Repubblica Democratica del Congo, un Paese dimenticato

di Barbara Musciagli. Quando parliamo di Africa, l’immaginario comune ci porta a pensare agli elefanti, alla savana, al caldo, ai baobab, ai meravigliosi orizzonti. Solo dopo una breve riflessione rammentiamo che l’Africa è anche povertà, miseria, malattia, morte, ma quanti di noi ricordano o sanno che molti paesi africani continuano ad essere teatro di scontri armati? E’ il caso della Repubblica Democratica del Congo, un Paese spesso dimenticato, dilaniato da una serie di guerre, le ultime delle quali avvenute non più di 20 anni fa. Parliamo della Prima guerra del Congo avvenuta nel non lontano 1996-97 ( il generale Kabila contro l’allora Presidente Mobutu Sese Seko), una guerra conclusasi con la vittoria del generale Kabila, che ha generato milioni di morti e di rifugiati; ci riferiamo, altresì, alla guerra mondiale africana avvenuta tra il 1998 e il 2003: uno scontro armato lungo 5 anni che ha visto coinvolti gli eserciti di almeno 6 Paesi per il controllo degli immensi giacimenti di Coltan, diamanti ed oro.
Un conflitto che ha generato due milioni e mezzo di vittime dovute anche alle morti, carestie e malattie generate dal conflitto; e, inoltre, come dimenticare gli ultimi episodi violenti avvenuti tra ottobre 2011 e gennaio 2012? E' strano, se non inaccettabile, che nessun mass-media abbia parlato della difficile situazione socio-politica che la Repubblica Democratica del Congo ha vissuto pochi mesi fa in vista delle seconde elezioni presidenziali.
Guerriglie, sangue, morte per poter esercitare un diritto. Quanta ansia in quei mesi, quante ore trascorse su internet nel tentativo di leggere qualche notizia sui siti congolesi, senza prestare troppa importanza ancorchè fossero scritti in francese, lingala o kikongo.
La comunicazione via cavo era difficile, così come era ostica quella via internet, ancora più difficoltosa del solito. Le compagnie telefoniche congolesi avevano ricevuto ordini di sospendere il servizio di messaggistica per evitare fughe di notizie. La Monusco è stata impegnata 24 su 24 sul territorio congolese in una grossa opera di mediazione.
Ma che sollievo riuscire a sentire la voce degli amici a telefono, sapere che nonostante tutto stavano bene e che la situazione era quasi sotto controllo - anche se c’era sempre l'ombra di un terribile scontro armato. Come dimenticare la voce di un amico una settimana prima del fatidico 28 novembre (giorno delle elezioni presidenziali): “Stiamo bene ma ci sono militari e carri armati in ogni angolo della città; sono arrivati anche a Mt. Ngafula, non possiamo uscire dalle nostre case, tutti gli uffici, università scuole e chiese sono chiuse, c’è il coprifuoco, Kin (Kinshasa, ndr) è una città fantasma si sente solo il rumore degli spari”. Come dimenticare gli scontri avvenuti nei campus universitari alcune settimane prima, con gente gambizzata, ferita, uccisa? La stessa situazione di paura, sangue e morte si è avuta anche nelle settimane immediatamente successive al 28 novembre, “case” incendiate, ancora disordini, scontri, morti, irruzione da parte dell’esercito nelle chiese del Paese per punire gli oppositori di Kabila.
Il Natale dei congolesi è stato ben diverso dal nostro: niente tavole imbandite, niente doni, niente giocattoli, le preghiere e le speranze di milioni di congolesi erano quelle di ritornare alla “normalità”, anche se la loro normalità è fatta di povertà, fame, malattia e morte. Come dimenticare questo Paese ormai dimenticato da tutti?

1 Commenti

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