inseguiti dalla Finanza), e comunque quasi sempre si nasce “imparate”. “Kuttanimata” è utile - in tempi di crisi identitaria sotto il bombardamento mediatico di modelli di comportamenti e stili di vita, pedofilia diffusa, drag-queen a colazione e shabari suicida - a capire se stesse, smaliziarsi, per tentare di tenersi un uomo in un post-femminismo che sta formattando le conquiste non per la tradizione, ma per proporre quelle che sembrano le patologie del reale. Un appuntino per Genevienne: se quella che sorride dalla 3a di copertina è lei, con i lineamenti delicati e il senso dell’ironia che si ritrova, altro che free-lance: Hollywood l’aspetta. A braccia aperte…

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