Cara Moana ti scrivo, italians fissati con l’xxx factor


Francesco Greco. Italians do it better? Forse. Di sicuro hanno molta autostima e lo scrivono pure. A forza di ripeterselo come un mantra, si sono convinti di essere il must in fatto di erotismo, e quel che più intriga è che se ne sono convinti anche extra moenia. Così il macho latino dovrebbe essere dichiarato specie protetta, come il Wwf fa con la foca monaca.

   Nell’attesa rafforziamo il nostro io e autoreferenziamoci con una pubblicazione dove, nero su bianco, si prova per l’ennesima volta che gli italiani lo fanno meglio, almeno a parole, dacché lo scrittore Vitaliano Brancati sosteneva che in Sicilia parlare di donne è meglio che andare con le donne. Ma forse sono archetipi morti con il ‘900.

   Ecco allora apparire pudicamente nelle librerie italiane “Io speriamo che me la chiavo” (I fans scrivono alle pornostar), 80144 Edizioni, Roma 2013, pp. 144, € 9,90. L’idea, occorre riconoscerlo, è originale e si offre a essere  decodificata con varie password: sociologica, antropologica, storica, forse anche genetica.

   Questo libro infatti rappresenta anche un documento in grado di certificare quel che fu l’Italia fra gli Ottanta e i Novanta, quando parallelamente al riflusso dalla politica prosperò il mercato delle luci rosse. Fatto che la cultura cattolica, e la doppia morale, cercò di nascondere o derubricare come polvere sotto al tappeto, per cui all’edicola si chiedeva furtivamente il vhs di “Rocco e le calde ragazze di Praga”e lo si nascondeva fra Panorama e il Corriere dello Sport. Ma ormai la cultura femminista aveva aperto il recinto, il “gineceo del cielo”, aveva scritto anni prima Pablo Neruda in una celebre poesia, dilagava.

   Un sociologo da poco direbbe che l’energia che gli italiani dedicavano alla lotta di classe e gli scontri di piazza fu dirottata sotto le lenzuola, e magari aggiungerebbe che la disoccupazione creata dalla ristrutturazione selvaggia del capitalismo senza regole né etica cercò sfogo sui set dei film porno. Ma sarebbero analisi dettate dall’approssimazione, anche se a memoria si può citare il Partito dell’Amore di Cicciolina che sedeva in Parlamento, icona trasgressiva e postmoderna, portata dai Radicali e Moana Pozzi, icona del sesso alla io sono mia intervistata nelle tv pubbliche e private anche nelle fasce orarie non protette, come un guru, una filosofa, una divinità.

   La pornografia (non solo in editoria) visse dunque un momento esaltante: era un’industria fiorente di cui si ignora il fatturato. Fra film e videocassette. I suoi protagonisti erano miti a cui si ispiravano migliaia di italians brothers: su tutti Rocco Siffredi, attore-cult che passava da un letto all’altro. Il libro assemblato dal geniale Paolo Baron, con la bella cover di Francois de Gerard, presenta una gallery di lettere indirizzate alla Rubbit Video (la società di produzione e distribuzione più famosa con un catalogo fitto di titoli) per proporsi come attori e registi.

   Uno spaccato socio-antropologico dell’Italia xxx che dalle Alpi alla Sicilia (la provenienza geografica è stratificata, il genere però è sempre maschile) pullulava di gente che aveva in Jhon Holmes il suo mito. E dovette essere uno choc molto forte dover poi leggere anni fa che l’attore americano era morto di aids. Ma ormai il sesso hardcore, spesso amatoriale, offerto del web, aveva rottamato il vhs e ridotto Jessica Rizzo a una provinciale autoreferenziata, con la pretesa di essere una musa del cinema hard, citando magari “L’impero dei sensi” del regista giapponese Nagisha Oshima.  

   Più pregno di mille tomi di sociologia, rivelatore su chi siamo più di biblioteche di analisi sociologiche reticenti o retoriche, ecco allora dagli archivi della Rubbit quel che scrivevamo con la speranza di partecipare ai casting delle produzioni xxx e vivere il nostro quarto d’ora di celebrità dopo il “ciak” del regista nel letto accogliente della pornostar, mostrando al mondo le nostre performance.

   Prima annotazione: le lettere (il florilegio è diviso in due parti: aspiranti attori e registi) sono piene di refusi (i curatori li hanno lasciati), segno che erano le classi meno acculturate a proporsi. Troviamo, fra gli altri, un certo Giovanni che si offre per film “porno erotici” vantando “molta esperienza in materia”, Mino che confida di ”avere le doti giuste per questo lavoro, soprattutto la lingua”, il pensionato 63 enne Aldo che dopo decenni passati in fonderia confessa a Rocco Siffredi: “…ormai la mia vita sessuale volge al termine ma grazie ai tuoi film ard posso ancora avere qualcosa in più…  La mia richiesta e questa fare un film con tutte donne mediterranei comprese nord Africa…”. Chissà se l’hanno chiamato…

   Osserva Baron in prefazione citando, senza volerlo, Lombroso: “Abbiamo dovuto eliminare le foto trovate nelle buste, avrebbero meritato la pubblicazione forse anche più delle lettere stesse”. Ma in postfazione Francesco Rende, richiamandosi al celebre grafologo spagnolo Augusto Vels e al Marchesan, si sofferma anche sull’importanza della scrittura come rivelatrice delle tendenze sessuali. La lettera ideale per capire l’eros del mittente è la “g”. Dice niente l’assonanza col “punto g”?